È finita l’epoca di Apple in cima alla collina, lontana da tutti, che sviluppa le sue tecnologie internamente, che cresce in maniera “organica” come si dice nel gergo degli economisti americani. È finita ammesso che sia mai esistita. Oggi Apple compra imprese pesanti, sborsando fior di milioni, alle volte centinaia di milioni se non miliardi di dollari. E lo fa senza battere ciglio, da quando alla sua guida c’è Tim Cook. O almeno, così sembra.
L’acquisizione di Shazam è un doppio colpo perché da un lato l’azienda è ben nota nel pianeta, e dall’altro è costata ad Apple qualcosa come 400 milioni di dollari (poco più di 338 milioni di euro), che non sono esattamente bruscolini. Anzi, è quanto lo stato italiano ha stanziato nel 2018 per la ricostruzione di opere pubbliche a seguito dell’emergenza sismica. Insomma, un sacco di soldi.
La spesa di Apple non è una novità, a partire da quando Tim Cook ha firmato l’assegno per Beats Electronics il primo agosto del 2014: ben tre miliardi di dollari. Da allora Apple ha acquistato altre 29 aziende. In totale, secondo le informazioni raccolte da Wikipedia sulla base delle dichiarazioni presentate alla SEC, l’autorità di regolamentazione del mercato americano, le acquisizioni sono state 92, l’ultima appunto è Shazam. Il totale non è svelato ma sicuramente Beats è stata la più costosa, mentre finora Shazam è una delle più costose: poco meno costosa di NeXT, pagata nel febbraio del 1997 ben 404 milioni di dollari (con valuta di venti anni fa che oggi dovrebbe essere rivalutata) e probabilmente la più importante acquisizione mai fatta da Apple.
Le grandi acquisizioni in realtà sono state una costante della Apple sia degli esordi che dei tempi più recenti, senza e con Steve Jobs. Ma erano acquisizioni strategiche, pensate per creare specifici vantaggi competitivi: con questa tecnica Apple si è dotata di un settore capace di progettare processori (PA Semi nel 2008 per 278 milioni di dollari), fare pubblicità sul mobile (Quattro Wireless nel 2010, 275 milioni), fare mappe 3D (C3 Technologies nel 2011 per 267 milioni), fare sicurezza per autenticazione con impronte digitali e riconoscimento facciale (AuthenTec, 2012, 356 milioni).
L’accelerazione data da Tim Cook è sicuramente figlia di un mercato sempre più veloce che richiede aperture improvvise di nuovi fronti. Non c’è tempo di creare competenze interne assumendo giovani ricercatori e facendo maturare le loro capacità assieme ai prodotti e alla ricerca. Bisogna comprare fette di mercato consolidato con tutto quel che c’è dentro: ricercatori, brevetti, tecnologie, modalità di lavoro, prodotti, quote di mercato. Alle volte va bene, alle volte no: può essere colpa dell’acquisizione stessa (c’è tutta una letteratura su come gestire quella difficile arte che risponde al nome di “merge and acquisition”) oppure può essere colpa degli sviluppi del mercato. È questo secondo probabilmente il caso delle acquisizioni tentate nell’epoca di approfondimento del settore delle auto che si guidano da sole, dove Apple ha relativamente disinvestito.
In realtà c’è uno schema che mostra una evoluzione delle strategie di Apple, una evoluzione che non ha smesso di evolvere. In pratica, Apple ha evidenziato due modalità di acqusizione: aziende mature in contesti dove non ha alcuna competenza, oppure piccole aziende che producono singole compomenti di prodotti o tecnologie più complesse, per dare modo ad Apple di crescere acquistando le competenze necessarie su passaggi chiave.
Ad esempio: a Cupertino negli anni hanno aperto i cordoni della borsa per comprare aziende capaci di dare pezzetti dei sistemi audio usati da Logic, o degli effetti speciali per Final Cut e iMovie, oppure creare particolari tipi di App, oppure gestire la distribuzione di versioni preliminari delle app di terze parti, oppure ancora servizi di machine learning, di riconoscimento del parlato, compressione dati, analitici per i libri, e scanner 3D. Insomma, blocchetti che poi vengono aperti, riscritti, risistemati, resi compatibili con altre tecnologie e “scompaiono” dentro prodotti e framework tecnologici più ampi.
Tim Cook ha cambiato il passo di Apple e lo ha fatto mirando a un gioco più ampio: lo ha dimostrato l’acquisizione di Beats, che ha il sapore di una mossa molto più spettacolare “nascosta bene” perché sino in fondo non si era visto quanto fosse importante e ramificato il gioco di Beats nel mercato discografico, grazie ai suoi fondatori.
Arriviamo a Shazam. Pagata veramente tanto, l’azienda esiste da parecchio tempo ed ha dimostrato di essere davvero molto, molto resistente ai cambiamenti di mercato, al punto da essere riuscita a diventare il sinonimo di un’attività, cioè la “scoperta” del nome di una canzone “ascoltandone” alcuni passaggi.
Cosa se ne vuole fare Apple? Questo non è dato saperlo, anche se è facile immaginare che stia nel quadro degli investimenti per il machine learning e i sistemi di intelligenza artificiale che “ascolta”, “capiscono” e “agiscono” o comunque “rispondo” alla volontà dell’utente. O forse scomparirà nel quadro di un progetto di sviluppo software e servizi che si ingloba una dopo l’altra tutte le società acquisite. Chissà, difficile dirlo.