Lavorare in remoto? Non è così semplice e non convince tutti, almeno in Italia. Secondo una recente indagine Regus, il 72 per cento dei manager nel mondo si affida e promuove il lavoro flessibile, mentre in Italia solo poco più della metà dei dirigenti e degli imprenditori intervistati vede favorevolmente soluzioni di lavoro “in remoto”.
La ricerca Regus segna una crescita della fiducia a livello globale nei confronti del lavoro flessibile: su oltre 44mila uomini d’affari in cento paesi intervistati, la stragrande maggioranza ritiene che il management delle imprese sia favorevole a questa evoluzione organizzativa (il 72 per cento). In Italia questo dato, invece, non è ancora così elevato. Ci sono ancora delle difficoltà a comprendere e ad adeguarsi ai cambiamenti legati all’utilizzo della tecnologia e del cloud: solo il 58 per cento dei manager sostiene i vantaggi del lavoro flessibile, solo il 58 per cento crede nei benefici derivanti dalla riduzione dei costi e il 54 per cento degli intervistati italiani ritiene che il lavoro flessibile possa attrarre e trattenere i talenti.
A questi dati si deve aggiungere altri numeri che fanno riflettere sulla spiccata mancanza di competenze e di professioni digitali nelle imprese, specialmente in Italia: l’80 per cento degli italiani intervistati concordano sul fatto che sia necessaria una formazione specifica per essere in grado di gestire con successo un team di persone che lavora in remoto e che la collaborazione a stretto contatto (e non quella virtuale) sia fondamentale, e l’84 per cento pensa che i lavoratori flessibili dovrebbero partecipare con frequenza mensile a riunioni con i loro manager.
Il controllo e il monitoraggio dell’attività sono un’altra questione rilevante per i manager italiani: il 62 per cento ritiene indispensabili i sistemi informativi per poter misurare l’attività dei lavoratori da remoto e l’88 per cento è convinto che il lavoro flessibile debba essere misurato e remunerato sui risultati e sugli obiettivi raggiunti.