A pochi giorni dalla causa del Dipartimento di Giustidia USA, l’antitrust italiano apre una istruttoria su Google per presunto abuso di posizione dominante nel display advertising, in pratica su diversi aspetti della pubblicità online che vanno dalla raccolta dei dati degli utenti, alla gestione degli spazi pubblicitari messi a disposizione da editori e siti web. L’antitrust italiano ha già effettuato dei controlli nelle sedi di Google in collaborazione con la Guardia di Finanza.
In quello che viene definito come un mercato cruciale di cui Google controlla gran parte della filiera digitale, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato contesta a Google «L’utilizzo discriminatorio dell’enorme mole di dati raccolti attraverso le proprie applicazioni, impedendo agli operatori concorrenti nei mercati della raccolta pubblicitaria online di poter competere in modo efficace».
Non solo «In particolare, Google sembrerebbe aver posto in essere una condotta di discriminazione interna-esterna, rifiutandosi di fornire le chiavi di decriptazione dell’ID Google ed escludendo i pixel di tracciamento di terze parti. Allo stesso tempo avrebbe utilizzato elementi traccianti che consentono di rendere i propri servizi di intermediazione pubblicitaria in grado di raggiungere una capacità di targhettizzazione che alcuni concorrenti altrettanto efficienti non sono in grado di replicare».
Si sospetta che Google abbia violato l’articolo 102 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea per quanto riguarda la disponibilità e l’utilizzo dei dati per l’elaborazione delle campagne pubblicitarie di display advertising, lo spazio che editori e proprietari di siti web mettono a disposizione per l’esposizione di contenuti pubblicitari. Una contestazione che potrebbe aprire cause simili in altre nazioni EU.
Nel comunicato rilasciato in queste ore si precisa che la raccolta pubblicitaria online costituisce in termini di valore la seconda fonte dei ricavi dei media, un settore che nel 2019 ha registrato nel nostro Paese un valore di 3,3 miliardi di euro, pari al 22% delle risorse del settore media, di cui il display advertising vale da solo oltre 1,2 miliardi di euro.
L’antitrust italiano punta l’attenzione su cookie, banner, pop-up e altre forme di messaggi pubblicitari visibili durante la consultazione dei siti web, tramite i quali inserzionisti, agenzie e intermediari pubblicitari acquisiscono dati rilevanti per le scelte di consumo degli utenti, per poter personalizzare le campagne, messaggi e contenuti calibrati su misura di ogni singolo utente.
Ma AGCM rileva anche che Google, oltre a disporre di questi dati, dispone di altri strumenti per profilare in modo dettagliato gli utenti destinatari delle pubblicità mirate. Qui vengono elencati: il sistema operativo Android, il browser Chrome per smartphone, tablet e computer, i servizi di cartografia Google Maps e Waze a cui si aggiungono anche tutti gli altri servizi di Big G a cui si accede con il profilo utente Google ID: la posta elettronica gmail, Google Drive, Docs, Sheet e anche YouTube.
L’indagine in corso dell’antitrust italiano presume significativi impatti sulla concorrenza in diversi mercati della filiera della pubblicità online. L’assenza di concorrenza, oltre a scoraggiare l’innovazione tecnologica per pubblicità meno invasive, può ridurre le risorse destinate a editori e produttori di siti web, impoverendo la qualità dei contenuti per gli utenti finali.
L’istruttoria dell’antitrust italiano arriva a pochi giorni di distanza da una causa molto simile avviata dal Dispartimenti di Giustizia in USA.