Due anni, come l’altra volta. E l’ambizione segreta, magari, a finire prima. Il nuovo Egitto è là, davanti a tutti, e per arrivarci manca poco. La transizione dai processori Intel ai futuri “Apple Silicon”, che è un modo elegante per non dare sigle, nomi e numeri, inizia dunque ufficialmente oggi. Anche se in realtà è già cominciata da tempo.
Craig Federighi alla fine lo ha ammesso: tutto il keynote della WWDC quando faceva vedere le novità di macOS Big Sur “girava” su una macchina di prova con processore A12Z e 16 GB di Ram, quel che viene chiamato il Developer Transition Kit. Insomma, Apple ovviamente ha già lavorato e non poco alla realizzazione del nuovo sistema operativo, che in una settimana sarà disponibile nella versione Axx per tutti gli sviluppatori che utilizzeranno le nuove piccole macchine con il processore (chissà se poi rimarranno in circolazione o verranno riprese da Apple, come successe ai tempi con il famoso Power Mac che venne dato agli sviluppatori con il Pentium IV).
I nuovi Mac saranno potenti ma risparmiosi, come i cammelli, le navi del deserto che sono più intelligenti dei cavalli, vanno avanti giorni senza bere e corrono più veloci della sabbia e del vento del deserto. Siete pronti per salire a bordo?
La transizione di oggi
Apple sta facendo tre lavori, per quanto riguarda il Mac. Sta trasformando pesantemente la sua interfaccia rendendone il linguaggio e molte metafore coerenti con l’ambiente iOS/iPadOS. Sta rivoluzionando il “cuore” del sistema operativo per fare la prima parte di una transizione che dovrebbe durare due anni – ha detto Tim Cook – e concludersi con una transizione completa anche se i Mac con Intel “verranno supportati ancora per molti anni”. Sta infine lavorando per degli affinamenti che dovrebbero rendere tutto più semplice ed efficace nell’uso dei suoi computer. Sono tre cose completamente diverse e rappresentano il nocciolo della sfida che la Apple di oggi, dopo anni di indiscrezioni, si è finalmente decisa a darsi.
Un passo indietro: arriva il Macintosh
Le transizioni in casa Apple sono state tante. E Steve Jobs ha avuto un ruolo centrale per molte, ma non per tutte. Cominciamo dalla meno sospettabile: il passaggio da Apple II a Lisa e poi a Macintosh. Sembra niente, a per un decennio l’Apple II nelle sue varie incarnazioni è stato il computer di riferimento. In buona sostanza, c’è stata una intera generazione che ha scoperto l’informatica con l’Apple II e con quello ha terminato. Infatti l’arrivo del Mac non ha allargato il mercato, almeno non nei primi anni. E ha dovuto reinventare buona parte del software che era già stato pensato e sviluppato per Apple II. Ci vollero anni prima che si spegnessero gli ultimi Apple II e III che facevano girare applicativi “insuperabili”.
Era a 68k
Il Macintosh è andato liscio con pochi scossoni, seppure con lunghi anni di crisi: dal 1984 a tutto il 1995, infatti, è cambiata una volta l’architettura del processore: dagli originali Motorola 68000 (o 68k) ai PowerPc nel 1994, con quasi due anni di sovrapposizione. I processori Motorola, a partire dal primo 68000 a 8 MHz e 16/32 bit, funzionavano bene e sono cresciuti con le versioni a 32 bit puri 68020, 68030 e 68040. Complessità e velocità: sono stati 72 modelli di Macintosh a usare il processore 68k. L’ultimo è stato il PowerBOok 190 nel 1995.
PowerPC
L’era del PowerPC è iniziata un anno prima della fine del 68k, cioè nel 1994, e si è conclusa nel 2005. I processori nati dalla joint venture Ibm, Motorola e Apple, avevano la particolarità di un set di istruzioni ridotto (RISC) e un approccio molto moderno. Erano profondamente diversi dai processori Intel usati da Microsoft. All’epoca, nel 1994, c’era anche un emulatore del 68k che girava nel Power Macintosh 6100 per avere la compatibilità di quasi tutto il software precedente. La progressione, che ha riguardato 87 modelli di Macintosh, è stata: processori 601, 602, 603, 604, G3, G4 e infine G5, con velocità di clock che sono accelerate tantissimo, passando da 60 MHz ai 2,7 GHz. È successo la stessa cosa in casa Intel ed è il vero decennio in cui i processori sono esplosi. L’ultimo Macintosh dell’epoca, commercializzato a novembre del 2005, è stato il Power Mac G5.
Intel x86
Tra i PowerPc e gli x86 di Intel c’è stata in realtà un’altra complessa transizione software: quella che ha visto il passaggio del cuore del sistema operativo dalla storia nata con il primo Macintosh OS nato nel 1984 per arrivare al passaggio, tra il 1998 e il 2000, a Mac OS X, con il cuore di NextStep e quindi di Unix e Darwin. Fu forse più drammatica questa come transizione, perché costrinse Apple a introdurre un layer di emulazione, Classic, e riscrivere tutto il codice con una interfaccia, framework, api, librerie e kernel completamente diversi. Nel 2006 è arrivato comunque il processore di Intel, con un colpo di scena sul palco dominato da Steve Jobs che, come Mosé, ha portato il popolo degli sviluppatori e dei consumatori fino al nuovo Egitto. Almeno, per un po’.
Sorpresa, rabbia (il marketing Apple aveva veramente convinto tutti della bontà e superiorità della diversità di Apple) e anche qualche sospiro di sollievo (Intel aveva una roadmap di processori con i Core Duo e i Core Duo 2, che è stata notevole per almeno dieci anni). Come è accaduto con Big Sur, anche Mac OS X era già pronto e la transizione è andata senza colpo ferire, aprendo la porta alla comparabilità con hardware Windows e compatibilità dei sistemi operativi grazie all’architettura comune. È qui che si è scoperto che Apple faceva un hardware migliore della concorrenza, punto.
Apple ha rilasciato più di cento Mac con il cuore Intel. E la fine è stata stabilita con questo keynote strano e particolare in tempi di distanziamento sociale e lockdown, che apre a una nuova stagione. Una stagione in cui il passato però ha relativamente poco da insegnare.
Il futuro è ARM
Quello che cambia, e che abbiamo visto chiaramente nel keynote di presentazione della WWDC, con il passaggio all’Apple Silicon, è che nei precedenti storici non c’erano altre piattaforme di casa Apple. L’arrivo del Macintosh fu una rottura senza continuità con il sistema Apple II “a riga di comando”. In seguito si trattò di sostituire una CPU con un’altra o un kernel con un altro. Niente parallelismi strani. Invece qui si arriva a un salto che porta anche ad avere la compatibilità hardware con due sistemi molto ricchi: iOS e iPadOS. E questo cosa vuol dire?
Le opportunità di questa transizione sono quello che Apple, con un lungo percorso di avvicinamento, ha cominciato a disegnare tre anni fa. Nuove interfacce, nuovo linguaggio grafico, nuove modalità di interazione. E un ruolo del cloud che, seppure zoppicante come nella migliore tradizione di Apple, è pur sempre “l’altra piattaforma”: oggi quasi tutti gli applicativi e servizi Apple sono disponibili anche da iCloud.
Quello che però stiamo vedendo sarà lo sbarco delle app iOS e iPadOS su Mac. E magari anche il contrario. Un raffinamento dell’interfaccia che purtroppo è molto spesso reinventare anziché ripulire. Una ridefinizione di tutto quello che c’è dentro la casa del Mac per renderlo più leggero e simile a iOS, non tanto per snaturarlo quanto per renderlo più leggero e potente.
I soliti noti
Adobe e Microsoft hanno avuto un discreto vantaggio, potendo lavorare già da tempo alla realizzazione di versioni Arm dei loro applicativi macOS. Non è stata una fatica gigantesca, perché hanno due recenti basi di codice (una viene dal mondo iOS) che probabilmente sono la stessa cosa. Altri sviluppatori stanno per arrivare. La traduzione degli ambienti rischia di essere un esercizio di stile che si sarebbe dovuto fare al contrario, per dare ancora un po’ di vita ai “vecchi” Mac con Intel, come il nuovo MacBook Pro 16 sul quale chi scrive ha seguito il keynote e sta preparando questo articolo.
I vantaggi di fare i chip in casa da parte di Apple sono talmente ovvio che c’è solo da chiederci perché non l’hanno fatto prima di metterli anche nei Mac. Era logico e infatti è successo. Adesso l’integrazione fra le differenti piattaforme di Apple è altrettanto logico che miri a una semplificazione per la quale molto presto tutto sarà sostanzialmente iOS con interfacce e accessi diversificati.
I Mac con Apple Silicon Inside
Sono anni che soprattutto gli iPad stanno diventando sempre più potenti in maniera imbarazzante per i Pc e i Mac stessi. Al punto che un iPad Pro con processore A12Z fa le scarpe alla maggior parte dei portatili in circolazione ma ha molta meno ram e ottimizzazioni e quindi non rende altrettanto bene, se trapiantato direttamente su un hardware da Mac Pro e con un sistema operativo complesso come macOS.
La domanda, come si fecero ai tempi quando arrivarono i primi PowerMac Pro con Intel IV, fu: ma quanto potrà andare questa macchina? è una domanda sbagliata. Perché saranno altri i processori Arm dei Mac: processori costruiti facendo scalare lavorazioni, architetture, layer dei SoC, aggiungendo core, potenziando, integrando librerie software di base nel silicio, dando memoria, banda passante, togliendo tutto quello che non serve e aggiungendo tutto quel che serve.
È probabile che alla fine dell’anno arriveranno dei Mac che cercheranno di fare il botto, con miriadi di core e potenza da vendere. Ma sarà solo l’inizio. Se tutto procede come dovrebbe, le macchine che Apple ha già progettato arriveranno tra 1-2 anni e saranno dei mostri. Ristabiliranno la gerarchia e metteranno gli iPad un ordine di grandezza o due sotto. Oppure daranno tutta l’autonomia che Intel non ha mai saputo dare.
Le buone abitudini
Alla fine, Apple non ha perso l’abitudine di essere onesta, di far vedere le cose vere (anziché vaporware, come fanno altri che vendono futuri a malapena immaginati). E in un grafico in cui mostrava che i computer oggi sono potenti ma consumano, oppure risparmiosi ma tisici, è possibile immaginare un computer potente ma risparmioso. Ecco, immaginiamoci un Mac così potente come non lo è mai stato prima, e che consuma pochissimo. Quello è il Mac per il quale è stato creato Big Sur e la prossima versione del sistema operativo che tra un anno porterà funzionalità di integrazione tra tutti gli OS di Apple.
Ci aspetta una nuova migrazione eccitante, forse la migliore mai fatta sinora. Ma la faremo sul dorso delle navi del deserto, i cammelli: animali più intelligenti dei cavalli, più veloci e forti, più duttili, ma anche più economi. Non a caso, capaci di abitare la steppa come il deserto.