Arriva l’anno nuovo. Un anno che si annuncia interessante per Apple. Cosa porterà? Non abbiamo la sfera di cristallo, ovviamente, ma se l’avessimo questo sarebbe il momento per tirarla fuori dalla sua scatola, lucidarla ben bene e cercare di vedere dentro, in profondità, tra le nebbie del futuro, per acchiappare qualche particolare del domani che ci attende.
Dopo avere scorso la linea del tempo del 2018 con questa rassegna di quello che è accaduto nel mondo Apple lo scorso anno, facciamo un esercizio di futurologia e ci concentriamo su alcuni aspetti diversi di Apple e della sua storia futura. Vediamo cosa possiamo immaginarci che arriverà.’
Apple, Inc.
L’azienda di Cupertino nella seconda metà del 2018 ha subito un deciso cambiamento di passo da parte del gradimento dei mercati e una battuta di arresto nella crescita del valore azionario che l’aveva portata ad essere la prima azienda della storia a passare il migliaio di miliardi di dollari di valore come capitalizzazione di mercato (qui il nostro recap).
Cosa l’attende adesso? Sul lato finanziario Apple risente di molte tensioni e correnti diverse, a partire dal fatto che è troppo grande per non essere nel mirino di quegli stessi speculatori che attaccano le economie dei singoli stati quando ci sono indicazioni non positive da parte degli analisti sulle rispettive economie. Ma è così in difficoltà oppure potrà risalire la china? Dal punto di vista dei prodotti, del razionale economico e della crescita Apple non è nella posizione di forza che aveva alcuni anni fa ma è ben lontana dall’essere in difficoltà.
Perché allora non immaginarla ancora in crescita? L’ottimismo della ragione ci dice questo. Vediamo cosa succederà. Comunque, l’azienda è sicuramente in una fase di costante consolidamento ed espansione anche della sua infrastruttura: negozi, campus di Cupertino – terminato con successo di pubblico e di critica a parte le polemiche sulle porte di vetro e gli open space distraenti – nuovi campus, nuovi accordi con produttori di componenti, forse nuove fabbriche in America.
Sistemi operativi
Cominciamo subito dalla parte più calda. L’elefante nel mezzo della stanza. Apple mantiene una pletora di sistemi operativi su categorie di oggetti diversi, ma lo fa in maniera sbilanciata. Da un lato c’è macOS, che deriva dalle modifiche aggiunte al sistema operativo NeXT, a sua volta basato su Unix e divenuto con il tempo uno Unix a sua volta. Dall’altra c’è iOS, che deriva da “iPhoneOS”, uno spin-off ridimensionato in maniera geniale di quello che all’epoca si chiamava Mac OS X. Da iOS derivano, sotto forma di ulteriori aggiustamenti per essere adatti al tipo di apparecchi che servono, i vari watchOS, tvOS, HomePodOS e i sistemi operativi del chip T2, della TouchBar e delle varie componenti smart dei Mac e altri apparecchi Apple.
È geniale ma c’è un problema che rimane: il salto fra macOS e iOS è molto più ampio di quelli tra iOS e gli altri sistemi operativi da lui derivati. Con la conseguenza che portare avanti tutti i filoni è impegnativo e in certi modi anche contradditorio. Qui si entra infatti nella problematica relativa all’obiettivo dei Mac e degli iPad, di cui parliamo tra un attimo. Come può essere risolto il problema? Non lo sappiamo, ma nel 2019 alla WWDC vedremo sicuramente delle novità importanti da questo punto di vista.
Non può non essere così, perché ormai il gap tra iOS e il suo hardware tablet (gli iPad Pro) è talmente marcato che non è più possibile far finta di nulla. Chi spende mille, millecinquecento euro per un tablet professionale che dovrebbe fare il lavoro a tutti gli effetti di un personal computer, non può poi ritrovarsi ancorato da un sistema operativo legato mani e piedi al paradigma del telefono, com molte funzionalità aggiuntive ma incapace sostanzialmente di fare lo stesso lavoro del Mac.
A meno che la chiave di lettura non sia un’altra, e cioè che il lavoro che deve essere fatto è invece quello ex novo di un apparecchio inedito, pensato per chi non vuole continuare a lavorare con il Mac sotto forma di iPad, ma è invece davanti a un universo nuovo. Molto si è scritto e detto sul fatto che l’iPad Pro funzioni meglio per certi tipi di lavoro ma soprattutto per certi tipi di profilo di utente: persone che non hanno una eredità pesante in termini di documenti e flussi di lavoro, ovvero persone capaci di rivoluzionarle radicalmente. È certo che la parte più problematica è la coesistenza di macOS e iOS, anziché l’utilizzo di uno dei due come unico sistema.
Mac
Apple ha molto da fare in questo segmento del suo mercato. Sostanzialmente equivalente a quello degli iPad, ha dalla sua una tradizione lunghissima che di fatto definisce l’azienda stessa, anche se ci sono decine e decine di milioni di utenti iOS che non hanno mai toccato un Mac. Le vendite degli iPhone e in certa misura degli iPad fanno da volano a quelle dei Mac, ma non è un passaggio sistemico significativo. Apple non mira più a prendere il posto di Microsoft come sistema operativo dominante dal punto di vista del PC, anche perché ha già superato la casa di Redmond sul versante di iOS e invece è impegnata in un confronto serrato con Android.
Tuttavia, c’è molto da fare con il Mac. Deve arrivare il Mac Pro e deve essere una macchina bella e convincente. Devono essere aggiornati gli iMac, i MacBook dodici pollici, il MacBook Pro 13 senza TouchBar (ammesso che la macchina resti a catalogo) e devono essere mostrate scelte tecnologiche importanti per il futuro. Soprattutto, c’è da chiedersi quale dovrà essere il futuro del Mac in un mondo apparentemente sempre più popolato di apparecchi touch e basati su altri approcci.
La cosa non è molto complicata. Gli appassionati vedono il ritardo e la difficoltà di Apple in questo settore come conseguenza dei ritardi e delle difficoltà del suo fornitore di chip, cioè Intel, messa in croce dalla fine della legge di Moore. E per questo si immaginano il passaggio a un sistema basato sui chip fatti in casa da Apple. Una risposta possibile, a cui sicuramente Apple lavora da moltissimo tempo, ma che non è la soluzione di tutti i problemi. Anche se domani Apple migrasse quantomeno i suoi portatili ai chip Ax, ci sarebbero varie aree da risolvere.
La prima: cosa fare delle macchine professionali? Per quanto in crisi, i chip di Intel sono ancora dei mostri di potenza per le applicazioni desktop pure e per le workstation. Apple è in grado di creare l’equivalente di un chip Xeon per un futuro Mac Pro o per un iMac? Lo svantaggio di dover avere software compilato per quella piattaforma – con un enorme problema di legacy e di gestione via emulatore tipo Rosetta dei vecchi software e driver critici per molte attività e utilizzi del Mac – non verrebbe ancora compensato dalla potenza e fluidità di sviluppo dei chip Ax come sistemi dekstop. Il passaggio da PowerPC (con i processori di Motorola e Ibm) a x86 con i chip di Intel avvenne tra eguali, mentre le architetture dei chip Ax, per quanto caricate all’inverosimile e di dimensioni maggiorate per poter andare presumibilmente nella direzione delle soluzioni desktop, ancora non sono pronte.
La seconda: cosa fare dei sistemi operativi? Perché il vero problema è il software, come dicevamo sopra. Apple avrebbe tutto il vantaggio possibile ad avere iOS anche sui MacBook e gli iMac e i Mac mini di fascia bassa, cioè delle macchine non professionali. E invece nelle macchine alto di gamma per professionisti (i MacBook Pro 15 a nove core, per esempio, o gli iMac Pro, i Mac mini più pompati, i futuri Mac Pro) non è neanche immaginabile migrare l’attuale macOS a versioni per quanto potenziate di iOS.
Manca tutto e manca tutto di proposito, perché nella creazione di iOS sono state tolte tutte le cose inutili per un telefono o – in prospettiva – per un semplice tablet. E adesso? Le rimettiamo? Oppure cambiamo da capo a piedi macOS trasformandolo in un sistema touch? E se anche lo facessimo, come lo ha fatto Microsoft con Windows 10 e precedenti, come gestiamo la sua relazione con iOS? Lo cancelliamo e lo sostituiamo con macOS reinventato?
Il problema come si vede non ha una soluzione logica. Si tratta di capire quale strada vuole scegliere Apple. Alla WWDC di giugno vedremo sicuramente un altro passo in avanti significativo. Speriamo lo sia davvero.
iPad e iPhone
Arrivati a questo punto del discorso, è facile immaginarsi che Apple potrà fare due cose. Mettiamo assieme i tablet con i telefoni, nonostante l’ultima tornata di iPad Pro abbia in qualche modo allontanato parte degli iPad dal resto dei prodotti iOS di Apple. Prendiamo la connettività come base, cioè la porta Lightning rispetto a quella USB-C dei nuovi iPad.
Le strade sono due: Apple può aumentare fino quasi a staccare gli iPad Pro dagli altri prodotti iOS, oppure può trascinare tutti nella stessa direzione. Per fare questo, la chiave di lettura è secondo noi la porta di connessione. Se insomma il prossimo iPhone sarà con USB-C, e così anche gli iPad consumer, allora il desiderio di Apple di tenere tutto il segmento unito diventerà più evidente. Altrimenti assisteremo a un allungamento che può essere solo prodromo di una frattura tra i prodotti Pro e gli altri, a un certo punto.
I telefoni dal canto loro sono molto avanti su tantissime tecnologie, ma il vantaggio competitivo di iPhone X, che quest’anno ha vissuto il suo anno “S”, è stato praticamente colmato e non solo dal punto di vista estetico con il notch onnipresente tra tutti i telefoni Android alto di gamma. Apple innova quando le tecnologie sono pronte e scalano le dimensioni industriali bene.
Altri provano schermi pieghevoli, notch che scompaiono e compaiono con sistemi meccanici, avveniristici chip 5G dalle dubbie capacità di funzionamento su reti di quinta generazione tutt’altro che stabilizzate: Apple preferisce andare avanti per innovazioni mature. Deve però fare dei passi in avanti marcati in alcuni settori: fattore di forma, risoluzione e obiettivi della fotocamera, autonomia della batteria, connettività, autenticazione (impronta digitale sotto lo schermo?).
Negozi
Una delle vere e proprie armi segrete di Apple sono i suoi negozi. Che si stanno trasformando ancora. Diventano ogni giorno di più dei centri di aggregazione o di servizi, oltre che posti dove comprare e farsi configurare e riparare i prodotti. Gli acquisti online per alcuni prodotti avvengono anche nel negozio, dove c’è tantissima assistenza e senso di identità.
I negozi sono il punto di aggregazione fondamentale. Un’oasi in un panorama del settore retail per l’elettronica che sta cambiando radicalmente. E chi non si adatta, muore, vedi la nostra grande distribuzione casinara da fiera di paese, con muri di apparecchi mal presentati e pieni di trappole (versioni di uno o due anni prima). La strada intrapresa nel corso attuale di Apple per trasformare i negozi in punti di aggregazione sociale è buona ma è perseguita in modo debole e non continuo. Il 2019 deve mostrare novità più chiare e soprattutto una esecuzione più innovativa.
Watch e AirPods
Apple ha a disposizione un ecosistema di piccoli apparecchi mal posti. Il caso positivo è l’Apple Watch, che è un prodotto relativamente poco utile, una soluzione in cerca di problemi, diventato un capocategoria di potenza enorme. Merito della capacità di Apple di contiuare a migliorarlo. Ci aspettiamo che migliori ancora, perché il suo successo funziona solo se viene mantenuto. La cosa che servirebbe sarebbe una variante con schermo “always on”, come un vero orologio meccanico.
Il caso di successo senza se e senza ma sono le cuffie AirPods, che hanno spaccato di brutto e trasformato innovandolo il mercato delle cuffie senza fili. Gioco di squadra scarso però con Beats, e comunque sarebbe ora di immaginare una ulteriore innovazione. Ad esempio, la ricarica senza fili coordinata con gli altri apparecchi leggeri di Apple. Ma qui siamo davvero in ritardo. Buona l’idea di trasformarle, come l’orologio, in sensori per la salute.
Apple TV e HomePod
Invece Apple TV ancora non fa il suo lavoro (e lo fa ancora meno nel nostro paese vista l’assenza del controllo vocale in italiano). Perché viene percepita come una versione di lusso e costosa dei super economici Chromecast, che invece fanno pochissimo. Apple TV è in realtà un potente iPad agganciato alla televisione, più simile a una console per videogiochi e altre attività. Che gli sviluppatori non capiscono o non vogliono capire e che viene presentata con un marketing probabilmente debole e fraintendibile da parte di Apple. Risultato? Non è la rivoluzione che potrebbe essere. Deve essere ripensata soprattutto perché arrivano servizi in streaming come ad esempio i videogiochi che rendono abbastanza inutile memoria locale e potenza di calcolo sulla Apple TV.
HomePod è un prodotto (non ancora commercializzato in Italia) gigantesco per qualità e resa ma che costa un botto e che fa meno di altri prodotti più orientati allo smart speaker “voice activated” di quello di Apple. A parte la discutibile scelta di design di mettere i comandi touch visivi sulla sommità dell’apparecchio – che in quanto speaker senza fili viene spesso messo su scaffali in alto – è qualcosa che sta a metà fra una soluzione da audiofili tipo Sonos e uno degli sgaruppati speaker cinesi ribrandizzati da altri marchi mondiali (tipo Amazon e Google). Peccato perché ha una qualità del suono epica.
Sinceramente per chi scrive, più che diventare più smart speaker per Siri da tenere in cucina dovrebbe diventare più smart speaker per la musica da tenere in soggiorno o in camera da letto. Ma si sa che non abbiamo sempre gusti mainstream. Comunque, se AirPlay 2 fosse arrivato un po’ prima e lo speaker costasse un 30–40% in meno (o almeno le coppie fossero scontate) avrebbe secondo chi scrive tutto un altro mercato.