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La crisi di mezza età  del Compact Disc

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Tempi duri per il buon vecchio cd. Una ricerca di Nielsen SoundScan, commentata dal Wall Street Journal, evidenzierebbe come le vendite dei cd siano calate nell’ultimo anno del 20%. Rispetto al 2005, nel 2006 sono stati venduti circa 80 milioni di compact disc in meno.
Un declino importante, soprattutto se si pensa che l’85% degli introiti delle vendite musicali deriva dal disco da 12 centimetri di diametro.
Quali sarebbero le cause di questa inflessione? A parere della testata americana i fattori sarebbero molteplici.

La crisi commerciale
In primo luogo la trasformazione del modello di vendita del cd: l’espansione delle grandi catene come Wal-Mart o Best Buy ha portato ad un abbassamento dei prezzi dei compact disc, tagliando le gambe agli store specializzati.
Proprio lo scorso anno Tower Records, una delle catene americane con il più ricco catalogo musicale, è stata dichiarata in bancarotta. Risultato: chiusi 500 dei 900 punti vendita.

Oggi le grandi catene di distribuzione assorbono il 65% del mercato di cd, senza però offrire la stessa competenza e varietà  sui prodotti. Nei grandi Megastore è molto più difficile trovare musica indipendente o più ricercata, cosa che non interesserà  minimamente l’ascoltatore della domenica, ma che deluderà  l’appassionato.

Ancor peggio, gli scaffali dedicati ai cd pare stiano diminuendo con il passare del tempo, tendendo a concentrasi sulle ultime uscite. Una filosofia simile a quella dei negozi BlockBuster, dove è difficile trovare film che siano usciti prima dell’altro ieri.

Senza poi contare l’ambiente delle grandi catene, spesso più simile a quello riscontrabile in un supermercato, nel quale i dipendenti si preoccupano solamente di fare lo scontrino ai clienti. Nella maggior parte dei casi potrebbero non sapere neppure se stanno vendendo cd o carciofi.
Molto differente dai negozi specializzati, in cui l’appassionato di musica poteva scambiare pareri o ricevere consigli.

Crisi culturale
Parte del calo di interesse verso il cd può anche essere dovuto a ragioni culturali: il cd, e quindi il concetto di “album”, non viene più visto come un prodotto dotato di un suo senso complessivo.
Oggi assomiglia tanto ad una collezione di tracce dalla quali andare a pescare il prossimo singolo di successo.
Per questa ragione gli ultimi anni vedono l’affermazione crescente del singolo di successo sull’album: al pubblico interessa QUEL singolo brano, non il disco nella sua totalità .

La crisi del concetto di album emerge anche nelle cifre: molto basse le vendite dei “top selling album” settimanali del 2006, a volte addirittura vicine alle 65,000 copie, contro le 400/500.000 del 2005.
Il cd, oggi, assomiglia più al tassello di una compagna pubblicitaria, più utile a pilotare tour, a vendere merchandise e a far circolare nomi e marchi, piuttosto che a fa guadagnare soldi tramite vendite.

L’affermazione di questo trend è sicuramente stata facilitata dall’avvento della musica digitale online.
Una volta si poteva scegliere fra il singolo e il disco completo e, facendo un breve calcolo, risultava più conveniente spendere un po’ di più per avere un album intero piuttosto che un brano solo, anche se remixato in tutte le salse.
Ora in rete è molto più facile acquistare singoli brani a prezzi irrisori. Si pensi solo ai singoli venduti sull’iTunes Music Store: meno di 2 Euro contro il prezzo del cd singolo, a volte vicino anche ai 10 Euro.

A questo si aggiunge la possibilità  e la comodità  di scaricare i brani direttamente sul cellulare, ascoltarli gratuitamente su comunità  come quelle di MySpace e, caso limite, scaricare illegalmente canzoni tramite software P2P, pagando zero.

A parere del WSJ la pirateria in rete avrebbe anch’essa inciso sul calo della vendite; a questo proposito esiste tuttavia una ricerca effettuata da Felix Oberholzer-Gee e Koleman Strumpf (in via di pubblicazione sul Journal of Political Economy di Chicago) che asserisce che il file-sharing influenzerebbe le vendite musicali per non più dell’infima percentuale di 0,7%.

Compensazione=adeguamento
Il brusco calo di vendite dei cd non è compensato dalla crescita degli altri canali di distribuzione, come gli store online o la musica scaricata via cellulare; “vie commerciali” che godono di un’affluenza ancora limitata e poco incisiva su una metaforica mappa del traffico commerciale musicale.

Questo probabilmente perché gli introiti ricavati dalle vendite online risultano essere meno cospicui rispetto al guadagno sui supporti fisici.
Fra i 20 euro di un cd, e i 9,99 Euro dell’equivalente su iTunes Music Store, non stentiamo a credere che il ricavato dell’industria discografica sia molto più alto nel primo caso. Più la “filiera produttiva” è breve più le possibilità  di guadagno per un vasto numero di attori diminuiscono.

Con l’espandersi del commercio in rete sarà  sempre più difficile per le industrie (discografiche e non) riuscire a mantenere il controllo su un mercato che, attraverso il Web, riesce ad ottimizzare i costi e a rendersi più indipendente.
Soprattutto vista le difficoltà  nel voler cambiare atteggiamento nei confronti di un ecosistema che necessita non tanto una forzatura dell’ambiente stesso, ma un adeguamento dei soggetti in esso protagonisti.
Pensiamo solo al dibattito sui DRM, che pare in stallo perpetuo sempre da più tempo: le parole, le lettere e i commenti dominano; i cambiamenti latitano.

Adeguarsi è un imperativo a cui tutti dovrebbero prestare attenzione, non solamente nel caso specifico dei i cd e dell’industria musicale: il richiamo è valido nel caso di tutti i beni “digitalizzabili”, di oggi e di domani.

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