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La transizione energetica ha impatti positivi su Prodotto Interno Lordo e occupazione

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Impatti positivi su Prodotto Interno Lordo e occupazione, oltre che svariati benefici ambientali. Gestire efficacemente la transizione energetica migliorando l’efficienza della governance è un presupposto essenziale non solo per garantire la sostenibilità del sistema energetico, ma anche per cogliere un’imperdibile occasione per creare valore e occupazione.

È quanto emerge dallo studio “European Governance of the Energy Transition” (PDF), realizzato da Fondazione Enel e The European House – Ambrosetti in collaborazione con Enel anticipato nell’ambito del Forum di The European House – Ambrosetti, in una conferenza stampa cui hanno preso parte Valerio De Molli, Managing Partner & CEO di The European House – Ambrosetti, Francesco Starace, CEO e General Manager di Enel e Stefano Manservisi, Professore e Membro della Task Force Internazionale Indipendente sull’azione Creativa per il Clima, Sciences Po – Scuola di Parigi per gli affari internazionali.

“La decisione dell’UE di ridurre le emissioni di gas serra del 55%, e non più del 40%, entro il 2030 (rispetto ai livelli del 1990), accompagnata dalla recente proposta del pacchetto “Fit for 55”, conferma che la decarbonizzazione è al centro della costruzione dell’Europa del futuro.” ha commentato Francesco Starace, Amministratore Delegato e Direttore Generale di Enel. “Colmare il gap di investimento con circa 3.600 miliardi di euro necessari per raggiungere l’obiettivo del 2030 in Europa, di cui circa 190 miliardi solo in Italia, avrebbe un impatto cumulativo sul PIL di oltre 8.000 miliardi di euro, di cui oltre 400 solo nel nostro Paese. Tuttavia al passo attuale l’Europa centrerebbe il nuovo obiettivo al 2030 sulle rinnovabili soltanto nel 2043. Sarebbe troppo tardi e sarebbe un peccato perdere anche l’occasione di una creazione di valore economico così grande. Occorre quindi accelerare e dotarsi di un sistema di governance adeguato alla portata della sfida, che sappia tradurre in azione concreta le intenzioni e valorizzare le enormi opportunità che derivano da questo impegno.”

È giunto il momento per l’Europa di mettere rapidamente in atto la transizione energetica, di cogliere l’opportunità di rivoluzionare la percezione e le modalità di gestione dell’intero comparto energetico. Questo settore ha il potenziale di catalizzare una visione di ampia portata per il futuro – potenziale di cui le istituzioni europee sono pienamente consapevoli” ha commentato Valerio De Molli, Managing Partner e CEO di The European House – Ambrosetti. “L’impegno dell’Europa è stato confermato e ulteriormente corroborato dal recente pacchetto “Fit for 55”, che prospetta un percorso di transizione energetica molto ambizioso per il continente. L’Europa dovrà moltiplicare gli sforzi per implementare questo cambiamento perché, di questo passo, il continente raggiungerebbe il nuovo obiettivo di riduzione delle emissioni di gas serra (GHG) del 55% non nel 2030, bensì nel 2051, ossia con 21 anni di ritardo. Per quanto riguarda le energie rinnovabili, al passo attuale, il nuovo obiettivo del 40% fissato per il 2030 verrebbe raggiunto solo nel 2043. Dal punto di vista dell’efficienza energetica, con gli attuali livelli di miglioramento, l’Europa arriverà a quota +36% nel 2053 invece che nel 2030.”

La transizione energetica ha impatti positivi su Prodotto Interno Lordo e occupazione

I cambiamenti climatici sono la più grande sfida del nostro tempo, una minaccia globale che trascende i confini dei singoli stati e ha conseguenze dirette sulla vita di tutti noi. Dagli anni ’90, l’Unione europea gioca un ruolo di primo piano a livello internazionale nella lotta contro i cambiamenti climatici, adottando politiche ad hoc e fissando obiettivi molto ambiziosi per ridurre i gas serra, incrementare la quota di energia da fonti rinnovabili nei consumi finali e migliorare l’efficienza energetica. Negli ultimi due anni, la Commissione europea ha alzato l’asticella e a luglio 2021 ha così portato l’obiettivo di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra dal precedente 40% ad almeno il 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990. Un traguardo ambizioso che nel prossimo decennio vuole consolidare la posizione dalla UE come leader globale della transizione energetica.

Gli investimenti nei settori coinvolti nel processo di transizione energetica genererebbero benefici a cascata, sia in Europa che in Italia con importanti effetti, indiretti e indotti. Infatti, lo studio dimostra che colmare questi divari nei prossimi 10 anni potrebbe avere un impatto cumulativo sul PIL di oltre 8.000 miliardi di euro nell’Unione Europea e oltre 400 miliardi di euro in Italia.

L’Europa ha quindi un’opportunità senza precedenti per varare investimenti commisurati alla posta in gioco. Il Next Generation EU, un piano pluriennale da 750 miliardi di euro finalizzato a creare un’Europa più connessa, sostenibile e resiliente, è il fulcro della strategia europea per la ripresa. L’Italia è la principale beneficiaria del Next Generation EU e ha redatto un Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza italiano (PNRR) che ammonta a circa 235 miliardi di euro, di cui il 30% dedicato alla missione “rivoluzione verde”.

A fronte di questa grande opportunità di creazione di valore e della urgenza associata al cambiamento climatico, lo studio evidenzia che, al ritmo attuale, l’Europa raggiungerebbe il nuovo obiettivo di riduzione del 55% dei gas a effetto serra solo nel 2051, con un ritardo di 21 anni rispetto al 2030. Per quanto riguarda gli altri nuovi obiettivi fissati per le rinnovabili (40%) e l’efficienza energetica (+36%), anche in questo caso l’Europa è in netto ritardo: al ritmo attuale verrebbero raggiunti rispettivamente nel 2043 e nel 2053. In Italia, il PNIEC deve ancora essere rivisto alla luce del pacchetto “Fit for 55”. Una stima dei nuovi obiettivi al 2030 per l’Italia potrebbe essere la seguente: riduzione del 43% delle emissioni di gas serra, un contributo del 37,9% delle energie rinnovabili e un aumento dell’efficienza energetica del 46,4%. Valutando le attuali performance dell’Italia nel raggiungimento di questi obiettivi, emerge un ritardo medio di 29 anni, contro i 19 dell’Europa, con un ritardo di 24 anni per le energie rinnovabili.

quindi necessario un rapido cambio di rotta, in grado di mettere l’Europa nelle condizioni di realizzare gli investimenti necessari a recuperare il ritardo accumulato negli anni ed accelerare la creazione di valore economico. Per poter sbloccare gli investimenti necessari è essenziale superare gli attuali ostacoli della governance della transizione energetica. Lo studio analizza l’attuale assetto della governance, definita come l’insieme di ruoli, regole, procedure e strumenti (a livello legislativo, attuativo e di controllo) relativi alla gestione della transizione energetica, finalizzati a raggiungere obiettivi strategici e operativi. Dallo studio emerge che la governance della transizione energetica in Europa deve fare i conti con tre questioni principali: l’energia è una competenza concorrente fra gli Stati membri e l’UE, c’è una crescente esigenza di implementare un nuovo sistema di enforcement “indiretto” ed è necessario rafforzare il nuovo meccanismo di gestione degli obiettivi green. In Italia, l’efficacia della governance della transizione energetica è limitata da cinque fattori: la frammentazione delle responsabilità tra i vari stakeholders a diversi livelli, la non uniformità delle norme locali e dell’applicazione a livello locale delle norme nazionali, un debole coinvolgimento e impegno delle istituzioni e delle comunità locali che erode l’accettabilità sociale, le inefficienze legate al ruolo degli enti pubblici tecnico-amministrativi e la frammentazione della formulazione delle politiche settoriali.

Per superare le sfide appena evidenziate, lo studio ha messo a fuoco sette proposte, suddivise in base alla rispettiva sfera d’azione: europea (nelle sue due dimensioni interna ed esterna) e italiana. Per quanto riguarda la dimensione europea interna si propone di rafforzare la cooperazione nella governance della transizione energetica, riconoscendo ufficialmente il suo ruolo critico e di adottare un approccio regionale per favorire l’integrazione dei mercati europei; per quanto riguarda la dimensione esterna dell’Unione Europea, lo studio propone di incoraggiare a livello internazionale il Carbon Border Adjustment Mechanism (CBAM) e di promuovere meccanismi più efficaci per assicurare che i Nationally Determined Contributions (NDC) siano coerenti con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi. Infine per quanto riguarda la sfera d’azione italiana si propone di semplificare le procedure di autorizzazione per gli impianti a fonte rinnovabile e promuovere interventi in favore dell’efficienza energetica, di creare un meccanismo di interazione omogeneo e standardizzato tra le autorità locali da un lato e i distributori di elettricità (Distribution System Operator, DSO) e i gestori dei punti di ricarica (Charge Point Operator, CPO) dall’altro per favorire lo sviluppo dell’infrastruttura di ricarica, e infine di promuovere la piena integrazione di distretti industriali e cluster di imprese a livello locale, di ecosistemi di innovazione e di comunità energetiche con la rete di distribuzione nazionale.

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