Apple da anni vive fondamentalmente del successo di iPhone, che è in una progressione straordinaria. Praticamente mai vista prima e non solo sul mercato della tecnologia. Ma c’è un problema. Se ci riflettiamo un attimo, possiamo anche capire il senso delle mosse che a quanto pare l’azienda di Cupertino sta preparando.
Da anni Apple vende sempre più iPhone. È arrivata a farne 200 milioni di pezzi all’anno. Un quantitativo simile vuol dire che non solo l’assemblaggio degli apparecchi ma anche la loro componentistica ha raggiunto una scala inimmaginabile. Pensateci. Serve una fotocamera da inserire davanti, per FaceTime? Bisogna che se ne possano produrre duecento milioni. Lo schermo Amoled o IPS? La produzione dei pannelli deve avere un ritmo di duecento milioni di pezzi all’anno. E parliamo di quelli che effettivamente funzionano e vanno in produzione e poi vengono venduti. A fronte di questi, c’è un 5–10% di altri pezzi che non passano i controlli di qualità o che devono ad esempio essere accantonati come magazzino parti per la manutenzione.
Questo crea delle fortissime diseconomie di scala: produrre così tanti apparecchi non è più un vantaggio economico diretto (di solito più ne fai meno ti costano: si chiama “economia di scala”) ma invece introduce un costo aggiuntivo. Il costo di far funzionare questo enorme sistema, inoltre prevede anche un ulteriore vincolo tecnologico: ci sono moltissime innovazioni alla portata di tutti che non possono essere inserite perché non c’è modo di averne un quantitativo sufficiente per la produzione. Questo vincolo è, ad esempio, una delle ragioni per cui Google con il suo smartphone “fatto in casa” non scala fino a produrne decine di milioni di pezzi. Non avrebbe la dimensione e la capacità di competere con Apple e con l’unico altro produttore che riesca a tenere il passo con questa quantità di pezzi, cioè Samsung.
Prendiamola da un altro punto di vista: se Apple vuole incorporare delle novità tecnologiche veramente rivoluzionare è costretta a produrre un telefono che non sia prodotto in decine e decine di milioni di pezzi dal primo giorno. Ha bisogno, cioè, di affiancare accanto all’iPhone 7s e iPhone 7s Plus, cioè le prevedibili iterazioni che arriveranno a settembre del telefono oggi sul mercato, anche un altro apparecchio con un altro nome, un’altra fascia di prezzo e un’altra disponibilità sugli scaffali.
Questo telefono potrebbe logicamente essere l’iPhone 8 o iPhone Pro, una sorta di anticipazione del domani fatta però oggi. Un telefono che porta con sé innovazioni non presentabili su scala gigantesca come per gli iPhone tradizionali e che quindi sarà sia prodotto in quantitativi minori che a prezzi maggiori. Apple ha storicamente un margine che non disaggrega per linea di prodotto, ma che è ragionevole calcolare per i telefoni attorno al 35% (nell’ultima trimestrale l’iPhone ha pesato per il 63% del complessivo del fatturato dell’azienda). Diciamo che sia un vincolo fisso a cui l’azienda non vuole e non può rinunciare per pagare tutta la ricerca, innovazione, marketing e struttura commerciale che ha messo in piedi attorno all’iPhone (inclusi gli investimenti miliardari nelle fabbriche dei partner per riuscire ad avere la scala di produzione, e nella logistica per avere la disponibilità just in time dei suoi prodotti ovunque nel mondo dal “day one” del lancio). Per mantenere questo margine di utili sopra al costo di un apparecchio prodotto in scala minore ma con parti più costose il prezzo salirà fisiologicamente sopra i mille euro. E permetterà di mantenere un livello di prezzo e di innovazione “ragionevole” sul prodotto di serie, cioè il futuro iPhone 7s/7s+.
I display Oled/Amoled, il Touch ID integrato nel vetro, che va a tutta faccia e si piega sulla scocca, sono innovazioni già esistenti che Apple deve riuscire a integrare. In passato ha provato la strategia di un approccio dal basso, cioè nella fascia di prezzo inferiore: prima con iPhone 5C e poi con iPhone SE, entrambe soluzioni low cost che hanno permesso (soprattutto la seconda) di riempire una intera fascia bassa di prodotto in maniera ottimale, consentendo ad Apple di pagare il prezzo della innovazione e della gigantesca scala del prodotto principale. Adesso che il livello di innovazione richiesto è sempre maggiore, perché altri produttori stanno realizzando prodotti molto innovativi ma in scala molto minore (e quindi possono permettersi tecnologie “visionarie” che Apple non è in grado di integrare nei suoi processi produttivi semplicemente perché non si riesce a produrne abbastanza pezzi) è arrivato il momento per l’azienda di Cupertino di giocare la carta del prodotto “alto di gamma”.
È un cambiamento di filosofia dettato da ragioni industriali e di mercato più che di innovazione di prodotto. Questo approccio sarà in grado di funzionare rispetto a una azienda che ha costruito il suo successo durante l’era Jobs basandosi su un altro razionale, e cioè la produzione di oggetti innovativi inediti sul mercato (e dove quindi il tema delle diseconomie di scala era molto differente, vista la mancanza di concorrenza), giocando sul prodotto e non sul mercato? Questo autunno vedremo.