C’è un meme che gira su internet. Un signore con una clamorosa camicia a quadretti apre un pacco con il suo regalo di compleanno. È una camicia perfettamente uguale. “Mi piace molto la mia nuova camicia”.
È più nuova, è più pulita, durerà di più. Apple non ha fatto così, ma quasi.
Sotto il vestito cambia tutto
Intanto, Apple in effetti con gli iPhone 14 Pro ha cambiato tutto tranne che la scocca. Cioè, la parte digitale come sappiamo è cambiata. Processore. Memoria. Sensori. Schermo. Fotocamera quad-pixel. È tutto nuovo. Quello che non cambia però è la forma.
Questo è contemporaneamente un bene e, secondo alcuni, un male. Il male sta nel fatto che sono tutti uguali. E il concetto è che questo vuol dire che non si può esibire il telefono in pubblico con la certezza che gli altri apprezzino il fatto che si tratta dell’ultimo modello. Potrebbe tranquillamente essere quello precedente. Ma questo può essere anche un vantaggio.
Perché uguale è bello
Avere un iPhone uguale a quello delle ultime due generazioni è bello perché fa durare di più la vita dei dispositivi precedenti. E questo è una cosa che dovremmo apprezzare, dato che ci lamentiamo sempre tutti dell’idea dell’obsolescenza programmata e sciocchezze del genere.
Ma anche perché il design di questa generazione di iPhone è particolarmente funzionale e consolidato: Apple sta procedendo a piccoli passi verso una migrazione particolare, che presto ucciderà i notch e tutte le altre cose (magari anche la presa per la ricarica oltre al cassetto della Sim) lasciando i telefoni come oggetti di alluminio e vetro, assolutamente astratti, alieni come il monolite di 2001 Odissea nello Spazio.
E allora perché non lavorare di fino su questa generazione, ripulendola con l’idea geniale del notch che si trasforma in una isola di notifiche dinamiche? Inoltre, non c’è stato ancora il cambiamento che impatta realmente sulla scheda madre del telefono, cioè l’introduzione di componenti diverse come la presa Usb-C, che probabilmente con la prossima generazione sostituirà la presa Lightning (in Europa sarà obbligatorio) e quindi non aveva senso avere apparecchi così simili ma differenziarli per una funzionalità strutturale come il tipo di connettore.
Il design iterativo
Infine, perché dietro c’è una filosofia, che piaccia o meno. È la filosofia del design iterativo.
La nuova linea di smartphone di Cupertino conferma la strategia dell’azienda, che si basa sulla forza del design iterativo anziché sul cambiamento fine a se stesso. Cioè Apple non cambia la squadra che vince, ma fa ritocchi minori per migliorarla continuamente.
Questo paradigma dell’innovazione progressiva tramite costanti miglioramenti nell’esecuzione è, a conoscere la storia di Apple, un classico e una costante sin dai tempi di Steve Jobs. Quando venne lanciato il primo iMac nel 1997, quando venne lanciato l’iPod nel 2001, da quando sono stati lanciati tutti gli altri prodotti di successo, Apple ha proceduto sempre nello stesso modo.
Prima si fa un nuovo prodotto, lo si testa veramente, lo si mette sul mercato quando è perfetto, e poi si va avanti un pezzettino alla volta. Una capacità di esecuzione che poi itera per decine di volte, costruendo una macchina da guerra impossibile da fermare.
L’industria dei terzisti
Infine, c’è un motivo pratico: Apple produce 200 milioni di iPhone per ciascun modello, all’incirca. Per fare questo, l’azienda fa mettere su dai suoi terzisti una filiera produttiva che è al di là della nostra fantasia più sfrenata. Sono in pochi a capirlo, uno di questi ovviamente è Tim Cook che in Apple come COO (responsabile delle operazioni) aveva proprio quella competenza.
Questa filiera e questi impianti vengono costruiti a tempo record ma non possono essere smantellati ogni 12 mesi. Invece, l’ottimizzazione è anche un esercizio di straordinaria complessità perché vuol dire che ci sono delle limitazioni all’innovazione che neanche ci immaginiamo. Mettere ad esempio una nuova videocamera all’interno del telefono pretende che ci sia una serie di ingombri compatibili, con spazi calcolati al centesimo di millimetro.
In conclusione
Tutto questo fa pensare che il gioco dell’innovazione di Apple, incontenibile devastante e poi progressiva, sia molto più articolato e complesso di quello che sembra. E dovrebbe farci anche pensare che sia una cosa molto più difficile da comprendere sino in fondo stando fuori dall’azienda.
Un gioco che da questo punto di vista rende ancora più interessante e apprezzabile il lavoro che viene fatto da Apple. Quando mettiamo le mani sui nuovi prodotti infatti quello che abbiamo di fronte non è semplicemente un prodotto innovativo costruito da zero, bensì un prodotto che innova nonostante sia costruito sopra una piattaforma molto complessa e nella quale ogni scelta deve essere sostenibile non solo nel presente ma anche per le future iterazioni.
Una forma di design che è più simile a un gigantesco rompicapo tridimensionale, nel quale Apple è diventata veramente maestra in questi anni, come nessun’altra azienda al mondo.