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La straordinaria cavalcata di M1 Ultra

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Come un colpo di teatro nella migliore tradizione degli spettacoli d’avanguardia o i keynote dei bei tempi che furono, Apple questa volta ha veramente tirato fuori un coniglio dal cilindro. E non stiamo parlando di telefoni, tablet, computer da studio o monitor (o partite di baseball il venerdì sera in tv, se è per questo).

No, invece ha fatto capire a tutto il mondo che la traiettoria dell’Apple Silicon nella sua prima incarnazione da prima serata, cioè M1 e variazioni Pro, Max e Ultra, è tutt’altro che banale. Quasi senza fine.

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Un chip per tutte le stagioni

Quando Apple ha annunciato la transizione dei suoi Mac da processori Intel a quelli fatti in casa, ha coniato la sua categoria, cioè gli “Apple Silicon” e noi tutti che osservavamo i fatti ci chiedevamo come sarebbero stati questi fratelli maggiori dei chip Axx che vanno su iPhone e iPad. La risposta è arrivata pochi mesi dopo con il lancio della prima bordata di prodotti: tre, per la precisione, tutti con lo stesso processore M1. Un Mac mini, un MacBook Air e un MacBook Pro 13.

Ci siamo chiesti se questo sarebbe stato sufficiente, se saremmo andati presto alla prossima generazione di processori SoC per riempire gli spazi o se Apple avrebbe potenziato i chip che aveva appena immesso sul mercato per “coprire” i computer più potenti, o addirittura sarebbe passata ad architetture processore. Apple ha scelto in buona sostanza la prima strada, cioè espanso la linea M1 con l’aggiunta di un mare di “core” e di transistor. Prima però ha fatto venire un brivido a tutti lanciando un iMac 24 bellissimo ma con lo stesso processore di altre linee di computer precedenti (appunto, Mac mini, MBA e MBP13).

La scelta ha fatto venire un brivido e ci ha fatto chiedere anche come fosse possibile questa magia per cui Apple continuava a piazzare sostanzialmente lo stesso chip uguale identico (con la piccola variazione dell’ottavo core della componente grafica) in macchine tanto diverse per usi e destinazioni oltre che per prezzi sul mercato. Ovviamente la risposta era nascosta nell’ombra.

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Quando il gioco si fa duro

Pochi mesi dopo e abbiamo visto arrivare il doppio MacBook Pro: la versione 14 e 16 pollici. Scocca inedita, profilo “tosto”, un buon numero di porte e soprattutto una novità: la differenza è nello schermo, perché i due computer portatili professionali si possono configurare esattamente con le stesse specifiche. Certo, il “piccolo” ha meno batteria ma ha anche uno schermo più piccolo che consuma meno. Alla fine, la potenza e il fattore di forma sono diventate due variabili tra loro indipendenti.

La sorpresa vera però è stata la messe di processori: doppia rispetto alle aspettative. Un processore “medio”, lo M1 Pro, e un processore “super”, M1 Max. A questo punto in molti ci siamo messi il cuore in pace e ci siamo detti: Apple sta per finire il suo lavoro: deve solo lanciare un iMac con schermo più grande e potente e un Mac Pro, e poi ha finito, può ricominciare il giro con il nuovo processore M2 magari per MacBook Air.

Man mano che passavano le settimane ci venivano dei dubbi: forse non sarà così. Forse c’è un ritardo o comunque M1 ha finito la sua traiettoria, una parabola, e adesso arriverà M2. I rumors, quella parte di indiscrezioni che puntano più sui ragionamenti “logici” che non sulle voci che filtrano da Cupertino, stavano cercando di farsi una ragione con le poche informazioni a disposizione. Poi, la sorpresa di Peek Performance, l’evento che passerà alla storia per aver allungato la vita di un processore. E averlo fatto alla grande.

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Un vestito buono per tutte le stagioni e le taglie

La sorpresa che Apple ha tirato fuori è una componente nascosta nel silicio dei suoi SoC. Una componente nascosta in piena vista (si fa per dire). Un segreto (è stato presentato così dai dirigenti di Apple) che ha nascosto la possibilità per i SoC più grandi di fondersi e più che raddoppiare la potenza e la capacità.

Grazie a un lavoro di ingegneria in cui il ponte ultraveloce di comunicazione è solo la punta dell’iceberg, il nuovo M1 Ultra è in buona sostanza l’accoppiamento di due M1 Max. Solo che i due processori vengono “fusi” in maniera tale che per il sistema operativo e i software che stanno sopra sono un solo chip. Il vantaggio è presto detto: tutto il software di Apple è in grado di usare il chip più potente senza dover fare nessun cambiamento. Aumentano i core ma non c’è un tema di parallelizzazione del calcolo come se venissero usati due SoC separati uniti da un ponte esterno. Il sistema viaggia semplicemente facendo aumentare il numero di transistor e di core a disposizione. È una soluzione che potremmo definire praticamente geniale.

La grande strategia di Apple

A questo punto la grande strategia di Apple si è dispiegata completamente. L’azienda sta trattando il segmento di Apple Silicon per i Mac come una estensione dei chip per iPhone e iPad che, in versioni diverse, vengono passati da un apparecchio all’altro. Adesso gli M1 si stanno espandendo verso la parte bassa della linea di iPad (solo un problema di dimensioni della scocca impedisce di vederli dentro i prossimi iPhone, si può pensare) mentre i nuovi prodotti vanno a saturare verso l’alto le macchine più potenti. Tutto può essere fatto con M1 da normale a Ultra passando per Pro e Max tranne che il Mac definitivo, il Mac Pro per il quale probabilmente Apple ha in serbo altre sorprese.

Certamente la prima generazione di Apple Silicon per Mac, gli M1 ha dimostrato di avere un’energia e una potenza insospettabile. Non tanto e non soltanto la potenza assoluta del singolo chip, quando la gamma dinamica, l’ampiezza di variazione delle prestazioni dal modello più umile che ha un anno e mezzo di vita, il chip M1 che sta comunque viaggiando benissimo sia con macOS che con iPad Pro e adesso Air, al processore M1 Ultra che promette di fare fuoco e fiamme come forse nessun altro chip prima di lui. Un processore con un furore tale da poter attaccare addirittura gli Xeon di Intel, che fino a ieri erano un mostro sacro senza eguali, e le schede video più “cattive” sul mercato. Il tutto non soltanto con prestazioni migliori, ma anche con consumi estremamente più contenuti.

Quella che abbiamo visto celebrare in questi 18 mesi è la leggenda degli M1, una generazione di processori che ricorderemo a lungo. Adesso la domanda che si pone è un’altra: i futuri M2 saranno altrettanto rivoluzionari e soprattutto avranno altrettanto capacità ed estensione come gli M1?

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No, invece ha fatto capire a tutto il mondo che la traiettoria dell’Apple Silicon nella sua prima incarnazione da prima serata, cioè M1 e variazioni Pro, Max e Ultra, è tutt’altro che banale. Quasi senza fine.

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Un chip per tutte le stagioni

Quando Apple ha annunciato la transizione dei suoi Mac da processori Intel a quelli fatti in casa, ha coniato la sua categoria, cioè gli “Apple Silicon” e noi tutti che osservavamo i fatti ci chiedevamo come sarebbero stati questi fratelli maggiori dei chip Axx che vanno su iPhone e iPad. La risposta è arrivata pochi mesi dopo con il lancio della prima bordata di prodotti: tre, per la precisione, tutti con lo stesso processore M1. Un Mac mini, un MacBook Air e un MacBook Pro 13.

Ci siamo chiesti se questo sarebbe stato sufficiente, se saremmo andati presto alla prossima generazione di processori SoC per riempire gli spazi o se Apple avrebbe potenziato i chip che aveva appena immesso sul mercato per “coprire” i computer più potenti, o addirittura sarebbe passata ad architetture processore. Apple ha scelto in buona sostanza la prima strada, cioè espanso la linea M1 con l’aggiunta di un mare di “core” e di transistor. Prima però ha fatto venire un brivido a tutti lanciando un iMac 24 bellissimo ma con lo stesso processore di altre linee di computer precedenti (appunto, Mac mini, MBA e MBP13).

La scelta ha fatto venire un brivido e ci ha fatto chiedere anche come fosse possibile questa magia per cui Apple continuava a piazzare sostanzialmente lo stesso chip uguale identico (con la piccola variazione dell’ottavo core della componente grafica) in macchine tanto diverse per usi e destinazioni oltre che per prezzi sul mercato. Ovviamente la risposta era nascosta nell’ombra.

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Pochi mesi dopo e abbiamo visto arrivare il doppio MacBook Pro: la versione 14 e 16 pollici. Scocca inedita, profilo “tosto”, un buon numero di porte e soprattutto una novità: la differenza è nello schermo, perché i due computer portatili professionali si possono configurare esattamente con le stesse specifiche. Certo, il “piccolo” ha meno batteria ma ha anche uno schermo più piccolo che consuma meno. Alla fine, la potenza e il fattore di forma sono diventate due variabili tra loro indipendenti.

La sorpresa vera però è stata la messe di processori: doppia rispetto alle aspettative. Un processore “medio”, lo M1 Pro, e un processore “super”, M1 Max. A questo punto in molti ci siamo messi il cuore in pace e ci siamo detti: Apple sta per finire il suo lavoro: deve solo lanciare un iMac con schermo più grande e potente e un Mac Pro, e poi ha finito, può ricominciare il giro con il nuovo processore M2 magari per MacBook Air.

Man mano che passavano le settimane ci venivano dei dubbi: forse non sarà così. Forse c’è un ritardo o comunque M1 ha finito la sua traiettoria, una parabola, e adesso arriverà M2. I rumors, quella parte di indiscrezioni che puntano più sui ragionamenti “logici” che non sulle voci che filtrano da Cupertino, stavano cercando di farsi una ragione con le poche informazioni a disposizione. Poi, la sorpresa di Peek Performance, l’evento che passerà alla storia per aver allungato la vita di un processore. E averlo fatto alla grande.

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Grazie a un lavoro di ingegneria in cui il ponte ultraveloce di comunicazione è solo la punta dell’iceberg, il nuovo M1 Ultra è in buona sostanza l’accoppiamento di due M1 Max. Solo che i due processori vengono “fusi” in maniera tale che per il sistema operativo e i software che stanno sopra sono un solo chip. Il vantaggio è presto detto: tutto il software di Apple è in grado di usare il chip più potente senza dover fare nessun cambiamento. Aumentano i core ma non c’è un tema di parallelizzazione del calcolo come se venissero usati due SoC separati uniti da un ponte esterno. Il sistema viaggia semplicemente facendo aumentare il numero di transistor e di core a disposizione. È una soluzione che potremmo definire praticamente geniale.

La grande strategia di Apple

A questo punto la grande strategia di Apple si è dispiegata completamente. L’azienda sta trattando il segmento di Apple Silicon per i Mac come una estensione dei chip per iPhone e iPad che, in versioni diverse, vengono passati da un apparecchio all’altro. Adesso gli M1 si stanno espandendo verso la parte bassa della linea di iPad (solo un problema di dimensioni della scocca impedisce di vederli dentro i prossimi iPhone, si può pensare) mentre i nuovi prodotti vanno a saturare verso l’alto le macchine più potenti. Tutto può essere fatto con M1 da normale a Ultra passando per Pro e Max tranne che il Mac definitivo, il Mac Pro per il quale probabilmente Apple ha in serbo altre sorprese.

Certamente la prima generazione di Apple Silicon per Mac, gli M1 ha dimostrato di avere un’energia e una potenza insospettabile. Non tanto e non soltanto la potenza assoluta del singolo chip, quando la gamma dinamica, l’ampiezza di variazione delle prestazioni dal modello più umile che ha un anno e mezzo di vita, il chip M1 che sta comunque viaggiando benissimo sia con macOS che con iPad Pro e adesso Air, al processore M1 Ultra che promette di fare fuoco e fiamme come forse nessun altro chip prima di lui. Un processore con un furore tale da poter attaccare addirittura gli Xeon di Intel, che fino a ieri erano un mostro sacro senza eguali, e le schede video più “cattive” sul mercato. Il tutto non soltanto con prestazioni migliori, ma anche con consumi estremamente più contenuti.

Quella che abbiamo visto celebrare in questi 18 mesi è la leggenda degli M1, una generazione di processori che ricorderemo a lungo. Adesso la domanda che si pone è un’altra: i futuri M2 saranno altrettanto rivoluzionari e soprattutto avranno altrettanto capacità ed estensione come gli M1?

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