Le fabbriche nello spazio: uno dei temi classici della fantascienza: l’astronave Enterprise, nel mondo di Star Trek, viene costruita ovviamente in cantieri orbitali, mentre la produzione di generi di sussistenza per le colonie lunari avviene ovviamente in loco, sfruttando la materia prima nel romanzo “La Luna è una severa maestra”. O che dire dei Side, i giganteschi mondi autonomi e orbitanti, dell’universo di Gundam? Peccato che per adesso non si produca niente in orbita o più in là. Oppure no?
Secondo quanto riportano le agenzie americane, infatti, la manifattura spaziale sta per decollare, letteralmente. Ovviamente non saranno torni e telai numerici quelli che vanno in orbita, ma una stampante 3D che permetterà di avviare la sperimentazione della produzione additiva al di fuori della superficie terrestre. Ovviamente si tratta di poco più che di una prova, ma molto importante. Il punto di arrivo non è tanto iniziare a produrre beni di consumo per la Terra in orbita, ma piuttosto limitare in maniera notevolissima il quantitativo di parti di ricambio prefabbricate che è necessario imbarcare per ogni missione.
Pochi ci pensano ma, dati i lunghi tempi necessari a spedire rifornimenti e pezzi di ricambio in caso di danneggiamenti, la stazione spaziale internazionale e tutti i sistemi di stazioni orbitanti hanno la necessità di risolvere un trade off molto difficile: quanto del prezioso e limitato peso e spazio di carico destinare ai pezzi di ricambio anziché ai sistemi per gli esperimenti o per altri tipi di attività orbitale?
Ecco che arrivano le stampanti 3D: utilizzano una polvere generica (materiali plastici, resine, metalli) e possono produrre qualsiasi cosa all’interno di un determinato insieme. Questo vuol dire che lo stesso sacco da un chilogrammo mettiamo di resina può produrre un numero elevatissimo di oggetti diversi, che se si dovessero caricare tutti assieme e portare in orbita peserebbero tonnellate. Il vantaggio è che non occorre sapere prima cosa servirà per poterlo avere con sé, e se la materia prima scarseggia, si può programmare un nuovo invio che ha questa modalità “compressa” concettualmente dal punto di vista dell’astrazione massima, paragonabile alla riduzione dei documenti digitali con Zip o altri sistemi.
Il prossimo passo poi quale sarà? La fantascienza, ovviamente: le stampanti 3D più sofisticate aprono la strada alla produzione di oggetti basata sull’utilizzo di materie prime raccolte direttamente in orbita, su asteroidi, sulla Luna. E questo permetterebbe davvero di creare colonie autosufficienti, capaci di produrre gli oggetti necessari. Non siamo ancora al livello dello strumento questo sì fantascientifico che produce cibo sull’Enterprise, oppure al ponte ologrammi sempre della stessa astronave, ma la direzione è quella. Prima o poi, forse, ci arriveremo.
L’esperimento di cui si parla nell’articolo della prima stampante 3D tocca anche un altro aspetto, cioè la possibilità di produrre materiali con gradi di purezza impossibili sulla Terra, come accade con la fibra ottica quando non c’è la gravità che introduce distorsioni e impurità. Gli esperimenti aggiungeranno altri piccoli tasselli a un mosaico sempre più complesso e interessante.