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La seconda volta di Tim Cook: tutta un’altra Apple

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Apple sta cambiando pelle. Siamo davanti all’evoluzione di una azienda e della sua leadership che avviene in maniera continua ma (sempre meno) carsica, una vera e propria rivoluzione in punta dei piedi. Siamo arrivati alla soglia della seconda volta di Tim Cook come Ceo di Apple, senza che ci sia mai stata una soluzione di continuità rispetto alla prima.

È un’altra eccezionalità di Apple che vale la pena fotografare e registrare grazie ai puntelli offerti dalle trimestrali, come quella di ieri sera, che si succedono e che, come carotaggi, mostrano l’evoluzione interna, anzi interiore dell’azienda.

Apple infatti – lo ripetiamo – sta cambiando pelle e ancora di più. I numeri della trimestrale lo dicono chiaramente. Sia il totale, che vede un calo nel fatturato del 5% (“fermo” si fa per dire a 58 miliardi di dollari anno su anno) che nel calo di iPhone (-18% sul fatturato, i numeri non sono più indicati ma c’è chi si spinge ad ipotizzare un -30%  nelle vendite), nella crescita di iPad (+22%), degli accessori (quasi +50%) e soprattutto sui servizi. E il titolo cresce del 5%.

Le perdite in valore assoluto derivano dal fatto che gli iPhone sono oltre il 60% del giro d’affari dell’azienda (com il 61% dei guadagni che viene dalle vendite al di fuori degli Usa, ma crollo in Cina dove passa da 13,02 miliardi a 10,22), ma la tendenza è trasformare questo in un mix differente. Apple infatti adesso punta sui servizi e sulla rivalutazione degli altri prodotti hardware, a partire dagli iPad (che infatti crescono) e anche dei Mac. E da solo Apple Watch con AirPods sono arrivati a quota 5,1 miliardi (era 3,94 miliardi un anno fa)

Apple non vende un servizio unico, in realtà ne vende più di uno e in prospettiva ancora di più. Quindi a contare è la somma delle persone che hanno sottoscritto un servizio della casa di Cupertino, sia esso un piccolo aumento dello spazio iCloud o l’abbonamento a Musica, è di 390 milioni di persone, con un fatturato totale di 11,5 miliardi, che Tim Cook indica essere parti a circa un terzo dei profitti.

Questa è la foto della trasformazione di Apple, dopo la fase iniziata con il lancio di iPhone nel 2007 cresciuto come giro d’affari a dismisura sia prima che soprattutto dopo la scomparsa di Steve Jobs nel 2011: Apple sta cambiando pelle. Nuovi accessori (orologi, auricolari) che sono diventati dei veri e propri fenomeni sociali e sommati fatturano praticamente quanto i Mac, nuovi servizi (ne stanno per arrivare quattro compresa la televisione, crescono in maniera notevole quelli esistenti), più valutazione per gli “altri hardware” (soprattutto iPad in questo ciclo, toccherà ai Mac entro la fine dell’anno) e infine un complessivo spostamento dell’azienda verso un mix di vendite e di presenze internazionali più bilanciato.

Ad aver colpito di più i conti di Apple sono stati il calo delle vendite in Cina (notevole) e il complessivo calo delle vendite di iPhone, che sta esaurendo il suo ciclo. La crescita delle altre divisioni è promettente, positiva, interessante ma ancora relativa. Sembra però la direzione giusta, considerando anche il resto. La strategia infatti continua a essere orientata all’eticità: Apple non monetizza gli utenti ma anzi li difende.

Tratta in maniera *green* ed ecologica tutto quel che può trattare (100% rinnovabili per l’azienda e la filiera, prodotti realizzati con materiale di pregio riciclato). Investe in politiche ambientali sensate. All’interno dell’azienda cresce la diversità. Per i dipendenti gli Apple Store sono uno dei posti migliori in cui lavorare nel settore retail. E redistribuisce la ricchezza che accumula tramite acquisizione delle proprie azioni sul mercato e dividendi: in pratica, se Apple fosse una nazione e il fatturato il provento dalle imposte dirette e indirette, ridistribuirebbe più ricchezza di qualsiasi altro sistema nazionale del pianeta.

Certamente non è un paradiso e sicuramente Apple non è un’opera di beneficienza. Tuttavia, in un momento di profonda trasformazione del mercato, in cui ai colossi hi-tech viene chiesto di dimostrare di essere qualcosa di più che dei magneti per fare soldi a tutti i costi, Apple si è presa il compito di occupare uno spazio ragionevole e notevolmente grande della scena.

Si sa che i servizi aumenteranno e probabilmente diventeranno un’unica forma di abbonamento (simile a Prime di Amazon) magari con delle diversificazioni. Si sa che Apple continuerà a investire lungo il filone degli oggetti indossabili (AirPods e Apple Watch sono dopotutto due categorie di questo settore) e a spingere per fare in modo che si possano integrare altri servizi e altre informazioni sempre nel rispetto della privacy delle persone.

Volevamo sapere insomma come si sarebbe comportata e cosa sarebbe diventata Apple dopo la scomparsa di Steve Jobs e quando la spinta dei prodotti realizzati o immaginati durante la sua seconda venuta si sarebbe cominciata ad esaurire? La risposta è questa: un’azienda migliore, più diversa, inclusiva, articolata, che cerca di fare di più in più settori. Magari senza un grande “boom” come voleva Jobs, l’uomo dei prodotti, ma mettendo assieme gli ingranaggi di tante ruote diverse per far funzionare un meccanismo complesso che, quando prende velocità, produce soldi come nessuno mai.

Siamo davanti alla seconda volta di Tim Cook, in una transizione interna che è una trasformazione anziché una rottura. Vediamo dove ci porta.

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