Mescoliamo un po’ di carte, facciamo un unico discorso legando cose differenti. Tanto per cominciare, bisogna considerare che l’ebook in quanto tale è nato addirittura negli anni settanta, con la creazione il 1 dicembre 1971 del progetto Gutenberg grazie al compianto e poco celebrato Michael S. Hart, che digitalizzò la dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti su un mainframe della Xerox, un Sigma V, dell’università dell’Illinois, dove studiava. Era uno dei primi 15 nodi della nascente Internet, Hart ebbe libero accesso alla macchina e decise allora di “restituire” alla comunità qualcosa. Mettendo i primi 10mila libri più consultati delle biblioteche pubbliche americane online digitalmente in modo gratuito per tutti.
Il (microscopico) successo dell’ebook free
Per la fine degli anni Novanta l’obiettivo venne raggiunto con i libri fuori dal copyright e oggi il progetto Gutenberg – in inglese – raccoglie più di 50mila libri gratuiti. E questo è l’inizio, attorno al quale si possono raccontare anche altre storie: il Memex di Vannevar Bush ad esempio, cioè la macchina inventata concettualmente dal ricercatore americano nel 1945, che si basava su testi digitali e in microfilm raccolti e azionati automaticamente attraverso una serie di nuove modalità di collegamento intertestuale, quello che oggi chiamiamo “ipertesti”, con link e collegamenti vari.
Era dopotutto come diceva Marshall McLuhan: tutti i libri del mondo potranno essere disponibili da una singola scrivania. E il massmediologo lo diceva da un posto lontano nel tempo che non conosceva ancora né Windows né Mac, ovviamente. Facciamo un salto in avanti: sia Jorge Luis Borges aveva immaginato il Libro di Sabbia con pagine infinite che contiene tutti i testi: Alan Kay (uno dei principali informatici del nostro tempo) si ispirò a questa idea per disegnare il DynaBook, il primo concetto di personal computer portatile che sta sulle gambe, connesso via radio a un contenitore di informazioni lontano, tra le nuvole, e capace di presentare qualsiasi informazione davanti all’utente. Era il 1968.
L’ipertesto come lo conosciamo tutti
Dopo ci sarebbero stati Ted Nelson e Tim Berners-Lee con le loro idee di ipertestualità digitale, che sono quel che conosciamo oggi alla base del web. Un modo per archiviare, collegare e raggiungere le informazioni in rete. Ma per un periodo sembrava che il futuro dei libri sarebbe stato quello: ipertestuale. CD rom interattivi. Multimedialità. Tutto risolto alla fine degli anni Novanta quando si capì che il libro perlomeno di narrativa rimaneva una opera chiusa e tradizionale, mentre casomai diventava multimediale parte della saggistica.
Veniamo all’anno più importante dell’epoca presente, quello che ha iniziato a distruggere l’editoria moderna. Mentre erano nati sempre più numerosi e popolati gruppi di pirati dei libri, che negli anni Novanta-Duemila scannerizzavano e digitalizzavano “a mano” i libri che piacevano loro per poterli poi leggere sui loro dispositivi, come ad esempio i vari palmari dell’americana Palm, si lavorava dietro le quinte alla trasformazione. Sony introduceva il Librié (2004) uno dei primissimi reader e-Ink, cioè con schermo simile alla carta come risoluzione e basso consumo, che apriva la via al brevetto dell’azienda di Cambridge per poter avere più spazio sul mercato. E arrivare ad Amazon.
Il colpo gobbo di Amazon
Il colosso della distribuzione via posta di libri tradizionali aveva capito che l’ebook avrebbe potuto cannibalizzare il suo mercato. Anziché opporsi, decise di cavalcare la novità. E fare il Kindle. Lanciato nel 2007, a partire dal 2009 l’apparecchio divenne inevitabile per tutti quelli che volevano leggere un libro. Perché pian piano il catalogo, grazie alla potenza di fuoco di Amazon, diventava enorme. Parliamo di uno o due milioni di libri. Che vivevano una vita strana: venivano pensati e scritti in digitale, corretti e poi “montati” per essere pubblicati su carta.
Tradizionalmente con software Adobe o PageMaker in formato Eps-Pdf, cioè il più lontano possibile dal formato degli eBook. Che anziché essere rigidi per garantire che ogni pagina fosse sempre uguale (dato che le pagine di carta di un singolo libro hanno una dimensione X e non si vuole che il testo faccia “scherzi” e si reimpagini da solo), prevedevano proprio la massima flessbilità e liquidità di impaginazione rispetto alle mille posssibili dimensioni di pagina e di carattere.
Questo perché gli ebook reader hanno schermi di forme diverse e con font di dimensioni diverse. Un problema che la tecnologia informatica applicata alla visualizzazione dei contenuti aveva già incontrato con il web e le pagine da far vedere. E quindi, gli ebook dei formati più popolari (mobi derivante da prc di Palm ed epub) sono in realtà delle pagine html organizzate e zippate tutte assieme.
Rose e spine degli ebook
L’esplosione degli ebook ha portato con sé due problemi. La reperibilità del catalogo e soprattutto la necessità del DRM per evitare le copie illegali. Proprio come la musica. Ma ha anche aperto un’altra opportunità, come è accaduto nella musica digitale e in altri ambiti ad esempio nel video: saltare a pie’ pari l’editore e legare l’autore alla piattaforma di distribuzione e questa al lettore. Ed ecco che è ritornato il self publishing.
E questo si sta rivelando, numeri alla mano, il fenomeno più interessante ma anche più limitante della nuova ondata. Perché la valanga di ebook fatti in casa sono quasi tutti fatti molto male: non hanno un filtro editoriale ma soprattutto non hanno un filtro redazionale. I testi non vengono corretti e uniformati a standard “umani”, le impaginazioni sono storte e sghembe, le copertine agghiaccianti. I testi non ne parliamo. Per qualche libro professionale che esce fuori dalla massa, ci sono letteralmente milioni di incubi illeggibili.
A cosa serve un ebook reader
Il fatto poi è che le dimensioni contano. Leggere su un reader magari per anni di seguito (i primi Kindle sono perfettamente funzionanti ancora oggi e tutto sommato divertenti da usare, ma lo stesso vale per il Librié di Sony e gli altri) rende tutti i libri praticamente uguali. Un po’ come se leggessimo tutti i libri della nostra vita tutti nella stessa edizione e nella stessa collana. Senza alcuna differenza. Praticamente un unico, infinito libro, che ha anche un’altra, inquietante proprietà: i punti del testo non sono dove te li ricordi. A causa della reimpaginazione fluida, quello che oggi è sopra domani è sotto. E poi, siccome la metafora, l’esperienza varia della lettura del libro di carta con l’eBook è solo parziale (c’è una sola pagina, non la coppia destra-sinistra) il risultato è che non c’è memoria spaziale. Si fa più fatica ad appropriarsi del testo. Il contenitore e la forma contano, insomma.
Sarà per questo o per chissà quali altri motivi, tra cui magari la paura di non possedere più i propri libri dato che sono erogati come servizio e coperti da DRM: qualora Amazon dovesse fallire, tutti i libri su Kindle si bloccherebbero per sempre) che si sta ritornando al libro analogico. Il digitale ha molti vantaggi (avvicina il lettore al libro permettendo di comprarlo online direttamente dal Kindle, ad esempio anche alle due di notte dal proprio letto mentre si è prigionieri dell’insonnia) ma anche svantaggi (il libro diventa impalpabile, a differenza dei libri tradizionali, che sono anche la carta su cui vengono stampati).
Fenomenologia dell’ebook reader
Si va in vacanza leggeri, con il Kindle o il Tolino o il Kobo o quel che è pieno di mille e più libri, ma poi si torna a casa e gli oggetti non ci sono, la memoria non scatta. Per un lettore leggero, non abituale, che consuma cinque libri all’anno, va bene. Anche se non è il lettore ideale per un ebook reader. Invece per il lettore “pesante” (quello da quindici-venti libri in su) la comodità è tanta ma l’esperienza non è completa e gratificante, l’oggetto non c’è più.
Inoltre, l’oggetto digitale, accorciando drammaticamente la filiera e abbattendo il prezzo del libro, produce un effetto devastante sulla tradizionale struttura di lavoro dei libri. L’industria editoriale dove un piccolo tesoro di professionalità sconosciute ai non addetti ai lavori sono i veri folletti dei libri. Einaudi ha pubblicato capolavori grazie al talento dei suoi scrittori e dei suoi direttori di collana, ma anche al lavoro instancabile di una legione di traduttori, editor, correttori di bozze, grafici e designer di pagine e copertine. Un patrimonio comune a tutti i grandi editori e a molti di quelli più piccoli ma ben attrezzati. Tutti evaporati di fronte a sistemi di self publishing che non premiano la qualità, perché non interessa vendere tante copie o fare cultura, ma il numero. Perché vince chi pubblica più titoli, guadagnando qualche euro su ciascuno.
Invece, la reazione del libro di carta (pubblicato dagli stessi editori che poi fanno anche l’edizione digitale) è stata quella di migliorare la cartotecnica e in generale la resa dell’oggetto libro. Mantenendo una cura relativamente buona e cercando soprattutto di dare oggetti più gradevoli e durevoli di prima. Risultato? Ci sono begli oggetti in libreria e sempre più scelta sugli store digitali degli ebook.
Un mondo senza progressi
Le preoccupazioni poi derivano anche dalla mancanza di sostanziali progressi nel settore degli ebook che, dopo aver tentato la carta della multimedialità (anche loro!) hanno visto sostanzialmente il ritorno alla tradizione della copia digitale del libro di carta. Cioè, l’edizione di riferimento rimane quella analogica e la digitale ne è solo la versione portabile. Ci sono poche eccezioni (i libri di studio per le univertistà americane, qualche libro per le scuole nostrane) ma sostanzialmente la doppia presa degli editori e dei proprietari delle grandi piattaforme come Amazon e Apple impediscono la nascita di formati aperti interscambiabili.
L’unico vero tentativo da questo punto di vista è Calibre, il jukebox software, una sorta di iTunes degli ebook privi di DRM che da anni è il vero pivot della rivoluzione informale dei libri digitali. Calibre è interessante, ha anche la possibilità di installare plugin. Ma ha una grande debolezza. Non ne esiste una versione mobile, per tablet e per smartphone. Rendendo la sua esperienza limitata nel mondo sempre più mobile e con meno personal computer e sempre più apparecchi post-pc. Cosa ci riserverà il futuro?