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La replica di Google sulla causa per comportamenti anticoncorrenziali

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Google replica alla causa per comportamenti anticoncorrenziali intentata da 36 stati americani che accusano l’azienda di posizione dominante nella gestione delle app, con tassazione del 30 % imposta agli sviluppatori Android che usano il Play Store.

Nella citazione in giudizio si accusa Google di comportamenti anticoncorrenziali “per limitare e disincentivare la concorrenza nella distribuzione di app Android”, evidenziando che gli sviluppatori “non hanno alcuna scelta ragionevole se non quella di distribuire le loro app mediante il Google Play Store”

La mancanza di concorrenza, secondo l’accusa, porterebbe a prezzi del software più elevati e Android è l’unico valido sistema operativo disponibile su licenza per i produttori di dispositivi mobili che commercializzano e vendono i loro dispositivi ai consumatori statunitensi, una barriera che avrebbe impedito anche a big quali Microsoft e Amazon di fallire in tale ambito. Google, che controlla circa il 99% di questo mercato, vanta un potere monopolistico duraturo e un peso considerevole tra i produttori di dispositivi mobili e gli sviluppatori Android.

Wilson White, senior director of public policy di Google, evidenzia che Android in realtà aiuta ad avere maggiore scelta di dispositivi e app. “Abbiamo creato Android per offrire più scelta nella tecnologia mobile. Oggi chiunque, inclusi i nostri competitor, può personalizzare e creare dispositivi con il sistema operativo Android, gratuitamente”, spiega White, sottolineando che il Google Play è solo un modo per aiutare gli utenti a scaricare le app sui loro dispositivi.

Google vuole fermare le app ingannevoli nel Play Store

“Se non trovate l’app che state cercando sul Google Play, potete scegliere di scaricarla da un app store rivale o direttamente dal sito dello sviluppatore. Non imponiamo le restrizioni previste da altri sistemi operativi per dispositivi mobili”, scrive White.

“È strano che un gruppo di procuratori generali scelga di fare causa attaccando un sistema che garantisce maggiore apertura e scelta di altri”, spiega ancora White con ovvio riferimento a Apple.

“La citazione in giudizio limita la definizione di marketplace di app ai soli dispositivi Android, ignorando completamente la concorrenza che dobbiamo affrontare da altre piattaforme come l’App Store di incredibile successo di Apple”.

White spiega ancora che i produttori di dispositivi e operatori di telefonia possono precaricare nei dispositivi app concorrenti insieme a quelle di Google Play. “Di fatto, molti dispositivi Android sono spediti con due o più app store precaricati, oltre alle app che gli utenti possono installare”.

“Gli sviluppatori”, prosegue ancora White, non devono usare per forza Google Play”. “Gli sviluppatori che non amano le nostre policy possono distribuire le loro app direttamente o usando app store rivali senza bisogno di sfruttare il nostro sistema di fatturazione o pagare un centesimo, e molti lo fanno”.

Recentemente anche Apple è stata accusata da Facebook di limitare la concorrenza, uno studio secondo Cupertino «gravemente distorto» e confezionato su misura per ottenere l’effetto desiderato.

Da alcuni mesi a questa parte App Store è sotto assedio per le lamentele di alcuni sviluppatori, tra cui spicca la causa legale di Epic Games per Fortnite, oltre che sotto la lente di ingrandimento di diversi organismi antitrust in numerosi paesi nel mondo.

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