Le aziende che operano sul web bramano per capire dove ci rechiamo, cosa cerchiamo, quali sono i nostri gusti, cosa ci piace, cosa non ci piace, cosa facciamo, quali sono i nostri interessi e le preferenze varie per mostrare pubblicità mirata sui siti web e sui social come Facebook, Instagram o Twitter.
Sta facendo discutere una lettera indirizzata ai big dell’IT apparsa su Twitter con la quale Gillian Brockell, una video producer che lavora per The Washington Post, implora il mondo dei social a operare in modo più attento e oculato.
“Sono consapevole che sapevate che ero incinta. È colpa mia”, scrive la donna nella lettera, “non ho potuto resistere a scrivere quegli hashtag su Instagram”. Brockell riferisce di sapere che pubblicando post sulla sua gravidanza ed essere taggata in determinate immagini o indicare la data di travaglio presunta nei registri di Amazon, avrebbe scatenato gli algoritmi che mostrano pubblicità mirate. Quando però ha cominciato a capire che qualcosa non andava con il bambino che portava in grembo, ha anche cercato sul web frasi del tipo: “Contrazioni di Braxton Hicks” e “Il bambino non si muove”. Non ha cercato nulla per giorni e poi pubblicato dei post sui social per spiegare quanto era “distrutta” per l’accaduto, usando espressamente il termine “nato morto”.
Gli algoritmi usati dai social e dai big delle ricerche non sono stati così “smart”. La donna continuava a essere bombardata da pubblicità che devono essere sembrate pugnalate al cuore. Prendendo il telefono in mano, nei momenti di distrazione prima dell’ennesima crisi di pianto, vedeva le stesse identiche campagne pubblicitarie di quando il suo bambino era ancora vivo in grembo.
An open letter to @Facebook, @Twitter, @Instagram and @Experian regarding algorithms and my son's birth: pic.twitter.com/o8SuLMuLNv
— Gillian Brockell (@gbrockell) December 11, 2018
“Per favore, aziende tecnologiche, vi imploro” conclude la Brockell. “Siete state abbastanza intelligenti da aver capito quando ero incinta, dovreste sicuramente essere altrettanto furbi da capire che il mio bimbo è morto e mostrarmi di conseguenza pubblicità mirata o forse, ancora meglio, non mostrarmi nulla di tutto ciò”.
Le sensazioni di tristezza e frustrazione della donna sono riportate nella lettera che negli scorsi giorni è circolata sui social, sperando che qualcuno in futuro tenga conto anche di queste situazioni.