Quanto tempo è passato dalla nascita della WorldWide Developer Conference di Apple, amichevolmente chiamata WWDC? Provate a indovinare. Se non lo sapete, il numero giusto è 39. La conferenza è nata nel 1983 (venne presentato l’Apple Basic, ancora il Mac doveva ufficialmente fare la sua comparsa). Nel 1987 la conferenza si è tenuta al Santa Clara Convention Center per posi passare al San Jose Convention Center (1988-2002) andare a San Francisco al Moscone West (dal 2003 al 2016) tornare a San Jose (2017-2019), diventare un evento registrato (2020-2021) e infine ibrido: registrato ma con pubblico di sviluppatori e media invitati all’Apple Park.
Macity copre l’evento dalla sua nascita e i ricordi in redazione sono molti: da una conferenza francamente sonnolenta e noiosa a San Jose (anni Ottanta-Novanta) a quella scintillante quando nel 2003 è andata al Moscone West di San Francisco (perché là si tenevano anche le edizioni del MacWorld, che era una fiera organizzata da Idg con la partecipazione di Apple e i keynote di Steve Jobs) fino al ritorno a San Jose dove invece gli spazi erano diventati minimali (perché il pubblico degli sviluppatori è diventato immenso, nel frattempo) creando la lotteria e quindi la caccia al biglietto. L’incertezza di non partecipare.
Per il resto, l’evento è sempre stato gestito con l’idea di un keynote di apertura, uno State of the Union più tecnico e poi le mille e mille classi e seminari e one-to-one con gli ingegneri di Apple, più la parte di networking tra sviluppatori.
La potenza della pandemia
L’arrivo della pandemia ha creato una situazione inedita per tutte le aziende del pianeta che organizzano eventi, quelle del settore tech in particolare. Con una differenza: Apple ha saputo approfittare meglio di tutte le altre di questo cambiamento. La ragione è molto semplice: ci hanno pensato sopra.
E, da quando seguiamo la WWDC, possiamo dire senza ombra di dubbio che la formula a distanza è la migliore in assoluto: niente calca, niente stanchezza o noia, niente mancanza di posti. Questo perché Apple ha fatto un ragionamento che molti altri non hanno fatto. Decostruendo la logica delle grandi conferenze e ricreandola.
Gli eventi mondiali ai quali partecipano partner e terze parti, in questo caso gli sviluppatori, esistono da prima della guerra. L’idea stessa può essere pensata con le fiere e le grandi esposizioni universali, nate a metà dell’Ottocento, se vogliamo. Eventi giganteschi il cui obiettivo è attrarre persone da tutta la nazione, poi da tutto il continente (Europa, America) e infine da tutto il mondo conosciuto. Come fare? Mostrando un sacco di cose, molte delle quali inutili, cioè degli orpelli, degli alleggerimenti che servono a creare spettacolo.
Se trasferiamo questo ragionamento in un evento tech moderno, questo vuol dire che chi organizza le conferenze tradizionali da quattro decenni si trova di fronte a un problema: cosa può convincere le persone che vengono letteralmente da tutto il mondo del fatto che hanno investito bene il loro tempo? Che non hanno fatto lo sforzo di traversare il mondo o anche solo cambiare città e passare una settimana a un evento potenzialmente noioso?
Gli eventi in presenza
La risposta è sempre quella: caricare l’evento di mille diverse attività e divertimenti. Mettere in scena un keynote lunghissimo, con ospiti diversi, come se fosse una gigantesca rappresentazione teatrale, a cui far seguire decine di altri mini-keynote, approfondimenti specializzati, forme di intrattenimento. Ci sono eventi tech in cui salgono sul palco maghi, intrattenitori, comici, personalità del mondo dello sport o della televisione, leader carismatici, testimonial di minoranze o di categorie sotto-rappresentate, persino politici di altissimo livello o ex politici.
Nel corso di quasi tre decenni abbiamo visto salire un po’ di tutto sui palchi di aziende come Ibm, Oracle, Hp, CA, Amazon AWS, Google, Facebook, Samsung, Acer, Asus. L’idea è “infotainment”. Intrattenere informando, siano partner, sviluppatori, giornalisti o vip. Quando si va a un evento bisogna avere l’agenda piena, decine di panel in parallelo, incontri, keynote, discussioni, interviste, appuntamenti.
Tutto questo ha senso? All’inizio forse sì, poi con gli anni è diventato sempre più complicato. E nessuna azienda, neanche Apple, è sfuggita a questa tremenda “intensificazione” degli eventi. Stuoli di esperti di marketing, agenzie specializzate in eventi e comunicazione, strateghi della comunicazione, hanno lavorato strato per strato a rendere un evento di cinque giorni una specie di lasagna con venti o trenta differenti strati per gestire, nel caso degli eventi mondiali come quelli che si tengono in America o in Asia, decine di migliaia di persone. Sino a che è arrivata la pandemia.
Gli eventi da remoto
Da quando è scattato il lockdown nel 2020 è cambiato tutto. Compresi gli eventi. Cambiati però forse solo a metà. Perché da quando c’è il blocco, le aziende non hanno pensato molto. E le decine e decine di eventi si sono tramutati in lunghissime maratone via internet, con lo stesso numero di keynote, sotto-keynote, sub-keynote, iper-keynote, meeting, panel, incontri one-to-one, webinar, annunci e cose varie per cui alla fine si è perso il senso di tutto.
Manager spaesati messi davanti a uno schermo, alle volte da casa loro e alle volte da studi improvvisati, con collegamenti degni delle peggiori riunioni aziendali primi anni duemila, quelle in cui si usavano sistemi di videoconferenza ottocenteschi, con collegamenti paragonabili a quelli degli astronauti della Stazione Spaziale Internazionale. In pratica, è come se alla nascita della televisione tutto il palinsesto fosse stato una riproposizione di piatto di spettacoli teatrali, di varietà e di intrattenimento da piazza di paese, senza praticamente regia ma soprattutto con esattamente la stessa impostazione e gli stessi tempi biblici.
Così non funziona. E infatti questa redazione che sta scrivendo ha partecipato a pochissimi eventi, dopo aver visto il disastro dei primi. E il settore è crollato, con agenzie e pr disperati perché nessuno vuole più realmente guardare eventi video lunghi una settimana a cui partecipavano decine di migliaia di persone. Tutti tranne Apple.
La differenza di Apple
Quando Apple fa Apple, e grazie al cielo accade molto spesso, vuol dire che fa le cose differenti, a modo suo. Vuol dire che si ferma, ci pensa sopra e reinterpreta tutto a partire dal contesto. Vuol dire che non si fa sorprendere.
Apple ha trasformato il keynote sul palco in un evento registrato molto fruibile e chiarissimo. Con regia, montaggio e spinta ulteriore per quanto riguarda sia i tempi di trasmissione che le performance delle persone coinvolte. Facendo questo ha un controllo ancora maggiore sulla presentazione e al tempo stesso è riuscita a renderla più interessanti.
I keynote registrati di Apple sono belli da vedere. Divertenti e ritmati. I “personaggi” interpretati soprattutto da Craig Federighi ma anche da Tim Cook stanno venendo sempre più fuori. E al tempo stesso c’è una diversità e ritualità da piccolo schermo che risuona con la popolazione mondiale abituata all’idea di montaggio e di piccolo schermo. Anziché teatro in streaming i keynote di Apple sono media event tagliati su misura per lo schermo televisivo e del computer.
In più, dopo c’è la calma. Meeting ordinati, percorsi sensati, cose interessanti da vedere e briefing con manager fatti su WebObjects di Cisco (l’unica piattaforma sicura e che rispetta la privacy, oltre a non essere in competizione con Apple, cosa che fa la differenza) che sono rilassanti e ben calibrati.
Il nuovo corso del 2022
Quest’anno c’è stata la novità dell’evento ibrido, che si è cioè tenuto in streaming registrato ma anche dal vivo. Una specie di proiezione in sala a cui ha fatto seguito l’inaugurazione del nuovo centro per gli sviluppatori oltre a una fase di “hands-on”, di primo contatto con i prodotti Apple, avvenuto nello Steve Jobs Theatre.
Macity era ovviamente presente e chi scrive era per la prima volta all’Apple Park, che fa molta più impressione dal vivo che non in fotografia, lasciatevelo dire). L’evento è stato memorabile e sia la parte registrata, che doveva arrivare a toccare i 34 milioni di sviluppatori presenti in tutto il mondo, che l’interazione sul campo sono state fantastiche. L’evento perfetto, da un certo punto di vista, a cui ha fatto seguito una giornata di riunioni e briefing molto rilassati, immersi nella natura californiana che ospita le strutture green e a basso impatto ambientale di Apple.
Questo nuovo corso conferma quanto fatto nel biennio 2020-2021 e lo potenzia se possibile. La riapertura è evidente che si terrà nei prossimi mesi in maniera progressiva, almeno speriamo perché il tutto è legato alla trasformazione della pandemia in virus innocuo. Ma sarà una riapertura in cui Apple dimostra non solo di aver capito che va completamente ripensato un evento, ma anche la logica con cui farlo.
Conclusioni
In pratica, Apple ha guardato all’essenza: ha capito che gli eventi agli steroidi che si tenevano in presenza avevano senso perché dovevano gratificare i partecipanti che si erano sobbarcati il viaggio, ma il cuore dell’evento stesso non era quello.
Cambiando contesto, a causa della pandemia, Apple è stata praticamente l’unica dei big a ripensare gli eventi in presenza per il formato in streaming e a farlo in maniera coraggiosa, lavorando a una produzione con montaggio e registrata anziché alla messa in piazza virtuale della stessa cosa che si faceva dal vivo su un palco. Avere a disposizione l’Apple Park con tutte le sue location notevoli è stato una fortuna unica.
Infine, nuovo cambio di passo in questa fase ibrida: Apple ha trovato la quadra creando una specie di happening dal vivo nel suo campus per pochi, che hanno potuto però vedere le stesse cose di tutti i milioni di altri da casa loro, e poi esplorare e toccare con mano la diversità dell’azienda.
Per questo secondo noi la pandemia ha trasformato la WWDC per sempre. In meglio, ovviamente.