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La musica in streaming risolleva la discografia USA, Apple Music paga gli artisti più di tutti

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Siamo entrati nella nuova era della musica in streaming: la transizione è in atto da tempo ma ora i numeri lo confermano e, ancora una volta Apple con Apple Music, è uno degli attori principali, nonostante l’ingresso sia avvenuto in ritardo rispetto ai nomi storici del settore, Spotify su tutti. La svolta è fotografata dal bilancio RIAA 2016 per il settore discografico USA: in un anno gli abbonamenti a pagamento sono raddoppiati e ora la musica in streaming da sola vale ben 3,9 miliardi di dollari.

Per avere un’idea più precisa si tratta del 51,4% del fatturato complessivo del settore, pari a 7,7 miliardi di dollari. Questo significa che la musica in streaming vale più della vendita di CD, vinile e download digitali sommati insieme. La crescita anno su anno per la musica in streaming è stata del 68% trainata da Apple Music e Spotify, registrando un raddoppio (+114%) del fatturato: raddoppiato anche il numero degli abbonamenti a pagamento che ora sono 22,6 milioni, più del 109% rispetto ai 10,8 milioni del 2015.

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I dirigenti della RIAA dichiarano che la crescita complessiva del fatturato della discografia USA, pari all’11,4%, è l’incremento maggiore registrato dall’intero settore fin dal 1998, trainato quasi esclusivamente proprio dalla musica in streaming. La RIAA non cela l’entusiasmo di questo incremento che arriva dopo anni di continui cali di fatturato, in ogni caso il business rimane ancora inferiore rispetto ai fatturati registrati prima della rivoluzione digitale.

Occorre rilevare che nonostante l’ingresso in ritardo nel settore da parte di Apple, il fatturato e soprattutto le percentuali pagate da Apple Music a musicisti e autori, sono i più elevati del settore, come ben mostra un grafico della RIAA che riportiamo in questo articolo da AppleInsider. Nonostante il minor numero di utenti totali e di abbonati a pagamento rispetto a Spotify, Apple Music è il servizio che meglio compensa i professionisti della musica in USA. All’estremo opposto troviamo YouTube e altri servizi che sembrano sfruttare falle nei regolamenti e fiscali per ridurre i compensi ad autori e musicisti.

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