Se ricordate il primo, bellissimo film della serie di Jurassic Park (dal romanzo di Michael Crichton e per la regia di Steven Spielberg) ricorderete anche i famosi avversari dell’epoca: i Velociraptor. Animali relativamente piccoli, cacciatori intelligenti e crudeli, si muovono in branco e dilaniano le prede con i loro artigli. Soprattutto se sono grandi, vecchi dinosauri che, per quanto ancora forti, sono diventati oramai troppo lenti.
Quale migliore immagine per rappresentare le sfide che attendono OpenAI, azienda che a noi sembra giovanissima ed estremamente agile ma che nei termini della Silicon Valley, dove il tempo scorre notoriamente a un’altra velocità, sta rapidamente invecchiando e si sta avvicinando all’età di Matusalemme. Prendendone oltre che l’aspetto anche le movenze. Mentre le startup del settore AI si stanno comportando sempre più come abili e rapaci attaccanti che, nonostante le piccole dimensioni, sono pronte a fare strage e banchetto dei resti del colosso di Sam Altman?
Il talento di Mr. Altman
È quasi una legge del contrappasso, visto che Altman, che non ha nessuna preparazione né abilità tecnica, è in realtà un “imprenditore di imprenditori”, dopo essere stato incaricato di guidare per un periodo Y Combinator, uno dei più importanti incubatori di startup della Silicon Valley.
Altman si è trovato per due decenni a insegnare a far impresa senza averla fatta realmente, un po’ come chi insegna a pescare a centinaia di giovani senza aver mai preso la barca in vita sua. Ma quando è arrivato il suo momento, con OpenAI, Altman ha dimostrato di essere il Velociraptor del suo tempo: è salito rapidamente in una posizione astuta e spietata, attraendo i migliori talenti con una formula che nessuno si aspettava (OpenAI è una non profit perché “non vuole speculare sull’intelligenza artificiale”) che ha attratto le migliori menti dell’accademia e del reparto sognatori della tecnologia.
Col trattore in tangenziale
Una volta salito al comando Altman è andato a comandare, come cantava Rovazzi, tenendo la testa del gruppone di quelli che si sono accorti che occorrevano soldi e potenza per fare l’AI sul serio. E Altman questi soldi e questi dati e questa potenza di calcolo li ha trovati facendo numerosi patti con il demonio, riscattando così una vita a contatto con imprenditori seriali nel trasformarsi in una sorta di Dottor Faust seriale. Accordi com Microsoft, con Nvidia e con chiunque passasse da quelle parti (anche con Apple, seppure indirettamente, perché ChatGPT è il primo modulo “esterno” della Apple Intelligence). Tutto per avere la capacità di prendere velocità e andare più lontano di tutti quanti.
La mattina quando ti svegli nella Silicon Valley
Ma la vita nella Silicon Valley è strana: mezzo sprint ma mezza maratona. E nella maratona, che inizia prima ancora che lo sprint sia finito, si cominciano a veder emergere gli altri che vogliono fare lo sprint più veloce di quello di OpenAI. La nuova concorrenza.
Gran parte di questa nuova concorrenza proviene da startup che promettono di indebolire i servizi di OpenAI con altri che potrebbero essere più economici da usare e anche migliori in determinati compiti specifici. Solo che a loro servono delle basi autonome, altrimenti sono solo rivenditori sulla piattaforma di OpenAI e, in buona sostanza, fanno il gioco di Altman. Che poi è il motivo per cui Altman ha creato uno store per i GPT degli utenti, e permette di fare un po’ di business sulla sua piattaforma, oltre a rivendere il servizio tramite le API a chi invece vuole sfruttarlo su più larga scala. Ma la sua non è l’unica opzione tecnologica. Ce n’è almeno una aperta.
La guerra per procura di Meta
La mossa per sparigliare le carte del mercato è stata fatta da Mark Zuckerberg. Meta è un altro gigante della tecnologia solo che vede delle promesse nella nuova generazione di startup di intelligenza artificiale. E pensa che per tramite loro potrà colmare il gap con la concorrenza di OpenAI e anzi, nel medio periodo vincere.
Meta infatti si sta posizionando come un campione per i piccoli, consentendo agli sviluppatori esterni di utilizzare gratuitamente il suo modello di intelligenza artificiale all’avanguardia (secondo Meta), cioè Llama. Google ha capito l’antifona e anche lei ha rilasciato un’intelligenza artificiale open source che non è lontanamente capace quanto quella di Meta ma va comunque in quella direzione.
La mossa di Mark
In una comunicato rilasciato a luglio Zuckerberg ha sostenuto che il suo approccio open source “garantirà che più persone in tutto il mondo abbiano accesso ai vantaggi e alle opportunità dell’intelligenza artificiale” senza concentrare il potere nelle mani dei giganti della tecnologia.
Questo perché, come sappiamo, il software open source può essere utilizzato commercialmente da praticamente chiunque. Esempi includono il sistema operativo Android, sviluppato da Google ma disponibile per qualsiasi produttore da utilizzare nei dispositivi mobili senza pagare.
Il “closed source”
Questo è in contrasto con l’approccio più tipico e “chiuso” adottato dalle aziende che controllano chi può utilizzare il loro software in licenza. L’esempio più classico è Microsoft, che addebita ai produttori dei Pc una quota per consentirgli di installare il suo sistema operativo Windows sui loro computer. Apple invece, come sappiamo bene, non consente ad altre aziende di utilizzare i suoi sistemi operativi iPhone o Mac.
Il futuro di Altman
La domanda per capire quale sia il futuro dell’azienda di Altman sta tutta nella comprensione di dove si colloca. Per la maggior parte delle sue attività, infatti, OpenAI rientra nel gruppo di quelli che addebitano agli utenti finali e alle aziende l’accesso ai suoi modelli più potenti.
Molti esperti ritengono che alla fine faremo tutti affidamento su una varietà di AI diverse, alcune da provider chiusi come OpenAI e Google, altre dal tipo di sfidanti open source che Zuckerberg sta sostenendo. La natura di quel mix determinerà se sarà valsa la pena per le aziende spendere decine di miliardi di dollari per costruire delle AI avanzate, che a ogni generazione richiedono investimenti ancora più ingenti.
In buona sostanza, capiremo se i Velocirapitor sono stati in grado di sventrare il vecchio e potente Tirannosauro, oppure se avrà vinto lui, seppur sanguinante.
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