La Cina sta spendendo più di qualsiasi altra nazione in costose ed avanzate attrezzature per la produzione di chip, con i produttori di semiconduttori cinesi che, solo nella prima metà del 2024, hanno già investito la notevole cifra di 25 miliardi di dollari, numeri superiori a quelli di Corea del Sud, Taiwan e Stati Uniti messe insieme. Ma i soldi non sono tutto, visto che c’è qualcuno pronto a metterle i bastoni tra le ruote.
A riferirlo è il quotidiano giapponese Nikkei evidenziando gli sforzi notevoli del Paese del Dragone nel voler localizzare la produzione di chip e ridurre la dipendenza dai fornitori stranieri, sulla scia di sempre più diffuse preoccupazioni di nuove potenziali restrizioni commerciali da parte dell’occidente.
Per le attrezzature che permettono di creare semiconduttori, si prevede che la Cina spenderà alla fine del 2024 50 miliardi di dollari, un livello di spesa che lascia immaginare grandi aspettative dai produttori locali per la futura domanda dal mercato e un segnale positivo per lo stato di salute in generale della locale industria dei semiconduttori.
Gli investimenti della Cina sono spinti dalla necessità di garantire approvvigionamenti stabili di chip di vitale importanza in vari settori industriali; investimenti sono in corso non solo da nomi di alto livello ma anche da medi e piccoli produttori di chip.
Ricordiamo che il governo cinese ha predisposto dal 2014 un ambizioso piano di investimenti che ruota attorno al China Integrated Circuit Industry Investment Fund, fondo che ha l’obiettivo di rendere la Cina indipendente e autosufficiente nel settore dei chip.
“La Cina continua a comprare tutte le attrezzature che può destinate a nuove strutture per la creazione di chip”, riferisce Clark Tseng, senior director responsabile market intelligence di SEMI, associazione globale di settore. “Preoccupazioni di ulteriori restrizioni in arrivo sulle esportazioni, li spingono ad assicurarsi più attrezzature che possono in anticipo”.
A mettere i bastoni tra le ruote dei cinesi, ci sono aziende come l’olandese Asml e altre ancora che non possono vendere i macchinari litografici per la produzione dei nodi più avanzati (in ossequio a controlli sull’esportazione imposti dal Dipartimento del Commercio americano).
Ciononostante, aziende quali Applied Materials (la più grande azienda americana di macchinari per la fabbricazione di semiconduttori) e ASML hanno visto i loro ricavi aumentare grazie agli ordini della Cina, con percentuali rispettivamente del 32% e del 49%.
Nonostante non abbia accesso ai macchinari per la produzione di chip con i nodi avanzati (sotto i 7 nanometri), Pechino sta rafforzando la presa su segmenti meno “attenzionati”, ma non per questo meno importanti e che, anzi, rappresentano una fetta notevole del fatturato annuo del settore.
Pochi giorni addietro è circolata una voce secondo la quale l’Olanda (patria di ASML) vorrebbe limitare la capacità di ASML di fornire assistenza sulle apparecchiature per la produzione di chip vendute in Cina, mossa che potrebbe ostacolare le ambizioni del Paese del Dragone sui semiconduttori. Senza manutenzione e parti di ricambio, le apparecchiature in questione potrebbero diventare inutilizzabili, compromettendo la capacità produttiva di aziende quali SMIC e Huawei.
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