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La carta dei diritti delle AI ancora non è arrivata ma è già mezzo fallita

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Un fallimento in qualche modo annunciato. Il piano di Joe Biden per creare uno strumento che contenesse in prospettiva l’intelligenza artificiale e tutti gli algoritmi che possono automaticamente profilare e decidere delle viete delle persone, battezzato Ai Bill of Rights, la carta dei diritti fondamentali per le AI, è andato a cozzare con la realtà.

L’adesione al piano è obbligatoria per le pubbliche amministrazioni americane ma solo facoltativa per il settore privato. E quindi i diritti dei cittadini di fare opt-out dai grandi database di profilazione in realtà non andrà da nessuna parte.

La storia del progetto

L’anno scorso, l’ufficio della Politica scientifica e tecnologica della Casa Bianca aveva annunciato in pompa magna che gli Stati Uniti dovevano assolutamente dotarsi bisogno di una carta dei diritti per l’era degli algoritmi. I danni causati dall’intelligenza artificiale, argomentavano gli esperti della Casa Bianca, stanno avendo un impatto sproporzionato sulle comunità emarginate profilando e schedando senza possibilità di appello milioni di persone. Per questo, dichiaravano il direttore e il vicedirettore dell’ufficio, si rendeva necessaria una guida governativa per proteggere le persone da un’intelligenza artificiale discriminatoria o inefficace.

Un anno dopo è arrivato il momento di vedere quale sarebbe stato il frutto di tante dichiarazioni e di tanto lavoro. È arrivata il disegno di legge, cioè la bozza del “AI Bill of Rights”, cioè il Programma per una Carta dei Diritti dell’Intelligenza Artificiale. La bozza non è stata creata solo dall’ufficio ma è frutto di un lungo lavoro di ricerca e di mediazione che è stata facilitata con decine e decine di ore di incontri e dopo aver raccolto i contributi di aziende come Microsoft e Palantir, nonché di startup che si occupano di Intelligenza Artificiale, di gruppi per i diritti umani e dei cittadini in generale.

Alla base della bozza di progetto ci sono cinque principi che affermano che le persone hanno il diritto di controllare come vengono utilizzati i loro dati, di scegliere di non prendere decisioni automatizzate, di vivere liberi da algoritmi inefficaci o non sicuri, di sapere quando l’IA sta prendendo una decisione su di loro e di non essere discriminati da algoritmi ingiusti.

Secondo Alondra Nelson, vicedirettore dell’ufficio della Politica scientifica e tecnologica della Casa Bianca, “Le tecnologie andranno e verranno, ma le libertà, i diritti, le opportunità e l’accesso fondamentali devono essere mantenuti aperti ed è compito del governo contribuire a garantire che ciò avvenga. Questa è la Casa Bianca che dice che i lavoratori, gli studenti, i consumatori, le comunità, tutti in questo Paese dovrebbero aspettarsi e pretendere di meglio dalle nostre tecnologie”.

La realtà dello AI Bill of Rights

L’aspettativa, come è facile immaginare, era molto elevata. Ma non è stata soddisfatta. Innanzitutto perché, a differenza della più nota Carta dei diritti degli Stati Uniti, che comprende i primi dieci emendamenti della Costituzione, la versione dell’IA non avrà forza di legge: si tratta di un libro bianco non vincolante. Una sorta di carta deontologica senza poteri sanzionatori e senza norme obbligatorie. Una lista di buoni propositi, insomma.

Il progetto della Casa Bianca sui diritti dell’IA è rivolto principalmente al governo federale. In questo ambito colpirà in maniera decisa e netta, ma con la stessa determinazione che si sarebbe potuta ottenere con una qualsiasi circolare o regolamento.

L’atto cambierà le modalità di utilizzo degli algoritmi solo se indirizzerà le agenzie governative nell’acquisizione e nell’impiego della tecnologia dell’IA, o se aiuterà genitori, lavoratori, politici o progettisti a porre domande difficili sui sistemi di IA. Non ha alcun potere sulle grandi aziende tecnologiche e quindi non ha alcuna conseguenza sul modo in cui vengono definite la diffusione dell’apprendimento automatico e della tecnologia AI. Il libero mercato resta libero, insomma, e privo di salvaguardie.

In conclusione

Non tutto è stato vano, tuttavia. Nonostante l’ambizione eccessiva e poi non risolta dell’amministrazione Biden su questo fronte, il fatto stesso che esista un documento di questo tipo costituisce un punto di partenza per orientare e spingere ad esempio la magistratura a interpretare quali possono essere le cose considerate “giuste” e “ingiuste” oppure eccessive e in prevaricazione rispetto a quella che dovrebbe essere la norma.

Secondo alcuni studiosi del rapporto tra intelligenza artificiale, morale e filosofia, i cinque punti chiave di questo AI Bill of Rights sono comunque molto importanti e potrebbero avere l’autorità morale per spingere la regolamentazione delle AI nella giusta direzione, con il passare del tempo.

Tuttavia, per adesso il risultato concreto in buona sostanza non c’è. Perché il progetto di una Carta dei diritti dell’intelligenza artificiale non include il divieto di fare determinate cose come opzione per controllare i danni dell’IA stessa? Perché non ha poteri coercitivi, insomma? La risposta dell’amministrazione c’è ma si perde tra le righe dell’atto. Il concetto di fondo, che ha ispirato questa soluzione di compromesso che non scontenta né l’una né l’altra parte, né cioè chi difende i diritti delle persone di fronte alle AI né chi invece vuole che il settore privato abbia mano libera per innovare e andare avanti, è molto semplice.

L’obiettivo dello AI Bill of Rights è quello di proteggere le persone dalle tecnologie che minacciano i loro diritti e le loro opportunità, non quello di vietare di qualsiasi tipo di tecnologia. Insomma, un modo per salvare capra e cavoli.

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