C’è una certa simmetria quasi gustosa che si cela dietro l’ambizione di Elon Musk. L’imprenditore americano che ama la ribalta dei giornali (e fa da presentatore-ospite anche per il mitico Saturday Night Live Show, la più importante rivista di spettacolo televisivo americano dove tutti i grandi dello starsystem nordamericano sono passati) non solo ha fondato PayPal e vuole farci girare tutti su una macchina elettrica, oppure andare nello spazio alla conquista di Marte (unica via di fuga dalla Terra sempre più inquinata, secondo Musk) mentre crea tunnel che attraverseranno l’Oceano per consentire viaggi a folle velocità che renderanno inutile l’aereo o quasi. No, Musk vuole anche stravolgere l’internet così come la conosciamo, e questo porta con se una straordinaria simmetria. Ma ci arriviamo tra un attimo.
Con la sua azienda SpaceX da due anni, nel maggio del 2019, Musk ha cominciato a spedire nello spazio satelliti artificiali per le telecomunicazioni. Satelliti che volano a bassa quota e servono a fare da ponte radio per Internet. Praticamente delle “celle nel cielo” che fanno da relay per portare internet ovunque grazie a un intelligente sistema di rete mesh tra satelliti e una serie di stazioni di terra che fanno da uplink. Il downlink – promette Musk – offre una velocità da 1 Gigabit con latenza bassissima e praticamente la possibilità di disintegrare qualsiasi divario digitale. Il “rural divide” (l’idea originale dietro al termine ora abusato di digital divide è un’idea americana che sta molto a cuore nel paese delle grandi distanze dove è semplicemente inimmaginabile di cablare tutto. Un paese dove internet veloce via satellite è un sogno, anche e soprattutto dopo la pandemia, quando sempre più persone hanno deciso di allontanarsi dalle grandi città e vivere a maggior contatto con la natura.
I satelliti Starlink mappano il territorio a zone e trasmettono in codice su un cono stretto: gli utenti hanno un codice assegnato assieme a una piccola antenna motorizzata e a un router speciale che prende il segnale dal cielo e lo rimbalza dentro casa. Sono un prodotto in versione beta, a 99 euro al mese più i 300-400 per l’acquisto del router e l’avvio delle pratiche, ma sono già adesso disponibili anche in Italia perché ci sono le basi di terra e c’è la rete di satelliti nel cielo. Nel 2019 erano 60, oggi sono 1433 e ce ne sono altri 1500 che arrivano per la fine dell’anno. Ogni lanciatore di SpaceX, che oltretutto rientra ed atterra su se stesso diventando riusabile, ne trasporta una piccola nidiata.
Perché sono piccoli: pesano meno di 250 Kg, stanno in orbita bassa, a circa 550 Km di altezza, e possono essere facilmente avvistati dopo il tramonto o prima dell’alba perché riflettono la luce. Un satellite artificiale meteorologico, che orbita invece a 36mila km di altezza, è praticamente invisibile e può essere avvistato solo con un ausilio ottico.
Come vederli
Questi satelliti non sono UFO, non sono astronavi, non sono aeroplani, non sono made in China e non sono neanche un effetto speciale di un film della Marvel: niente Tony Stark, solo Elon Musk che fa da frontman a una serie di aziende che in realtà beneficiano di un capo così “visibile”, perché capace di generare un’aura da nuovo Steve Jobs, da imprenditore geniale che vive alla grande. Da questo link ci sono le coordinate per vederli da tutte le città italiane.
Per chi vuole utilizzare un tracker interattivo c’è a disposizione un sito con mappa e posizione e pure gli orari di passaggio rispetto alla vostra attuale posizione geografiche.
Però c’è una meravigliosa circolarità nell’idea di questi satelliti che stanno rivoluzionando il modo con cui si usa internet. Perché azzera le distanze dalle reti dei grandi provider, perché uccide nella culla i piani a volte deliranti e sicuramente avidi delle grandi reti nazionali in mano a questo o a quell’operatore telco, perché toglie potere ai big che ci hanno sottoposti a monopoli statali o aziendali per decenni.
Internet che piove dal cielo permette in un Paese come l’Italia di andare a vivere dove si vuole, in montagna o davanti al mare, sul tavoliere o su un altopiano isolato, su un’isola o in una valle. Permette alle aziende di connettersi con le fabbriche e gli stabilimenti anche in quelle zone che le telco non cablano e dove si paga il ritardo culturale che è semplicemente l’avidità degli ex monopolisti e dei big che preferiscono costruire tre o quattro reti in fibra ultraveloci parallele nelle stesse grandi città e addormentare tutto il resto del territorio produttivo.
I satelliti Starlink di Elon Musk promettono di mettere fine a tutto questo. Musk vuole portare i ricevitori anche sopra i camion merci (a partire dai suoi che verranno prodotti da Tesla), i treni e le barche e dare internet veloce anche alla mobilità, in parallelo e in concorrenza con il 5G e con le reti ultraveloci terrestri. Vuole rivoluzionare l’uso di internet. Vuole abilitare un mondo diverso e vuole che la sua rete di satelliti sia bidirezionale e permetta di essere espansa anche al di fuori dell’orbita terrestre e supporti stazioni spaziali, basi lunari, tragitti verso Marte e lo stesso pianeta rosso. L’imprenditore ha sviluppato un piano folle e ambiziosissimo che ha una sua logica e una sua possibile via di realizzazione. Certo, si possono vedere i satelliti in queste notti che diventano sempre più lunghe: avendo le tabelle con gli orari dei passaggi è facilissimo vederli e sempre più persone quest’estate, soprattutto durante la notte di San Lorenzo, li sbaglieranno per ufo, per aerei, per stelle cadenti. E invece sono il segnale che qualcosa sta cambiando.
La tecnologia per lo spazio e il ruolo nella nascita di Internet
Esattamente come successe per due settimane a partire dal 4 ottobre 1957, quando l’Unione sovietica fece partire dal cosmodromo di Baikonur, in Kazakhstan, in quello che oggi si chiama “Area di lancio Gagarin” (in onore del cosmonauta Yuri Gagarin, il primo uomo nello spazio) ma che all’epoca era noto nei documenti top secret della guerra fredda come il Site 1 o Site 1/5 di Baikonur, un missile intercontinentale con un piccolo e prezioso carico. Il carico era il satellite Sputnik 1. Una sfera di metallo lucido di 58 centimetri di diametro con quattro antenne esterne il cui scopo era trasmettere un semplice segnale radio di presenza, un “bip bip” che, con una inclinazione nella sua orbita di 65 gradi, venne trasmesso virtualmente ovunque sul pianeta. Il volo orbitale, una ellisse, durò due mesi e tre settimane. Durante le prime tre settimane le batterie consentirono l’emissione del segnale, poi il satellite si spense e degradò nell’atmosfera sino a rientrare come una palla di fuoco che si vaporizzò ad alta quota il 4 gennaio del 1958.
Quelle tre settimane però cambiarono la storia del pianeta e furono fondamentali per far nascere internet: il satellite artificiale per le telecomunicazioni era stato teorizzato dallo scrittore di fantascienza Arthur C. Clarke (quello di 2001 Odissea nello Spazio, per intendersi) già nel 1945 in un articolo per “Wireless World”, il più autorevole giornale americano per radioamatori, nato nel 1913 praticamente assieme alla radio. Ma non era questa funzione a spaventare gli americani. Era il vettore che lo aveva portato in orbita, cioè il lanciatore: un missile intercontinentale a cui poteva essere installata evidentemente una testata atomica e che poteva essere usato per bombardare il suolo americano.
Tutta la dottrina della guerra fredda tra Usa e Urss a partire dalla fine della Seconda guerra mondiale si basava sull’equilibrio del terrore. Entrambe le nazioni avevano l’atomica e i bombardieri per portarla in territorio nemico. Ma il volo richiedeva tempo ed era intercettabile. Adesso i russi, sfruttando il know how degli scienziati tedeschi catturati durante la conquista della Germania nazista (metà della quale era rimasta sotto il controllo sovietico, cioè la Repubblica democratica tedesca o DDR o Germania dell’Est), avevano un’arma capace di sparigliare. E con il satellite in orbita lo dimostravano: in quindici minuti anziché in dieci ore potevano colpire il territorio americano. E gli americani no.
La risposta del Pentagono fu un piano per accelerare la ricerca scientifica in maniera tale da stimolare la nascita di nuove idee e nuove tecnologie capaci di controbilanciare la supremazia spaziale dei sovietici. Strumentale per questo fu la creazione di una agenzia del Dipartimento della Difesa americana, la Defense Advanced Research Projects Agency meglio conosciuta come DARPA. L’agenzia cercò di risolvere anche dei problemi infrastrutturali per mettere in condizione i ricercatori pubblici e le aziende amiche di fare prima a innovare. Costruì una rete che dava accesso alla risorsa scarsa e preziosissima: il tempo di calcolo dei grandi computer presenti nelle università. All’inizio degli anni Sessanta erano pochissimi, molto grandi e strategici: uno scienziato poteva modellare matematicamente il suo problema e utilizzare il computer per svolgere i calcoli che consentivano di fare simulazioni virtuali. Tra gli scienziati esperti di simulazione numerica uno dei pionieri era stato Enrico Fermi, fisico delle particelle premio Nobel e uomo di riferimento del progetto Manhattan che aveva portato alla creazione della bomba atomica che aveva fatto “chiudere” la guerra con i giapponesi agli americani. Fermi, tra gli altri, sosteneva che i computer fossero fondamentali per gestire le migliaia di varianti di un esperimento in maniera tale da eliminare subito, a velocità molto maggiore, tutti i vicoli ciechi e potersi concentrare solo sulle strade più promettenti con gli esperimenti fisici veri e propri, che richiedono tempo e denaro.
La rete che Darpa mise in piedi era Darpanet che poi divenne Arpanet. Era basata su protocolli e schemi di comunicazione ma il monopolista delle telecomunicazioni americano non volle creare una rete dedicata perché riteneva che il costo sarebbe stato molto maggiore rispetto al possibile guadagno. Era l’epoca in cui anche il presidente di IBM riteneva che al mondo ci sarebbe stato mercato per cinque o sei computer al massimo: cablare l’America per collegare cinque computer sembrava assurdo. Internet nacque allora, nei primi anni Sessanta. Mentre gli scienziati di allora si organizzarono per poter sfruttare la modulazione di segnali lungo le reti telefoniche normali, che però erano altamente inaffidabili. I segnali potevano andare dispersi, la linea cadere, i centralini usare sistemi di indirizzamento sempre diversi che rendevano impossibile ottimizzare la trasmissione per un determinato tipo di ambiente di riferimenti e che impedivano soprattutto la normale trasmissione dati punto-a-punto ininterrotta.
Per risolvere questo problema fu ideato un ingegnoso sistema di trasmissione a pacchetti e una serie di regole e protocolli che alcuni storici disattenti hanno pensato fossero stati voluti per rendere la rete internet capace di resistere a un attacco nucleare. Errore: dovevano più prosaicamente resistere ai terribili standard delle reti telefoniche dell’epoca e al rischio che gli apparecchi creato da BBN e da altre aziende per fare da modulatore-demodulatore e da instradatore del segnale si spegnessero o funzionassero a intermittenza. Una rete capace di resistere a una guerra nucleare è una bella tesi per un romanzo di fantascienza ma dimentica che il problema, nel caso di un olocausto nucleare, non sarebbe la rete quando i computer: all’epoca tutti i mainframe a transistor si sarebbero bruciati e “spenti” per l’impulso elettromagnetico delle detonazioni nucleari: il problema non era quello di far sopravvivere la rete ai computer ma alla scarsità delle reti telefoniche tradizionali.
Comunque, fu il bip-bip dal cielo dello Sputnik di più di 60 anni fa il catalizzatore di un corso di eventi che ha portato alla nascita di Internet e, poi, alla lunga, di tutto quello che è successo dopo. E alzare gli occhi in queste notti guardando una costellazioni di piccole luci che prendono il posto di quel solitario oggetto creato dall’uomo sono un cerchio che si chiude e che apre a una nuova epoca di trasformazione. Se così tante sono state le conseguenze nella nostra società per un singolo satellite primordiale, una palla di alluminio capace solo di fare bip-bip per tre settimane, quali potranno essere le conseguenze di tremila e più bolidi da due quintali e mezzo che sfrecciano a bassa quota e sparano gigabit e gigabit di dati sulla testa di tutto il mondo? Ci vorrebbe uno scrittore di fantascienza per immaginare un mondo del genere, in cui anche le reti di terra, costosissime e dalle prestazioni mediocri, diventerebbero inutili.