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La buona salute di Apple e Microsoft dipende anche dalla privacy

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Due vecchi dinosauri della tecnologia se la ridono sotto i baffoni. Sono Apple e, a sorpresa, Microsoft (anche se quest’ultima ha un po’ meno da ridere, a dire il vero). Le due aziende hanno storia e percorsi simili, ma soprattutto modelli di business paragonabili. Entrambi vivono grazie alla vendita dei loro prodotti. E questo le rende da un certo punto di vista diverse da tutti i loro avversari di oggi (le altre tre grandi: Amazon, Facebook e Google), ma soprattutto le mette al sicuro dalla accusa più odiosa che sta per tranciare con durezza la fiducia sui tre grandi, il loro mercato e forse anche i loro conti economici: violazione di privacy degli utenti.

Il mondo sta cambiando, l’Europa ha innescato una trasformazione epocale con il regolamento della GDPR che entra in vigore a maggio, niente sarà più come prima, ma soprattutto non lo sarà più pensando che quel che è successo a Facebook non finirà tanto presto ed è solo l’inizio. Con tutta probabilità infatti verrà il momento di ripensare la delega sostanzialmente in bianco che gli utenti hanno dato a colossi come Google e Facebook (ma anche come Amazon) per avere in cambio sconti o servizi gratuiti.

C’è un vecchio detto: non esistono i pasti gratis. Oppure, possiamo anche dire: quando non stai pagando, è perché il prodotto sei tu. E non ci sarebbe niente di male, se in realtà non ci stessimo sempre più rendendo conto che la situazione di delega in bianco ai tre grandi somiglia più a un’altra situazione che è stata cristallizzata in un proverbio: “quando ti siedi al tavolo da poker e non capisci chi sia il pollo, vuol dire che quello sei tu”.

apple privacy

“La verità – ha detto mercoledì scorso Tim Cook – è che potremmo fare una tonnellata di soldi se monetizzassimo i nostri clienti, cioè se i nostri clienti fossero il nostro prodotto. Ma abbiamo deciso di non farlo. Non sono come Mark Zuckerberg, non potrei mai trovarmi nella sua posizione né di ieri né di oggi e neanche di domani».

La differenza nella gestione dei dati da parte di Apple è cosa nota e probabilmente inutile ripetere, anche se si dice che repetita iuvant. Invece, sapere che quel che accade è una tensione da parte dell’azienda di Cupertino per superare i vincoli e le difficoltà del mercato tenendo sempre al centro la barra della propria idea morale e del cliente, è rimarchevole.

Apple, come Microsoft, non ha interesse e desiderio e strategia per vendere i dati dei suoi clienti. Perché poi è questo di cui si parla: non tanto la raccolta delle informazioni, in modo più o meno anonimo, e la presenza di console di controllo lato utente che consentano di regolare in finezza quante informazioni vengono raccolte e quante no (ma poi chi lo fa?) sia per Apple e Microsoft che per Amazon, Facebook e Google. No, si parla della raccolta e monetizzazione, cioè vendita, dei dati degli utenti.

apple privacy

Le informazioni vengono date in cambio di servizi, ma a cambiare è il modo con cui si pagano questi servizi. Con Apple e con molte delle cose che vende Microsoft, si paga e pure profumatamente prima: l’iPhone, il tablet, la copia di Windows, il pagamento dei sistemi. Il resto segue una traiettoria completamente diversa. E la creazione di un profilo psicometrico tramite l’analisi di parole chiave, preferenze e like, cambia di senso se, anziché servire a fornire un servizio migliore, ha l’obiettivo di vendere ad altri mediatori del mercato un consumatore profilato e “ben strutturato”, pregevole croccantino da far sgranocchiare ai colossi della pubblicità.

Questo introduce tutto il filone della manipolazione delle informazioni non per far comprare più croccantini per gatti, ma per eleggere i presidenti degli Stati Uniti (almeno due: Barack Obama prima e soprattutto Donald Trump adesso), far vincere la Brexit in Gran Bretagna, portare a parte dell’affermazione di forze politiche rispetto ad altre anche nelle elezioni del nostro Paese, oltre che in altre parti d’Europa. Tutto questo sta per finire, si spera. E in tutto questo né Apple né Microsft hanno da soffrire, per loro fortuna.

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