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Jony Ive e il lungo addio ad Apple

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Jonathan “Jony” Ive è stata una figura centrale nel design mondiale e la sua definitiva uscita dall’orbita di Apple non è poca cosa. Il designer inglese, uno dei più ricchi al mondo, è stato scoperto da Steve Jobs quando il co-fondatore di Apple è tornato alla guida della sua azienda, e dal 1997 con l’iMac colorato e trasparente in avanti non si è più fermato. Sino a pochi anni fa.

Innumerevoli libri, articoli, saggi, documentari, raccontano la sua storia, l’importanza del suo ruolo, la grande perdita che Apple ha subito dopo che Ive ha deciso di uscire e mettersi in proprio. Ma c’è molto di più da capire, in realtà. Vediamo.

L’addio

La separazione di Jony Ive, di cui abbiamo dato notizia, si è svolta in più stadi. Prima le voci che circolavano, con le quali si sosteneva che dopo la morte di Jobs e la battaglia (vinta) contro Scott Forstall, Ive avesse tirato i remi in barca, poi la promozione che lo ha messo in un ruolo meno operativo, poi l’annuncio della dipartita per fondare una società di design dal nome un po’ sgangherato (LoveFrom) e infine il nuovo annuncio sulla chiusura dei contratti di collaborazione si suppone in parziale esclusiva (niente concorrenti di Apple come clienti) a tre anni dall’annuncio dell’uscita.

Jony Ive è stato uno dei più influenti design dell’epoca moderna e il suo addio non passa in secondo piano. C’è chi ha speculato che sia dipeso dal bisogno di aprirsi a nuovi clienti che Apple non avrebbe gradito (lasciando intendere che Ive avesse un accordo di non competizione con Apple) e chi invece che si sia trattato semplicemente dell’evoluzione prevista con certe tempistiche contrattuali (tre anni) assolutamente normali nel settore. Capiamo meglio.

jony ive

Eroe per caso

Jony Ive è stato il “fratello spirituale” di Steve Jobs. L’altra metà della mela per quanto riguarda un aspetto fondamentale della visione del mondo di Jobs, cioè il design. I due si sono intesi alla perfezione e questo vuol dire che non solo non hanno litigato, ma che le idee dell’uno e dell’altro si sposavano alla perfezione: nel corso degli anni, creando i vari computer e gadget vari, le idee di Ive erano quello che Jobs voleva e le idee di Jobs non incrinavano l’integrità artistica di Ive.

In questo periodo Apple è andata attraverso una fase di ricerca e di trasformazione straordinarie, che hanno cambiato il mondo e il modo con il quale viene intesa l’informatica. Apple ha avuto il tempismo perfetto, tra il 2000 e il 2010, per cavalcare questa trasformazione, Ive ne è stato il fortunato interprete. È stato l’amplificatore della visione di Jobs, che gli poneva anche dei limiti e comunque una coerenza esemplare (dal PowerBook al Mac Pro sino all’iPod e all’iPhone).

In questo periodo ci possiamo chiedere: senza Jobs tutto questo sarebbe successo? Apple sarebbe sopravvissuta e avrebbe avuto questo successo galattico? No, nel modo più assoluto. E senza Ive? Sì, anche se in maniera diversa. Qui c’è tutta la differenza, secondo noi.

La trasformazione

Mentre Apple cambiava, Steve Jobs cambiava, i prodotti cambiavano, ma anche il mondo (per via di Internet) cambiava, c’era anche un’altra trasformazione che prendeva piede. Il timido Jonathan Ive, che non si vedeva mai, diventava Jony Ive, una specie di guru della comunicazione del design che è stato anche parodiato per quei commenti in voice-over sui video dei prodotti Apple, in cui con il suo timbro caldo e britannico spiegava in maniera sognante la ricerca sui materiali, sulle forme, sul funzionamento, sull’estetica come modo di intendere la vita.

E se anche c’era sicuramente il lavoro del team di creativi di Apple, i suoi discorsi recitati avevano il sapore di una performance da architetto che cerca di dare una dimensione culturale e artistica alla sua attività di designer industriale.

Jony Ive, lodato come pochissimi designer prima di lui, e ricco come nessun altro prima di lui in questo settore, ha cominciato a comparire anche al di fuori del cerchio di Apple, come se fosse incapace di restare all’interno del cono d’ombra che Steve Jobs aveva da sempre voluto su tutti i suoi collaboratori (nessuno rilasciava interviste, partecipava ad eventi, era autorizzato a parlare a qualsiasi titolo). “Jonathan” diventava insomma “l’artista chiamato Jony”, la figura molto più raffinata e idealizzata (nella sua mente) del giovane studente della scuola d’arte del Regno Unito che in America aveva trovato il suo El Dorado.

Tra guerre e vittorie

Mentre Apple celebrava le sue vittorie e le sue grandi sconfitte, come la perdita di Steve Jobs, ucciso dal cancro nel 2011, Ive invece diventava un personaggio diverso, che gestiva un dipartimento sempre più ampio, con un peso fondamentale nell’azienda guidata da Tim Cook.

Ive, il fratello di Steve Jobs, era l’uomo che doveva garantire la continuità dei prodotti non dal punto di vista di come sono fatti ma di come funzionano. Insomma, la preziosa parte “riconoscibile”. Tra i cavalieri di Re Artù lui e Phil Schiller, assieme all’astro nascente Craig Federighi, hanno saputo segnare l’epoca giusta e dare profondità al dopo Jobs che, dietro le quinte, è stato anche il “dopo molta altra gente”, dall’ex delfino e enfant prodige Scott Forstall, ai vari dirigenti andati in pensione al termine del loro ciclo naturale.

Ive è diventato così uno dei grandi punti di riferimento della Apple molto più operativa di Tim Cook, sino a quando non si è capito che in realtà qualcosa era cambiata. Forse aveva scelto gli assistenti sbagliati, forse l’incarico di seguire la costruzione di Apple Park, la grande nave madre, forse il pensiero che le sfide che Cook gli avrebbe posto non sarebbero mai state all’altezza di quelle di Steve Jobs, fatto sta che a un certo punto verso il 2015, proprio quando uscivano prodotti sempre più estremi e dubbi (le tastiere ultrapiatte dei MacBook con una sola porta per tutto, ricarica compresa), è iniziata a circolare la voce che Ive aveva mollato botta.

Il distacco interiore

Circolava voce che Ive stesse sempre più spesso all’estero, a casa sua, in viaggio, al bar, ovunque tranne che in ufficio. Che il lavoro venisse fatto dai suoi collaboratori che poi si riunivano con lui al bar o in qualche sala d’albergo, che insomma il buon Ive si fosse stufato completamente di Apple.

Forse una nuova lotta interna era in corso, forse Ive voleva il posto di Cook, forse semplicemente non trovava più sfide all’altezza degli anni passati in Apple e progettava invece più tempo con la famiglia (improbabile), in palestra (ragionevole, vista la forma fisica attuale), con la sua azienda personale (una certezza: l’ha fatta).

Sia quel che sia, Ive a un certo punto ha annunciato la separazione, come fanno i genitori con i bambini: con garbo ma in modo irremovibile. Una separazione mitigata da “però continuiamo a lavorare in esclusiva”, cosa che ha tranquillizzato un pubblico piuttosto numeroso di persone che già erano orfane di Steve Jobs e continuavano ancora a chiedersi quali nuovi prodotti fossero effettivamente stati pensati solo da Tim Cook (risposta: le AirPods. Forse).

Il distacco esteriore

Non poteva durare per sempre e adesso la spiegazione del distacco moderato, dell’accordo di collaborazione, della lontananza relativa, emerge con maggiore chiarezza. Alla fine, era solo un accordo di non collaborazione ben mascherato: Ive lavorava con Apple, venendo pagato profumatamente per fare poco o nulla, ma era vincolato dall’esclusiva. Quindi, era vincolato dal segreto industriale, che è la cosa più importante.

Nel senso che Ive, che aveva accesso a tutto quello di cui si ragionava e che si cominciava a progettare in Apple, con i consueti cicli per cui il prodotto che viene presentato per la prima volta quest’anno è stato concepito almeno tre anni fa (per l’automobile e gli occhiali da realtà virtuale fate anche dieci o quindici). il che vuol dire che un Jony Ive che va a lavorare ad esempio per Meta o per Samsung o per Google può tranquillamente spifferare nel dettaglio i piani dei prossimi cinque-dieci anni.

Invece, con questa esclusiva e lento allontanamento esplicito dopo un allontanamento interno, si è lentamente creato un cuscinetto che separa quello a cui ha lavorato Ive rispetto a quello che Apple sta adesso sviluppando e che poi vedremo tra due-tre anni. In pratica, l’hanno sterilizzato a suon di milioni di dollari (pare 100 milioni di dollari), per evitare che qualcun altro potesse pagarlo riccamente per sapere cosa succede nei laboratori a Cupertino.

jony ive

Il futuro di Ive e di Apple

Oggi, dopo che Apple e Jony Ive hanno deciso di non rinnovare l’accordo di collaborazione triennale, ci si lamenta e ci si rattrista un po’. Ma ci sono cose per le quali essere anche felici. Intanto, i nuovi computer e apparecchi di Apple sono sempre più interessanti e questo lascia pensare che i nuovi designer sono finalmente diventati maturi e sono nel pieno controllo di quel che devono fare.

Ive, dal canto suo, adesso deve decidersi a crescere e imparare a fare la differenza come l’hanno fatta (con molta più umiltà) i nostri grandi del design. Deve dimostrare di essere un designer incredibile non solo perché gioca a fare le Ferrari elettriche, le Leica senza schermo e le trovate da rivista di architettura e design. Invece, deve cominciare a fare gli iMac trasparenti e colorati, gli iPod e gli iPhone del futuro, quelli con altri nomi e per aziende diverse, forse sconosciute.

Deve, insomma, convincersi che vale tanto anche senza Apple. Proprio mentre Apple sta dimostrando di valere molto anche senza di lui.

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