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John Sculley torna sulla cacciata di Jobs da Apple nel 1985

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John Sculley, ex CEO di Apple, racconta dettagliatamente a Forbes cosa successe (a suo dire) quando a un certo punto la Apple cacciò Steve Jobs, mettendolo in minoranza, esautorandolo da qualsiasi decisione strategica e costringendolo a dare le dimissioni. Come già altre volte fatto in passato, Sculley si dice dispiaciuto per quanto accadde, afferma che non fu solo colpa sua se Jobs fu cacciato dall’azienda e che molte colpe sono da attribuire anche al consiglio d’amministrazione dell’epoca.

Secondo Sculley nessuno gli ha mai chiesto perché i rapporti tra i due, un tempo molto amici, a un certo punto si deteriorano in modo irrecuperabile. “Imputo al consiglio la decisione” dice Sculley; “credo davvero si sarebbe potuto trovare una soluzione per far continuare a lavorare me e Steve insieme, poiché eravamo buoni amici fino a quella data”. Contrasti tra Jobs e Sculley nacquero riguardo il piano di Jobs sul “Macintosh Office”, il Mac di seconda generazione che Sculley riteneva “ridicolo”, “un giocattolo”, a suo dire “una vittima dell’eccessiva ambizione” pensando alla relativamente piccola potenza allora disponibile.

Jobs avrebbe voluto a tutti i costi ridurre il prezzo del Mac e spostare gran parte degli addetti all’advertising dall’Apple II al Mac. Per Sculley questa mossa non avrebbe cambiato granché, e suo vedere avrebbe messo a rischio le casse della società, un diverso modo di vedere che spinsero Jobs ad andare via. Come raccontato nella biografia di Isaacson dedicata al defunto CEO di Apple, il Mac era stato concepito come una macchina da mille dollari, ma le variazioni di progetto richieste da Jobs avevano fatto lievitare i costi, per cui si pensava di commercializzarlo a 1.995 dollari.

Quando Jobs e Sculley cominciarono a pensare al lancio e al marketing, Sculley decise di aumentare il prezzo di 500 dollari: a suo modo di vedere i costi di commercializzazione erano identici agli altri costi di produzione e dovevano essere inclusi nel calcolo per la determinazione del prezzo. Jobs oppose resistenza e anche i progettisti inorridirono quando fu loro comunicato il prezzo di 2.495 dollari. Questi ultimi si sentirono ingannati (il Mac era stato progettato per gente come loro e il costo maggiore sarebbe stato un tradimento). Jobs promise loro che non avrebbe lasciato fare questa mossa a Sculley; quando fu quest’ultimo a prevalere: il 25enne Jobs sbatté la porta in faccia ad Apple per tornare solo anni dopo. “È la ragione principale per la quale le vendite del Mac andarono a rilento e Microsoft finì per dominare il mercato” diceva Jobs.

Sculley fu costretto a dimettersi otto anni dopo l’espulsione di Jobs, nel 1993: la cosiddetta “era Sculley” fu caratterizzata da una suddivisione del mercato in sottomercati e segmenti con decine di modelli che originarono enorme confusione tra utenti e rivenditori, una strategia fallimentare che aumentava solo i costi senza apportare reali vantaggi. Jobs (che nel frattempo fondò NeXT) fu richiamato nel 1997 da un’Apple sull’orlo del fallimento diventando poi uno dei CEO più rispettati e apprezzati del pianeta.

Benché oggi Sculley cerchi di giustificare le mosse di allora, nella sua autobiografia “Odyssey” (uscita nel 1987) Sculley ricordava in questo modo Jobs: «Per lui (Jobs, ndr) Apple avrebbe dovuto diventare una meravigliosa società di prodotti di largo consumo. Un progetto lunatico. L’high-tech non può essere progettata e venduta come un prodotto di consumo».

Leggendaria rimane ancora tutt’oggi la frase con cui Jobs convinse Sculley nel 1983 ad abbandonare la Pepsi Cola per andare a lavorare in Apple: “Vuoi vendere acqua zuccherata per tutto il resto della tua vita o vuoi cambiare il mondo?”.

Steve Jobs e John Sculley
Steve Jobs e John Sculley

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