Fu lo shock derivato da una brutta esperienza con Creative a spingere Jobs a brevettare tutto il brevettabile. A raccontare la storia che ha condotto Apple a rincorrere ogni sorta di proprietà intellettuale, marchiando a fuoco anche cose che sembrano irrilevanti o non troppo comprensibili (come nel caso della forma rettangolare con angoli smussati dei dispostivi da tasca che è costata a Samsung una parte delle sanzoni subite nella causa su iPhone) è il New York Times.
La data da prendere in considerazione è il 2006 quando – prima del rilascio del iPhone – Creative riuscì a strappare ad Apple un accordo extra-giudiziale, imponendole un pagamento di 100 milioni di dollari per uscire da una causa in cui l’azienda di Singapore sosteneva che gli iPod copiavano una parte dell’interfaccia dei suoi lettori mp3 ZEN. Il costo pagato, già allora, era minimo (ed Apple l’avrebbe recuperato almeno in parte dando, a pagamento, a Creative il diritto di produrre accessori per iPod), ma a Jobs la faccenda andò decisamente per traverso. Il commento pubblico ruotò intorno a quanto Creative fosse stata fortunata nel riuscire a ottenere il brevetto prima di Apple, ma in privato il fondatore di Apple si scatenò decidendo che del prossimo suo prodotto, l’iPhone, avrebbe brevettato ogni cosa brevettabile, scelta che venne sottolineata anche nel keynote di presentazione del cellulare. Seguirono così numerose sessioni fra legali ed ingegneri, con l’individuazione di ogni singolo elemento da sottoporre all’ufficio competente.
L’ossessione per il brevetto era ad un parossismo tale che, secondo quanto riportato da un ex- Apple non meglio identificato, si arrivò ad inviare anche richieste pur sapendo che non sarebbero state accettate. Molti brevetti sono stati poi inoltrati numerose volte; è il caso del brevetto 8,086,604 (Siri) che Apple ha proposto la prima volta nel 2004 e che ha ottenuto solo lo scorso anno al decimo tentativo. Il risultato fu la moltiplicazione per 10 delle richieste di brevetto rispetto a dieci anni prima.
La scelta strategica ha assunto un ruolo primario nella scena della tecnologia con l’arrivo di Android, che Cupertino ha sempre considerato una copia del suo iPhone. Secondo alcuni manager di Google, il vero obbiettivo delle azioni legali, Apple avrebbe spesso cullato la possibilità di un accordo globale, salvo poi ritrarsi all’ultimo momento.
Apple non è certamente l’unica azienda a intraprendere cause giudiziarie: negli ultimi 10 anni le richieste di brevetti sono triplicate, così come sono aumentate le cause relative: il risultato è che da una parte oggi aziende come Apple e Google spendono più risorse sui brevetti che su progetti concreti e ricerca e sviluppo; dall’altra, molte start-up vengono soffocate economicamente da cause su presunti brevetti violati, non avendo sufficienti risorse per affrontare lunghi processi giudiziari.
Nel complesso molti osservatori vedono la situazione del mercato odierna come poco propositiva e più utile a preservare uno status quo che a valorizzare l’evoluzione tecnologica. Un pensiero che può essere sintetizzato dal giudice Richard Posner, già protagonista di un processo che vedeva confrontarsi Motorola ed Apple, che ha dichiarato: “Sono scettico sul fatto che i brevetti siano davvero la fonte di un incentivo adeguato nel campo del software”.
Fonte: New York Times