Nessun compromesso, una battaglia senza quartiere, una guerra termonucleare. Ecco la minaccia che Jobs lanciò contro il mondo Android quando HTC rilasciò uno dei primi dispositivi basati sul sistema operativo di Google. Il pensiero e la rabbia del defunto amministratore delegato Apple all’indirizzo del mondo che ruota intorno a Big G sono testimoniati da alcuni estratti del libro Steve Jobs di Walter Isaacson, in arrivo nelle librerie questo lunedì (in vendita su Amazon Italia [sponsor] e iBooks Store), riportati dall’agenzia AP.
L’attacco a Google avvenne a gennaio del 2010; in quel mese Apple portò un fascicolo in tribunale per denunciare la copia di iPhone da parte della società taiwanese che a giudizio dell’azienda di Cupertino aveva imitato alcune delle principali funzioni di iPhone. A quanto pare Eric Schmidt, allora CEO di Google amico di Jobs, avvicinò la rivale per cercare di capire come uscire dalla situazione, ma il suo interlocutore fu molto chiaro su quale a suo giudizio fosse l’unica via di uscita: «Voglio che smettiate di usare le nostre idee in Android. Ecco l’unica cosa che voglio. Spenderò il mio ultimo respiro, se è necessario, spenderò tutti i 40 miliardi di dollari che Apple ha da parte, fino all’ultimo centesimo, per mettere a posto questa cosa. Voglio distruggere Android perché è un prodotto spuratamente copiato. Sono deciso ad andare alla guerra termonucleare». Probabilmente ci fu un approccio per cercare un accordo mediato se è vero che Jobs disse: «Non mi interessano i vostri soldi: neppure se mi offriste 5 miliardi di dollari direi di sì. Di soldi ne abbiamo abbastanza». Jobs non mancò, infine, neppure di definire in maniera colorita sia Android che Google Docs.
La vicenda narrata dal libro di Isaacson si colloca a margine e rende pienamente ragione di quello che già tutti conoscono, ovvero del profondo contrasto tra Apple e Google, e dello scontro che ora è di fatto focalizzato contro Samsung che ha battuto e superato HTC seguendo un percorso analogo ma con maggior successo sul mercato. La «Guerra termonucleare» scatenata da Jobs è arrivata fino a chiedere in tutti i principali paesi del mondo il blocco della vendita dei Galaxy e anche se Samsung sembra sia intenzionata a replicare con altre cause, resistendo sulla linea Maginot, il bombardamento di Apple continua ad essere ancora intensissimo e in qualche punto avere prodotto delle brecce.
AP cita anche altre parti del libro, dalla crisi religiosa di Jobs (avvenuta a 13 anni quando vide sulla copertina di Life una foto di bambini affamati e chiese, senza avere una soddisfacente risposta, al pastore della sua parrocchia se Dio vedeva quel che stava accadendo nel mondo), alle sue convinzioni sull’LSD («rinforzò il mio senso di quello che è importante, la volontà di creare cose grandi invece che fare soldi, la volontà di mettere queste cose nel corso della storia e della coscienza umana meglio che mi fosse possibile») fino al pessimo giudizio sul management di Apple dopo la sua dipartita. «Giudicava il team messo insieme come una banda affamata di denaro per sé stessi e per l’azienda, ma senza alcun interesse a fare prodotti migliori», dice AP. Jobs considerava il suo miglior lavoro avere creato, invece, un gruppo di persone che non avrebbero mai permesso capitasse quello che è successo ad HP che quando se ne andarono Hewlett e Packard pensarono di avere lasciato l’azienda in buone mani: «invece ora quell’azienda viene smembrata e distrutta».
Si parla anche delle varie sperimentazioni con le diete fatte da Jobs al punto che anche il nome Apple deriva dalle sue convinzioni in campo alimentare: «è un nome divertente, gioioso, che non suscita soggezione», disse Jobs. L’idea gli venne dopo essere tornato da un frutteto di mele; le mele erano parte di una delle sue diete fruttariane.
Tra i personaggi citati dall’articolo di AP c’è Nike Scott, primo presidente di Apple reclutato per fare da tutore a Jobs che allora aveva 22 anni, ma che ebbe quale obbiettivo nei primi mesi quello di convincere, senza riuscirci, il fondatore dell’azienda a lavarsi più spesso.