Che gli italiani siano nel mondo tra i più appassionati di tecnologia, soprattutto ora che la stessa si fa via via più “mobile”, non è forse una notizia; che nel Paese ci siano inoltre molti suoi detrattori, preoccupati per una progressiva invasione della privacy e per una tendenza a “sostituirci” in molte attitudini e attività umane, non stupisce allo stesso modo più di tanto. Ciò che invece davvero sorprende nei dati del primo Barometro Intel dell’innovazione tecnologica, che ha coinvolto con il supporto dell’istituto di ricerca internazionale Penn Schoen Berland quattro paesi maturi (oltre all’Italia, gli Stati Uniti, il Giappone e la Francia) e altrettanti emergenti (Brasile, Cina, India e Indonesia), è invece l’“immagine rovesciata” che restituiscono della nostra società a tu per tu con il mondo hitech.
La ricerca rivela infatti che sono gli appartenenti alla cosiddetta generazione Y, o generazione del millennio (di età compresa tra i 18 e i 24 anni), coloro insomma che la tecnologia la conoscono meglio convivendoci fin dalla nascita, a essere meno entusiasti verso la tecnologia attuale. Di contro, le donne over 45, tipicamente in carriera o mamme, sono le più ottimiste per quanto riguarda le innovazioni in campo tecnologico. Fino a sostenere, in aperto contrasto con i giovani, che non usiamo ancora abbastanza tecnologia nelle nostre vite di tutti i giorni.
La ricerca sottolinea inoltre anche un secondo, evidente contrasto, perché se l’Italia si ritrova prima per passione tecnologica dei suoi abitanti, si conferma anche desolatamente ultima per capacità di produrre innovazione, sia a detta dei connazionali sia degli intervistati degli altri Paesi. Con un aggravante: gli abitanti dello Stivale sono tra coloro che credono in assoluto di meno nella forza innovatrice del loro Governo.
Generazione Y: hitech sì, ma non troppo. La ricerca rivela che gli appartenenti alla generazione Y in tutto il mondo mostrano un netto contrasto con la loro reputazione di nativi digitali che non si saziano mai di tecnologia. Una maggioranza di appartenenti alla generazione del millennio in Italia, ovvero il 76%, concorda infatti sul fatto che la tecnologia rende le persone meno umane, mentre 6 giovanissimi su 10 sono convinti che la società faccia troppo affidamento sulla tecnologia.
D’altro canto, però, l’86% di loro è convinto che l’innovazione tecnologica renda la vita migliore e addirittura quasi il 60% che aiuti i rapporti personali. Gli italiani hanno inoltre più fiducia dei coetanei di altri mercati sviluppati nel resto del mondo sul fatto che le innovazioni avranno un impatto positivo su istruzione (40%), trasporti (41%) e assistenza sanitaria (41%).
“A prima vista sembra che i giovani della generazione Y rifiutino la tecnologia, ma sospetto che la realtà sia molto più complessa e interessante”, ha affermato Genevieve Bell, antropologa e Director of Interaction and Experience Research presso gli Intel Labs. “Un diverso tipo di lettura suggerisce che i giovani della generazione Y desiderano che la tecnologia faccia di più per loro, e dobbiamo impegnarci a renderla molto più personale e meno ingombrante”. I nativi digitali vogliono infatti che la tecnologia futura renda la vita migliore, più semplice e divertente. e quasi la metà di loro ritiene che la tecnologia dovrebbe riconoscerli imparando comportamenti e preferenze. Proprio per questo, in Italia, la generazione Y è più propensa a condividere le informazioni personali rispetto ai concittadini più anziani, con il 59% disposto a condividere la data di nascita, il 46% i dati GPS, il 59% le e-mail, il 51% lo storico degli acquisti e addirittura il 44% i dati genetici. Vogliono avere insomma esperienze che li aiutino a vivere il momento e a dare il meglio di sé.
Lo chiamavano gentil sesso. Ora è innovatore. Secondo l’indagine, le donne più mature e quelle che vivono nei mercati emergenti sono entusiaste del ruolo della tecnologia nella loro vita. A livello globale, le donne di età superiore ai 45 anni sono più propense rispetto alle donne più giovani ad affermare che non utilizziamo abbastanza tecnologia nelle nostre vite. Sono inoltre particolarmente propense ad affermare che la tecnologia ci rende più umani e ci consente di approfondire le relazioni interpersonali.
Queste donne sostenitrici della tecnologia sono più numerose in Italia che negli altri paesi maturi, oltre che nei mercati emergenti come la Cina, dove più di 7 donne su 10 di età superiore ai 45 anni sono convinte che non utilizziamo abbastanza tecnologia. Le donne italiane ritengono in particolare che le innovazioni porteranno a miglioramenti nel campo dell’istruzione (56%), dei trasporti (42%), del lavoro (53%) e dell’assistenza sanitaria (51%), e sono inoltre maggiormente disposte ad accettare tecnologie che per le coetanee di altre nazioni potrebbero essere considerate troppo personali, come software che osservano le loro abitudini lavorative (70%) e monitorano le abitudini di studio degli studenti (70%), e persino bagni intelligenti che tengono sotto controllo la loro salute (74%).
“Storicamente le donne sono diventate utenti accanite di tecnologia quando la stessa si è dimostrata in grado di risolvere i loro problemi, aiutandole a organizzare la loro vita e quella della loro famiglia, oltre che a risparmiare del tempo prezioso”, ha aggiunto Bell. “Mi chiedo se ciò che i dati raccolti ci dicono è che le donne sono ottimiste perché riscontrano che l’innovazione tecnologica sta iniziando a trasformare in realtà la promessa di inserirsi meglio nei ritmi dei nostri giorni, aiutandoci a risolvere problemi e bisogni specifici e creando nuove esperienze coinvolgenti, che saranno preziose allo stesso modo per uomini e donne”.
Benestanti nella vita reale, più “social” online. La ricerca ha anche rivelato, a sorpresa, che i cittadini più benestanti sono disposti a fornire dati personali in misura maggiore rispetto ad altre categorie. Le persone con redditi elevati sono quelle più disposte a condividere dati personali in forma anonima, come i risultati di analisi di laboratorio o informazioni sui viaggi effettuati. Sono inoltre le più propense a possedere dispositivi tecnologici e a cimentarsi regolarmente con la tecnologia. In Italia, in particolare, l’80% delle persone ad altro reddito condividerebbe analisi di laboratorio rispetto al 68% degli individui con reddito più basso, così come le destinazioni dei loro viaggi (74% contro 43%) o le date degli stessi (71% contro 44%).
Tuttavia, sempre la ricerca mostra come sia possibile incentivare la condivisione mostrandone i vantaggi specifici. La disponibilità degli italiani con reddito inferiore nel caso delle analisi di laboratorio salirebbe dal 68% al 73% se la condivisione comportasse minori costi sanitari. Mostrare i vantaggi personali e persino sociali, come cure mediche migliori o costi di viaggio inferiori per i pendolari, è il modo più coinvolgente per annullare il divario tra chi è disposto a condividere e chi non lo è.
“Per il settore della tecnologia è più importante che mai mostrare il significato e la pertinenza a livello personale,” ha concluso Bell. “Ascoltare ciò che vuole davvero la gente e creare tecnologie che si adattino a una vasta gamma di esperienze personali è il futuro della tecnologia.
Povera Italia. Ma con il pallino della tecnologia In termini di innovazione hitech, infine, l’Italia, si conferma ultima tra le grandi e i paesi emergenti, sia nella percezione degli italiani sia di tutti gli altri intervistati. Un dato poco lusinghiero, considerando anche che la maggioranza degli intervistati (il 77% in Italia) crede che la propensione all’innovazione di una nazione sia un fattore importante di benessere sociale.
Gli italiani sono però paradossalmente tra i primi nel mondo per passione hitech: uno su due, una percentuale elevata, dichiara di rincorrere sempre gli ultimi gingilli tecnologici. Gli uomini italiani in particolare (45%) sono più propensi a stare al passo con il progresso della tecnologia e a possedere il dispositivo più recente rispetto alle donne italiane (37%).
Lo stesso vale in altre nazioni, ad eccezione dell’India. All’Italia, infine, spetta un altro primato negativo: solo 7 italiani su 100 riconoscono nel Governo una forza trainante per l’innovazione tecnologica nel Paese. Peggio di noi, nessun altro. Un italiano su tre preferisce infatti confidare nella lungimiranza e nel traino sia delle grandi aziende sia delle tante piccole e medie imprese.