Godetevela, perché meglio di così questo ciclo del personaggio Marvel non potrà più essere. La serie era cominciata due anni fa con il primo capitolo di una trilogia che si concluderà tra un anno e mezzo. Lo scopo era celebrare l’epopea della nascita e crescita del personaggio più singolare dell’universo Marvel, e al tempo stesso dare spazio a uno degli attori che stanno vivendo il proprio momento di grazia. L’equilibrio, grazie a un notevole cast e ad una regia più che ricca, c’è. Vediamo in dettaglio come mai.
E spieghiamo anche perché Macity racconta questo “evento” dell’anteprima Milanese di due giorni fa, arrivata prima in Italia che non negli USA. L’invito alla serata in un cinema della città meneghina è merito di Gameloft, uno degli sponsor dell’iniziativa nonché uno dei principali sviluppatori di software per giochi su iPhone e in prospettiva iPad. Gameloft ha realizzato il “porting” del gioco di Iron Man 2 per iPhone e quindi il legame della loro presenza è bene che sia chiaro. Ma qui non si parla del gioco, quanto del film che, come state per leggere, ha tanti legami con il mondo Apple.
La storia di Iron Man è semplice: l’industriale e inventore Tony Stark nel primo capitolo veniva rapito dal suo socio e da un gruppo di terroristi mediorientali. Tenuto prigioniero e costretto a rivelare segreti militari ai “nemici” (le industrie Stark producono armamenti per il governo USA) il mega-miliardario e playboy, conosciuto per lo stile di vita dandy comprensivo di villa hollywodiana e decine di vecchie auto di cui è appassionato collezionista e guidatore, si costruisce dal niente in una caverna afghana la sua armatura di ferro e nasce Iron Man. Il primo film si conclude con la “fine” dei cattivi, e la supremazia di Iron Man come nuova arma tattica super-avanzata e in mano ai soli americani grazie a Tonyd Stark.
Proprio questa è la premessa della seconda pellicola: il rapporto con un potere molto grande e gestito da un uomo solo. Per questo motivo nel film, a parte uno straordinario cattivo interpretato con fantastica abilità da Mickey Rourke, compaiono anche quei “pesi e bilanciamenti” che servono a riequilibrare la vita di Iron Man (se non quella di Tony Stark), cioè Nick Fury, lo Shield, un secondo Iron Man.
Non è questo l’unico tema: c’è la malattia (il “potere” logora chi ce l’ha, se non lo usa bene) e l’essere figli d’arte. Per questo compaiono, non solo un cattivo “figlio d’arte”, ma anche una figura paterna che all’inizio si presenta in maniera straordinariamente simile a quella di Walt Disney. Il padre di Tony, Howard Stark. L’immagine è canonica: la vecchia pellicola che mostra il padre di Stark presentare il plastico gigantesco della città del futuro è in realtà clonata dal video in cui nel 1959 Walt Disney presentò il suo secondo parco dopo quello di Anaheim, in California, cioè Walt Disney World Resort a Orlando, in Florida.
L’ambizione di Disney era di costruire una città utopica che facesse da fiera permanente delle tecnologie del futuro (poi consolidatesi in piccolo dentro Epcot) e in cui vivesse e lavorasse una futuribile comunità di pionieri del nuovo mondo. Il “Florida Project” è diventato semplicemente un parco divertimenti, nel film della Paramount su base della Marvel, l’idea viene recuperata e la singolarità è l’accostamento visto che Marvel nel frattempo è stata acquistata proprio dalla Disney.
Ma il vero tema che la trama e la regia fa crescere è la ricerca di uno scopo e di una identità per Iron Man e il suo inscindibile creatore Tony Stark: potente, ricco, dominatore, e al tempo stesso fragile perché circondato da nemici oltre che da amici, spesso al suo interno oltre che contro di lui all’estero. Le donne (straordinaria come sempre Gwyneth Paltrow, nonostante lo spazio minore, e ottima anche Scarlett Johansson, in un ruolo triplo e “fatale”) sono figure positive nell’universo sbilanciato di Stark-Iron Man, che è in realtà qui una fortissima metafora dell’America potente ma alla ricerca di un ruolo per il suo futuro. E proprio la storia americana passa nella pellicola, compresa l’audizione della commissione senatoriale che ricorda sia le grandi inchieste di Bob Kennedy e di altri momenti della storia USA che il senatore Jonh McCarty e le pagine buie del maccartismo del dopoguerra.
Senza contare la grande presenza come sponsor di tutta l’operazione da parte della Oracle: negli Usa i muri e i giornali sono tappezzati di immagini di Iron Man accostato al brand del software per le aziende creato dal miliardario strabordante Larry Ellison, e nel film uno dei padiglioni della fiera permanente Stark Expo, è della Oracle, mentre Tony Stark e Larry Ellison interagiscono alla fine di un keynote di Stark, all’inizio del film.
La fiera (che tra le altre cose è ovviamente finta ma più bella, moderna e interessante dei progetti che proprio in questi giorni hanno pubblicato per l’Expo 2015 di Milano, tanto per dire) è singolare: per la prima volta in un film, oltretutto di intrattenimento, viene “inglobata” in maniera così esplicita la presenza di uno dei modi diventati più importanti per la comunicazione da parte delle imprese. Le fiere, e soprattutto gli amministratori delegati-rockstar che salgono sul palco e – uomini soli e complessi, disperati e pieni di energia – affascinano con spettacoli pacchiani ma anche “forti” e pieni di messaggi la platea di azionisti, clienti e gente comune. Dal mondo dell’informazione diventato intrattenimento (con il neologismo “infotainment”) al mondo dell’impresa diventato intrattenimento (potremmo chiamarlo “biztainment”), Iron Man 2 fa anche uno straordinario lavoro nell’introdurre temi moderni, adulti e complessi nella trama di un film di azione e avventura.
È naturale, dopotutto, perché Iron Man è un eroe da rivoluzione industriale, al centro della galassia delle grandi imprese americane (Stark è un “capitalista” che si toglie il gessato e va a combattere per la giustizia in prima persona, con uno spirito profondamente libertario e conservatore al tempo stesso) e perché la regia di Jon Favreau e la scrittura di Justin Theroux sono quelle di una nuova generazione di autori e professionisti del mondo dello spettacolo, nati davanti a una complessità che la “vecchia guardia” di Hollywood finora non ha più avuto da lungo tempo.
L’azione e lo spettacolo, perché di questo si parla quando si parla di Iron Man e di questo genere di film. Siete curiosi? Senza fare spoil di nessun genere, ce n’è. E ce n’è anche parecchia. Più spettacolare di quanto non immaginiate. Con decine di citazioni (dai robot giapponesi ai sette samurai, al western, alla storia di polizia ambientata a LA), in un gioco di rimandi gustoso ma al tempo stesso alla rapidità e potenza visiva degli effetti speciali messi in campo.
Jon Favreau è un buon regista, che sa stare bene nei tempi della commedia rapida (sempre necessaria per Downey Jr.) e in quelli del cinema d’azione. A metà fra Mission Impossibile (perché ci sono sequenze che vengono da John Woo più che da Quentin Tarantino, con una Scarlett Johansson scatenata) e Avatar con l’impiego di computer grafica e ambienti virtuali ricostruiti con il massimo del realismo. Iron Man si muove portando con sé la potenza di una macchina incredibile ma a misura d’uomo, quindi impegnata in incontri e scontri “tradizionali”. La camera di Favreau è plastica, mobile e immaginifica, ma non perde mai il controllo.
Nel complesso, Iron Man 2 è migliore del primo capitolo, anche se rimane un film prevalentemente d’azione e di buona tecnica realizzativa, infarcito di citazioni dotte e stimoli ma con un appeal prevalentemente maschile e adolescenziale. Da vedere anche in coppia, ma solo se la vostra fidanzata è un po’ metallara e gli piacciono molto gli AC/DC.