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iPhone 5 troppo sicuro: custodisce segreti di un omicidio milanese ed Apple non rivela la password

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Sicuro, sicurissimo, pure troppo. Questo quel che stanno pensando in procura a Milano dell’iPhone 5 coinvolto in una storiaccia di omicidi, droga e pedofilia e che potrebbe rivelare i segreti che partono da un assassinio, quello di Nicoletta Figini uccisa a Milano nel luglio dello scorso anno, e hanno portato in carcere  con l’accusa di avere intrattenuto rapporti sessuali con una bambina di 13 anni, un uomo, amico e socio della vittima.

La vicenda, come accennato, comincia con il rinvenimento di un cadavere, quello della Figini, apparentemente deceduta durante un tentativo di rapina presso il suo domicilio nella zona di Città Studi. Le perquisizioni degli inquirenti, in realtà, oltre ad un certa quantità di cocaina, portano alla luce diversi indizi dai quali emerge che la donna potrebbe essere stata in realtà assassinata per altri motivi e che la rapina poteva essere solo una messinscena. Finisce così dietro le sbarre un uomo che, secondo alcune confidenze dettate a parenti e conoscenti, aveva una squallida storia con una minorenne e che era socio della vittima in un negozio di telefonia. Per fare luce su quel che è realmente successo il sostituto Mauro Clerici ordina di sequestrare alcuni telefonini, due vengono sbloccati senza problemi, un terzo, un iPhone 5 è protetto da una password che non si trova. Il cellulare affidato a degli esperti si rivela per quel che è: impenetrabile. «Nessun software, nessun hacker, nessun detective pare in grado di superare la barriera della password di apertura, se è attivata», recita il Corriere della Sera.

iphonebloccatoDi qui la decisione di rivolgersi direttamente Apple, attraverso un avvocato milanese che lavora con la filiale italiana e l’ambasciata americana a Roma. È a questo punto che si alza il ben noto muro della privacy di Apple, l’unica realtà al mondo che potrebbe essere in grado, in quale modo ancora non si sa, si eludere la barriera alzata dal software e dall’hardware di iPhone.

Apple accondiscende abbastanza raramente a dare informazioni sul possessore di un telefono, molto (davvero molto…) più raramente “apre” un iPhone per dare nomi, cognomi ed indirizzi degli account iTunes, messaggi email o estrarre immagini. Come abbiamo spiegato in un nostro precedente articolo, Apple fornisce queste informazioni solo dopo una accurata verifica e solo per ritrovare una persona scomparsa o impedire un suicidio e solo quando ci sono tutti i crismi di legge, intendendo questi quelli disposti dalla legge americana. Questo significa prima di tutto portare il telefono in California, ma chi arriverà a Cupertino dovrà avere in mano un’ordine di un giudice cosa che in Italia non può avvenire, visto che è un procuratore a condurre le indagini e siamo solo alla fase della ricerca degli indizi; in più ci devono essere solide e manifeste ragioni per chiedere lo sblocco del telefono, mentre nel caso milanese siamo solo alla fase di una verifica di un sospetto. Risultato gli sforzi di Clerici sono in stallo  e ora si spera in una soluzione tecnica che potrebbe passare da un ordine del Gip, il Giudice delle Indagini Preliminari.

La vicenda non è certo l’unica: nel corso di primi sei mesi dello 2013 l’Italia ha chiesto in 60 casi informazioni simili a quelle che sarebbero utili a proseguire le indagini sul caso di Nicoletta Figini, ricevendo soddisfazione solo nel 38% dei casi.

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