Una storia certo molto complessa, per diversi aspetti controversa, ma costellata di personaggi che, in un modo o nell’altro, si sono comportati molto diversamente da come si erano dipinti, e con protagonisti inaspettati, ad esempio Steve Jobs. Ecco i nuovi contorni entro cui si può collocare la vicenda dell’iPhone 4G “smarrito” in birreria così come essa ora appare dopo il rilascio della documentazione legale che ha accompagnato i primi passi delle indagini.
La pubblicazione, avvenuta nel corso della notte, è frutto dell’iniziativa di alcuni media americani (tra cui AP, Wired e C/Net) che hanno richiesto ed ottenuto dalla corte distrettuale di San Mateo, il rilascio delle informazioni raccolte dall’ufficio dello sceriffo locale. Si tratta di un PDF (qui quello pubblicato da Wired), molto dettagliati, che descrivono passo a passo tutto quel che è accaduto in base alle testimonianze delle persone coinvolte.
Il primo aspetto che emerge con nettezza è che Brian Hogan, la persona che ha venduto il telefono a Gizmodo, sapeva benissimo chi fosse il proprietario del cellulare ritrovato e il suo valore in termini commerciali e giornalistici. A fronte di tutto questo non ha fatto alcun tentativo di restituirlo (avrebbe anche detto, riferendosi ai rischi che avrebbe corso l’ingegnere che aveva smarrito il telefono, “peggio per lui non avrebbe dovuto perderlo”) e mentre gli cercavano di recuperare il materiale ha tentato di distruggere o nascondere in mezzo a dei cespugli alcune prove come gli adesivi appiccicati ad iPhone e le schede delle macchine fotografiche che contenevano le immagini scattate per “promuovere” con i media la vendita del telefono; anche un computer sarebbe stato portato dentro ad una chiesa.
Si apprende anche che una parte fondamentale nella ricostruzione dettagliata di tutti i fatti è stata svolta da una certa Katerine Martison che con Thomas Warner, anche lui al corrente di tutti i fatti e probabilmente complice di Hogan, condivideva un appartamento dove risiedeva il protagonista principale. La Martison si sarebbe proccupata per il trambusto che stava sorgendo intorno al caso e, visto che l’iPhone era stato collegato al suo computer coinvolgendola direttamente, avrebbe deciso di contattare Apple, operazione che non sembra che Hogan né Warner avessero tentato in precedenza.
Quando lo sceriffo di San Mateo, dopo avere raccolto la denuncia di Apple, si è recato al domicilio indicato come quello dove si dovevano trovare le prove ha dovuto arrestrare Warner per avere indicazioni su dove si trovavano i materiali di cui stava cercando di venire in possesso. Il giovane avrebbe ceduto solo quando è stato ammanettato è stato messo a bordo dell’auto di servizio.
Il percorso fatto dal telefono sembra essere in linea con quello già ricostruito dai giornali. Era nella borsa dell’ingegnere Apple Robert “Grey” Powel che, al bar con lo zio, ne avrebbe perso le tracce forse perché la borsa si è rovesciata (anche se non è escluso il furto). A consegnarlo a Hogan sarebbe stato un cliente visibilmente ubriaco; una volta ricevuto il cellulare il giovane, che viene descritto come molto esperto in materia e pienamente cosciente del valore del prototipo, ha subito pensato di monetizzare il ritrovamento, questo nonostante avesse visto navigando nel telefono chi fosse il proprietario.
Gizmodo avrebbe pagato 8500 dollari per il prototipo, promettendo un’altra somma extra se quell’iPhone fosse stato realmente presentato durante l’estate. Una volta che la storia è emersa sui media sarebbe stato direttamente Steve Jobs a contattare Brian Lam, direttore responsabile di Gizmodo. Lam, dalla documentazione allegata, ha risposto via email chiedendo una lettera formale per provare che si trattava realmente di una proprietà di Apple, aggiungendo poi una serie di considerazioni sulla filosofia di informazione di Gizmodo, qualche consiglio su come mascherare la vicenda (“magari potete dire che non è il vero prossimo iPhone”) lanciando poi un messaggio che ammanta il tutto come una sorta di piccola vendetta: “Dal nostro punto di vista non abbiamo nulla da perdere da questa vicenda: il problema è che le PR di Apple sono state molto fredde con noi ultimamente e questo mi ha impedito di fare il mio lavoro al lancio di iPad. Così dobbiamo operare indipendentemente e trovare storie come queste, anche in maniera aggressiva. Io vorrei lavorare più a stretto contatto con Apple. Ma non chiedo più informazioni, possiamo fare anche da soli ma questo è l’unico modo in cui ci sentiamo di operare quando siamo esclusi dalle fonti di informazione”.
I documenti dello sceriffo delineano per Gizmodo e in particolare per il giornalista Jason Chen che ha svolto materialmente tutto il servizio varie ipotesi di reato: ricettazione, furto di segreti industriali e danneggiamento di proprietà privata (l’iPhone sarebbe infatti stato rotto nel tentativo di aprirlo). Apple nel corso dei colloqui con gli inquirenti avrebbe manifestato la sua preoccupazione per i danni (“enormi”) provocati dal comportamento tenuto sia da chi ha trovato l’iPhone 4G senza restituirlo sia da Gizmodo.com. Le affermazioni in questo senso paventano la possibilità che i danni richiesti siano in correlazione con le vendite mancate: “Chi avrebbe acquistato l’attuale modello – ha fatto mettere per iscritto l’avvocato Apple Gorge Riley – potrebbe attendere la prossima versione, conseguentemente provocando un riscontro sulle vendite ed influenzando negativamente i profitti”