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iPad Air 2020 per il fotoritocco? Iniziamo col focus stacking.

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Anche se non siamo fautori a spada tratta del fotoritocco esasperato e ancora ci dilettiamo, a volte, quando il tempo e la voglia lo consentono, con fotocamere a pellicola, non possiamo negare che molte delle funzionalità delle applicazioni per Mac possono essere svolte agevolmente anche con dispositivi basati su iOS. Stiamo stressando all’inverosimile un iPad Air di 4° generazione per capire fin dove ci si può spingere, qualora si desideri sfruttare il tablet di Apple al posto di un Mac.

C’è una funzione di Photoshop, sconosciuta ai più, che permette di sovrapporre una serie di scatti, effettuati variando la messa a fuoco, per ottenere un’immagine in cui risultano a fuoco tutti i piani inquadrati: abbiamo voluto vedere come se la cava il nuovo «iPad Air» di 4° generazione a confronto con un «Mac mini late 2018» i7 6-core Coffee Lake a 3.2 GHz e 32 GB di RAM e un «MacPro» 2012, aggiornato con Dual Xeon Westmere X5690 12-core a 3.46 GHz e 16 GB di RAM, dotato di GPU AMD Radeon HD 7950.

La funzione che abbiamo voluto saggiare trae origine dalla difficoltà di chi fotografa soggetti a distanza ravvicinata, magari con obiettivi macro, di avere correttamente a fuoco sia i particolari vicini che quelli lontani. Il termine che indica la profondità della messa a fuoco si chiama proprio «profondità di campo» e, al netto delle tolleranze e dei calcoli di ottica fisica, diminuisce al diminuire della distanza tra fotocamera e soggetto e aumenta al diminuire del diametro del diaframma impostato sull’obiettivo. Anche la focale dell’obiettivo incide sulla profondità di campo, per cui gli obiettivi grandangolari hanno una profondità di campo, a parità di distanza e di diaframma, maggiore dei teleobiettivi.

Chi fa fotografia generalista o si diletta in ritratti, di solito apprezza gli sfondi sfocati, al punto che anche vecchi fondi di bottiglia oggi sono particolarmente apprezzati per la capacità, che ai loro tempi era considerata un difetto, di rendere lo sfocato molto confuso e impastato. Ci viene in mente lo sfocato “swirled dei mitici obiettivi russi Helios, quello cinematografico del ricercato Nikon 50 1,2 o del rarissimo 50 1,2 Noct-Nikkor o quello nervoso del Pentax 50 1,4 degli anni ’70-’80. Lo sdoganamento di termini stranieri ed esotici ha, da un po’ di anni, licenziato l’uso del termine giapponese “bokeh”, che significa confusione, ma che viene usato per indicare lo sfocato artistico in fotografia.

Per chi invece fotografa piccoli soggetti, con obiettivi che mettono a fuoco a brevi distanze, la profondità di campo non è mai troppa e spesso a nulla vale “chiudere il diaframma”: c’è sempre una parte del soggetto sfocata.

Ai tempi della pellicola si ricorreva a stratagemmi come l’impiego di obiettivi decentrabili che, disponibili ancora oggi, consentono di aumentare le zone a fuoco, ma il vero progresso si è avuto col digitale: adesso è possibile scattare più foto in sequenza, sia avvicinando progressivamente la fotocamera al soggetto, sia variando la messa a fuoco per poi far fare il resto al software di fotoritocco, che si preoccuperà di allineare le immagini, scontornare i bordi, usare le parti a fuoco e miscelare il tutto per un’immagine a prova di bokeh!

Esistono molte applicazioni per computer in grado di fondere più immagini per realizzare quello che in gergo si definisce “stack focusing”, ma qui vogliamo soffermarci su Photoshop per Mac (nella versione CS6, l’ultima a pagamento senza abbonamento) e sull’app Affinity Photo per iOS.

Con Photoshop si inizia selezionando il comando «File: Script: Carica file in serie…», seguito dal comando: “Modifica: Allineamento automatico livelli…”, per chiudere con “Modifica: Fusione automatica livelli…”. Photoshop su Mac mini late 2018, in 23 secondi effettivi, senza calcolare il tempo per selezionare i tre comandi (automatizzabile tramite script), sforna una buona immagine con scontorni accurati e buon dettaglio dello sfondo. Il MacPro del 2012, sebbene ben carrozzato, mostra il peso degli anni e impiega 38 secondi effettivi per giungere allo stesso risultato.

Passiamo a iPad Air. L’applicazione che consigliamo è Affinity Photo (14,99 euro su App Store): l’uso è intuitivo. Si inizia col tap sul simbolo dello stack («New Stack») e quindi sul «+» in alto a destra che ci consente di scegliere gli scatti da sottoporre a fusione, cui segue la nostra selezione degli stessi e il trascinamento sulla finestra dell’app. Dopo selezione delle opzioni per l’allineamento delle immagini e della loro prospettiva, per correggere gli errori di allineamento, sempre in agguato anche lavorando su cavalletto o slitta macro, in soli 3 secondi iPad Air sforna un’immagine che non ha nulla da invidiare a Photoshop, sebbene l’app abbia bisogno di più immagini di quante non ne bastino a Photoshop.

Da questa prima presa di contatto con Affinity Photo, possiamo concludere che lo scontorno è meno invasivo di quello eseguito da Photoshop, mentre l’assemblaggio, soprattutto in caso si abbiano poche foto a disposizione, è leggermente meno accurato. Esistono applicazioni specifiche per la fusione di più immagini realizzate con la tecnica del focus stacking, come «Helicon» (https://www.heliconsoft.com), «Zerene Stacker» (https://www.zerenesystems.com), «ON1 Photo Raw» (https://www.on1.com) e le stesse versioni più recenti di «Photoshop» in abbonamento, ma per i novizi, per chi non deve vendere le proprie foto e in tutti i casi di foto senza eccessive sovrapposizioni di immagini su più piani, crediamo che Affinity Photo, nata tre anni fa, ma giunta solo di recente alla sua piena maturità, sia un app da tenere sotto osservazione: ne riparleremo diffusamente, dopo averne sperimentato le molteplici funzioni.

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