Chiamatela la guerra delle identità , se volete. In pratica, è il momento in cui i social networks e i grandi “archiviatori” di identità digitali stanno scendendo in campo. In palio c’è il monopolio o quasi dei sistemi aperti. L’ossimoro è solo apparente e deriva da come le tecnologie stanno permettendo di organizzare i dati degli utenti. Facciamo un passo indietro per capire meglio.
Google lancia il suo Fiend Connect. à l’ultima di una serie di mosse che risalgono, nella preistoria, al monopolista Microsoft con il suo sistema chiuso Passport (ricordate? Era collegato all’identità via email di Hotmail e Msn) che venne bocciato da tutti. Microsoft proponeva di dare a tutti una identità in rete, registrandosi da loro. “Stranamente”, l’idea non ha attecchito. Cosa c’era dietro, a parte il desiderio di Microsoft di possedere il mondo?
C’era che l’identità in rete è frammentata allora – dieci anni fa – e ancora di più oggi. In pratica, ognuno di noi ha account di posta elettronica, accesso ai siti social network, ai portali, ai vari servizi. Questo vuol dire un milione di username e password, ma soprattutto vuol dire ripetere infinite volte i propri dati sensibili o meno e soprattutto inserire di nuovo le proprie preferenze, i contatti, i bookmark e qualsiasi cosa il singolo sito voglia sapere. Una devastazione di atti inutili. Si potrebbe consolidare tutto.
In ambito aziendale ci si pensa da tempo: identity management dal lato dell’azienda, ma anche Federation e Single Sign On, cioè le possibilità di creare un unico account mettiamo sul sito di Amazon e poi da questo fare automaticamente login alla banca, alle poste, a mille altri siti sociali o commerciali. Perché i dati fluiscono con un unico standard che consente alla banca di fidarsi e riconoscere che l’identità di chi arriva da Amazon è la stessa e via dicendo. Ma non è finita.
Visto che si possono sistemare i problemi di passaggi da un sito all’altro sono solo la metà della banana, ecco che arriva anche l’idea che oltre a riconoscere una identità i siti possano anche accettare i suoi attributi: bookmark, preferenze, contatti. Vale a dire: metto tutte le mie informazioni, dal codice fiscale alla rubrica del telefono e dell’email in un unico contenitore e quando mi collego a qualche sito, questi automaticamente vengono con me. Ovviamente, calibrati rispetto al sito dove sto andando. Cioè, non dirò mai a Facebook qual è il mio conto corrente oppure alla banca qual è il telefono della fidanzata.
Fantatico. Ci sono altri sistemi rispetto al preistorico e monopolistico (oltre che chiuso) Passport, come OpenId, ad esempio. L’idea è proprio quella descritta: si parte con una identità , una nuvola di dati che ci circonda per usare una metafora, e passando da un sito all’altro questa nuvola bagna delle nostre informazioni il sito. Se passo da Facebook a Gmail, i contatti mi seguono e non devo reinserirli due volte. Comodissimo, sulla carta.
Tant’è che Yahoo! ha lanciato la sua Open Strategy, Facebook ha fatto il suo Connect, MySpace anche, e la data availability tra Yahoo!, eBay, Photobucket e Twitter sta diventando un dato di fatto, se perdonate il bisticcio di parole. E adesso arriva anche Gooogle.
Attenzione, però: non stiamo parlando solo di sottoscrivere un sacrosanto standard. In palio c’è molto di più: e qui arriviamo all’apertura di questa storia. In effetti, tutti hanno capito che se si partecipa allo standard, in pratica l’identità dei propri “clienti” social diventa unica. Qualcuno la possiede e l’archivia sui suoi server, con il 100% delle informazioni. Gli altri la ricevono per così dire “di seconda mano”. Cioè arriva “usata”, solo le info che servono.
Capirete bene che in un mondo Web 2.0 in cui a quanto pare i soldi si fanno avendo gli utenti (per che cosa, ancora non è chiaro, comunque), bisogna conquistare il maggior numero di identità . Ecco dunque che arriva il nostro Google, questa volta un po’ in affanno, a cercare di capitalizzare sia Orkut (minuscolo rispetto a Facebook, il più aperto con 350 mila sviluppatori, 20 mila applicazioni e soprattutto 70 milioni di utenti) che Blogger e soprattutto Gmail. L’idea è: utente resta con me: fai di me il tuo centro dei dati e io ti farò viaggiare ovunque, da sito a sito, da portale a portale, da social network a social network. Con le tue preferenze, i tuoi dati, le tue idiosincrasie.
La guerra è appena cominciata: Google ha il vantaggio di poter contare anche sulla sua piattaforma mobile nascente, Android, e vari altri sistemi con i quali vuole gestire l’infrastruttura degli scambi sociali in formato digitale. Resta da vedere se questo diventerà , cioè solo una infrastruttura valida tanto quanto il metro di fibra ottica attraverso il quale passano le informazioni, oppure se riuscirà ad essere ancora e di nuovo protagonista…