Anni fa questo cronista era andato a una conferenza stampa di Facebook. L’azienda rivendicava una trasformazione unica: i suoi utenti cominciavano a utilizzare il social media in mobilità anziché da computer fisso. Per l’azienda americana questo voleva dire operare una trasformazione radicale: ripensare l’approccio al loro sito, trasformarlo in app, cambiarlo da capo a piedi. Era la sfida che l’azienda stava affrontando in quel momento. L’ha fatto anche con strumenti sperimentali, come l’app “Paper” per iPhone, disponibile solo negli USA. Va bene così: l’importante è provarci, sperimentare, cambiare.
Era il 2007-8. Facebook aveva visto qualcosa che gli altri si rifiutavano di ammettere anche con se stessi. Oggi questa visione è diventata realtà. Per la prima volta, secondo le cifre diffuse da StatCounter, la rete è più mobile che non fissa. Vince il telefonino e il tablet con 51,2% contro il 48,7%. Sempre più utenti mobili che fissi.
Oltretutto questo è un dato medio: in alcune parti del mondo dove il PC così come lo conosciamo noi non è mai arrivato ai livelli di penetrazione del Primo mondo, le percentuali sono attorno al 75%: India, Africa e varie altre parti del mondo. Il gap insomma si sta chiudendo e se si guarda alle statistiche in prospettiva, non si può dire che questa tendenza non fosse immaginabile.
Questo cambiamento si avverte ancora parzialmente nei paesi ricchi come il nostro o, soprattutto, come gli USA. Ma c’è. Aumenta. Sta diventando sistemico. E le conseguenze sono epocali. Perché la mobiltà non vuol dire solo un utilizzo a giro per la città o in campagna. Dai dati raccolti da comScore, altra società di analisi, risulta che, se si elimina dal conteggio chi usa sia il mobile che il fisso e si guarda le due categorie polari, cioè chi usa solo mobile e chi usa solo fisso, gli utenti di smartphone e tablet vincono alla grande anche negli USA. Inoltre, anche Google adesso vede più ricerche tramite mobile che desktop.
Per le aziende vuol dire riprogettare i siti, ripensare il modo in cui vengono erogati i servizi, costruire le app, immaginare un modo differente di fare le cose. Pensiamo ai servizi pubblici che finalmente si digitalizzano: quante pagine web sono compatibili con i mini browser degli smartphone e dei tablet? Quante app vengono fatte dalla PA? E perché non fare una app per ciascuna delle piattaforme presenti sul mercato? Una app che permetta magari di autenticare gli utenti, di fornire i dati e i certificati digitali necessari in modo sicuro, facendo accedere ai servizi gestiti all’interno dello strumento di mobilità? Questa sarebbe la vera rivoluzione: qualcuno potrebbe dirlo a Diego Piacentini, anche se probabilmente lo sa molto bene.