I progressi nel campo dell’intelligenza artificiale sono fonte di inquietudine per alcuni, preoccupati che un giorno software specializzati potranno essere sfruttati ad esempio per rimpiazzare autisti di camion e simili, ma anche personale in altri campi di attività (ne abbiamo parlato qui). Eminenti ricercatori hanno ora trovato un modo per semplificare ancora di più le procedure di apprendimento, semplificando la progettazione del machine learning (i meccanismi software per l’apprendimento automatico).
In un esperimento, ricercatori di Google Brain (il team di ricerca di Big “G” che si occupa di reti neurali artificiali) hanno mostrato un sistema di machine-learning in grado di sostenere un test usato per valutare il software che elabora il linguaggio dimostrando che questo è in grado di superare risultati elaborati da software sviluppati da esseri umani.
Negli ultimi mesi molti altri gruppi hanno altresì evidenziato progressi compiuti nel settore permettendo ai software di apprendimento di migliorare le capacità di comprensione. Tra le ricerche più interessanti quelle di OpenAI (associazione co-fondata da Elon Musk), del MIT, dell’Università della California Berkeley e quelle di DeepMind, un diverso gruppo di ricerca sull’intelligenza artificiale che lavora per Google.
Se le metodologie che consentono di migliorare la comprensione generale sull’Intelligenza artificiale diventeranno concretamente utilizzabili, potrebbero far crescere il ritmo con il quale i meccanismi di machine-learning vengono implementati in tutti i settori economici. Al momento le aziende che operano nel settore devono tenere conto del sovrapprezzo di assumere esperti nel machine-learning, figure che a quanto sembra scarseggiano.
Secondo Jeff Dean, a capo del gruppo di ricerca Google Brain, alcune tipologie di lavori potranno essere soppiantati dai software. Ha descritto la sua idea con il termine di “machine learning automatizzato”, uno dei più promettenti campi di ricerca che il suo team starebbe esplorando.
“Al momento l’unico modo per risolvere un problema sono le competenze, i dati e i calcoli” ha spiegato Dean all’AI Frontiers conference di Santa Clara (California) nel corso della quale ha affermato che è possibile eliminare molte expertise nel settore dell’apprendimento automatico.
In uno degli esperimenti, il gruppo DeepMind ha lasciato intendere ciò che i ricercatori definiscono “imparare a imparare”, funzionalità utile anche per ridurre problemi dei software di machine learning come la necessità di gestire enormi quantità di dati per eseguire bene compiti specifici. I ricercatori hanno sfidato il loro software creando sistemi di apprendimento in grado di raccogliere elementi per problemi di vario tipo, compresi ad esempio quelli che permettono di destreggiarsi in un labirinto. Sono stati presentati progetti in grado di generalizzare i problemi ed eseguire nuovi compiti con molte meno fasi di addestramento rispetto a quanto normalmente richiesto.
L’idea di software che imparano a imparare non è una novità assoluta. Già in passato un gruppo di ricercatori della New York University guidati da Brenden Lake sulla rivista “Science” aveva descritto un algoritmo induttivo che permetteva di apprendere un concetto a partire da pochi esempi della vita reale e di produrne di nuovi, nel caso specifico alcune lettere dell’alfabeto.
L’idea base è sfruttati “modelli generativi”, trasformando l’apprendimento in una costruzione di modelli o dati forniti dagli algoritmi. Gli algoritmi possono programmare loro stessi, generando output differenti a ogni esecuzione, cogliere quelli che nella vita reale chiamiamo “concetti”. “Learning to learn” vuol dire sfruttare la conoscenza di precedenti concetti per velocizzare l’apprendimento di nuovi.
Dove porterà tutto questo? Difficile dirlo: ma c’è già chi ipotizza macchine con “l’intelligenza” di un bambino, in grado di crescere e apprendere sempre di più nuovi concetti.