La Corte Suprema di Delhi (India) ha ordinato a Telegram di condividere dettagli su alcuni utenti che hanno violato il copyright nei confronti di chi detiene i diritti su determinati contenuti digitali.
Il servizio di messaggistica istantanea ha finroa rifiutato di fornire i dati in questione adducendo preoccupazioni legate a privacy e alla libertà di espressione ma la Corte ha respinto la tesi difensiva, ordinando allo sviluppatore di ottemperare alle leggi indiane.
A riferirlo è il sito TorrentFreak spiegando che Telegram non dovrebbe – teoricamente – consentire attività che violano il copyright e solitamente interviene rapidamente su tali questioni. Questo tipo di interventi si limitano però alla rimozione dei canali che promuovono attività di pirateria. Per alcuni titolari dei diritti di autore questo modo di agire non è sufficiente, anche perché morto un canale “pirata” ne nasce subito un altro. Per proteggere seriamente contenuti dei quali sono titolari, gli aventi diritti chiedono di conoscere chi c’è dietro tali canali, al fine di agire contro i trasgressori, assicurando che smettano di distribuire contenuti pirata.
Gli argomenti in questione sono alla base di una diatriba che va avanti dal 2020, una causa presentata da Neetu Singh (autrice di vari libri, corsi e seminari) e dalla sua casa editrice, KD Camp.
I due aventi diritto si sono più volti lamentati con Telegram per i canali pirata che condividono contenuti illegali. Telegram ha più volte chiuso i canali incriminati senza mai però permettere di identificare gli autori delle violazioni; per questo motivo, gli aventi diritto sulle opere distribuite illegalmente hanno chiesto alla Corte di intervenire. La battaglia legale è recentemente arrivata al culmine presso l’Alta Corte di Delhi con un’ordinanza che intima a Telegram di identificare i vari utenti che hanno violato i diritti dei titolari distribuendo contenuti pirata, chiedendo dettagli come il loro numero di telefono, l’indirizzo IP e l’indirizzo di posta elettronica.
L’ordinanza è stata emessa nonostante l’opposizione che ha provato di tutto per difendere il servizio di messaggistica istantanea e broadcasting. Tra gli argomenti presentati dalla difesa di Telegram, l’indicazione che i dati degli utenti sono memorizzati a Singapore, elemento che a loro dire impedisce la decrittazione di informazioni personali in conformità alle leggi locali sulla privacy. La Corte ha respinto queste spiegazioni, sottolineando che le attività illecite riguardano opere indiane, che interessano connazionali, e anche se i dati sono memorizzati su server all’estero, questi sono accessibili dall’India e la divulgazione di dati personali non comporta alcuna violazione delle leggi locali, evidenziando ancora che è ad ogni modo sempre possibile attingere a questi dati quando i dettagli in questione sono necessari per indagini o procedimenti penali.
Telegram ha cercato di sollevare questioni di legittimità costituzionale , spiegando che la Costituzione indiana tutela la privacy degli utenti, così come la loro libertà di espressione e di parola, argomenti che non hanno ad ogni modo convinto la Corte. Gli sviluppatori dell’app hanno cercato inoltre di far intendere che loro non sono altro che intermediari ma ancora una volta la Corte ha dissentito: chiudere i canali pirata e consentire di aprirne altri che fanno la stessa cosa, facendo finta che non è successo niente, non può essere la soluzione al problema.