Seguire ciò che accade all’estero o tentare di sfruttare servizi bloccati in Russia, non è possibile o quantomeno non è facile nello Stato transcontinentale dopo il conflitto tra Russia e Ucraina, e gli utenti più esperti cercano di aggirare il problema sfruttando VPN, reti virtuali private che consentono di garantire diversi tipi di protezione dei dati, attraverso un tunnel “virtuale” (protetto e sicuro) supportato da Internet alla stregua di un cavo fisico.
Sfruttando server VPN è possibile, tra le altre cose, mascherare il proprio indirizzo IP e accedere a contenuti censurati e siti web bloccati in alcune aree del mondo. CNBC riferisce di circa 6 milioni di download in Russia per le prime 10 VPN più note su App Store e Play Store, scaricate dal momento in cui è iniziata l’invasione: un incremento di ben il 1500% rispetto alle due settimane precedenti.
In Russia la rete da sempre è stata oggetto di censura; già nel 2017 l’utilizzo di diversi sistemi che consentivano di bypassare le restrizioni nazionali erano stati bloccati, impedendo accesso a tecnologie che consentono di accedere a siti e servizi internet vietati sfruttando proxy e VPN.
Verifiche per cercare in qualche modo di bloccare chi usa le VPN sono cresciute e venti tra le più note VPN sfruttate in Russia sono state già bloccate: l’avrebbe riferito Alexander Khinshtein, Presidente del Comitato della Duma (il Parlamento russo), a detta del quale i Servizi Federali per la Supervisione nelle Comunicazioni (Roskomnadzor) avrebbero attivato una forte operazione di contrasto e controllo per fermare i servizi più utilizzati.
Le operazioni di verifica e controllo non sono terminate e Khinshtein ha riferito chiaramente che le autorità continueranno ad agire allo scopo di isolare ancora di più l’opinione pubblica russa dal resto del mondo.
Dal 2016 con la famigerata legge Jarovaja (dal nome della deputata di Russia Unita, il partito di Putin e del premier Medvedev, che l’ha presentata), gli ISP sono obbligati a conservare il traffico degli utenti e archiviare il contenuto di tutte le comunicazioni per sei mesi, inclusi i relativi metadati per tre anni. I servizi che sfruttano sistemi cifrati, dalle chat ai social network, sono obbligati a garantire una ‘backdoor’, cioè un accesso, alle forze di sicurezza.
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