Secondo quanto registra Vocativ, dalla scorsa domenica il gruppo jihadista dell’Isis ha avviato una nuova campagna mediatica utilizzando hashtag popolari e innocui per mascherare i propri messaggi di propaganda. Insomma, in Iraq la guerra si combatte anche su Twitter con falsi hashtag. Il sistema utilizzato dai terroristi è semplice: nei post che inneggiano al califfato islamico, vengono inseriti hashtag in cima ai trend di Twitter. Domenica, insieme all’inquietante#StevensHeadInObamasHand (che si augura una nuova esecuzione di un giornalista americano, Steven Sotloff, dopo quella di James Foley), venivano postati tweet con #AskRicky, che riferisce ad una star di You Tube popolare tra i giovani in Usa. I messaggi erano del tipo «La Us Air Force uccide innocenti», ma anche più minacciosi come «Così come voi ci uccidete, no uccideremo voi» o «Non venite in Iraq se non volete un altro 11 settembre». Twitter è comunque riuscita ad intervenire cancellando i post e rimuovendo gli utenti che li avevano postati. Non è la prima volta che il social network interviene in questa maniera, solo pochi giorni fa aveva rimosso le immagini e i video dell’esecuzione di Foley, che nel giro di poche ore erano circolati in migliaia di retweet, con molti utenti che, indignati, avevano anche avviato una sorta di contro campagna informativa chiedendo di fermare questo processo.
E Twitter non è l’unico social scelto dall’Isis, che con una campagna organica e pianificata, è presente anche su portali minori. Una questione seria se si pensa che praticamente tutte le guerre da un secolo a questa parte hanno nella propaganda una delle armi più utilizzate. In un analisi del sito specializzato Politico.com ci si chiede proprio quale strategia debbano seguire i Governi, e in particolare quello statunitense, contro cui si concentrano gli strali dell’Isis e che armi possano mettere in campo. Anche in questo particolare tipo di guerra, che punta a cambiare le coscienze e le opinioni, più che sconfiggere militarmente il nemico, la tecnologia ha cambiato i campi di battaglia. Dalla tradizionale comunicazione mass mediatica, infatti, si è passati alla dimensione social, più difficilmente controllabile, che permette di essere sfruttata anche da chi non ha grandi risorse, di portata mondiale e, soprattutto, con regole completamente diverse.