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iMac da 27 pollici fine 2012: la recensione del Mac più spettacolare

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Il lanciodi un Mac fa sempre rumore, ma pochi annunci degli ultimi anni hanno suscitato, almeno nel campo desktop, l’interesse dell’iMac di nuova generazione. Il merito è sia del fatto che siamo di fronte ad un prodotto che ancora oggi, ad anni di distanza dal suo debutto, resta un punto di riferimento assoluto nel settore, sia perchè questa ultima evoluzione dell’all in one somma in sè una serie di novità stilistiche e tecnologiche, destinate a farne un paramentro nel campo dei desktop consumer.

Abbiamo così deciso di mettere alla prova l’iMac da 27 pollici, tentando di valutarlo più che sotto il profilo tecnico, sotto il profilo funzionale, che poi è quello che più interessa il lettore comune e chi entra in un negozio per portarsi a casa un prodotto che lo deve accompagnare nella vita personale e anche in quella lavoratorativa. Vista l’attesa sullo specifico modello, abbiamo anche aspettato che si rendesse disponibile la versione da 27 pollici, la più richiesta anche per il suo impiego in ambito professionale, tantando di capire se al rumore mediatico c’è una risposta nei fatti.

Primo impatto
Accendiamo il nuovo iMac da 27 dopo alcuni giorni di utilizzo ininterrotto (tranne un riavvio per alcuni aggiornamenti) e dopo averlo spento pochi minuti prima. Cronometro alla mano, vediamo quanto ci vuole prima che Fusion porti il sistema operativo in memoria e la macchina sia pronta per funzionare, alla finestra del login. Il pulsante di avvio rimane dietro, nell’angolo in basso a sinistra, ma adesso è a sfioramento. Lo tocchiamo, facciamo partire il cronometro e 11 secondi dopo l’iMac è pronto. Impressionante: mai visto un computer fisso viaggiare così veloce già in fase di avvio.

Il modello che Apple Italia ci ha dato in prova è un iMac da 27 pollici appena uscito, con processore Intel Core i7 da 3,4 Ghz, 8 GB di memoria DDR3 a 1600 MHz, scheda grafica Nvidia GeForce GTX 680MX con 2048 MB di memoria, disco Fusion da 1,12 TB che viene indicato dal Finder come “Disco rigido + Archiviazione flash”. Ovviamente, come prevede Fusion, dall’utente viene visto come un unico volume da 1,11 TB e non si possono gestire i passaggi dei dati dalla parte HDD da 1 Terabyte a quella SSD da 128 GB.

Il “Gruppo volume logico” è il nome generico del disco secondo l’app Utility Disco e non è neanche possibile sapere la marca o il vendor delle due unità di memoria fisica. Solo l’utility “Informazioni di sistema” alla voce ATA Seriale specifica che si tratta di due volumi fisici distinti: un “APPLE HDD ST1000DM003” partizionato in tre (con i due volumi logici utilizzati per le EFI (209 MB) e per la partizione recovery (650 MB) oltre a quello per contenere la gran parte dei dati) e un APPLE SSD SM128E anche questo partizionato in tre, una parte per i dati, una per l’EFI da 209 MB e uno da 134 MB per il Boot di OS X.

Qui sotto le opzioni in configurazione attivate nella macchina in prova

imac

La prova
Nei giorni necessari a testare il nuovo iMac 27 ho proceduto innanzitutto cercando di creare innanzitutto un ambiente d’uso quotidiano e ci siamo spostati a lavorare, durante queste vacanze di Natale, esclusivamente sull’iMac, lasciando gli altri computer. Le cose che hanno reso facile questa migrazione effettuata a mano (e non recuperando i dati da un backup di Time Machine o da un’altra macchina, cosa che poi avrebbe creato una notevole perdita di tempo quando, tra pochi giorno restituirò il computer ad Apple) sono essenzialmente tre. App store, iCloud e DropBox. Partiamo da quest’ultima: già da tempo la maggior parte dei documenti di lavoro sono custoditi nel mio account di DropBox. È bastato installare il software gratuito dell’azienda americana e lasciare l’altro Mac acceso per fare in modo che in mezz’ora gli otto Gigabyte di dati fluissero direttamente tramite la LAN di casa.

Invece, per recuperare la maggior parte delle app di lavoro e gioco necessarie, è bastato passare a App Store e cominciare a scaricare dalla lista di quelle già comprate quelle che servivano. Dobbiamo dire che il sistema per preparare un Mac su misura in questo modo è davvero comodo. Avevamo comunque già registrato il nuovo iMac con il mio account di iCloud e tutti i dati della rubrica, calendari, cose da fare, note, posta elettronica etc. sono arrivati molto velocemente. Il grosso della posta comunque  chi scrive lo conserva su Gmail e qui basta settare Mail.app con la posta Smtp di Gmail e lasciare una giornata o due per fare in modo che venga progressivamente “popolato” il client di Apple con tutta la posta presente sui server di Google. Lo streaming della posta si riempie velocemente e i documenti di lavoro su Pages, su Keynote, su TextEdit e iA Writer (che preferisco a Pages) sono subito disponibili tramite iCloud. La vera cosa di cui ancora si sente la mancanza è la possibilità di usare Scrivener (il programma di videoscrittura che chi scrive utilizza più spesso) tramite iCloud. Tutti gli altri, con l’eccezione di TextEdit, sono anche utilizzabili su iOS sia iPhone che iPad, ed è una grande comodità.

Messo a regime l’iMac, abbiamo effettuato l’unico “grosso” trasferimento a mano: spostando anche lalibreria musicale sul disco Fusion dell’iMac 27 dal disco SSD dove era custodita. È composta da 85 GB di musica rippata dai CD in qualità ALAC (Apple Loseless) ed è questo il principale motivo per cui abbiamo, fino ad ora, esitato a passare al servizio Music Match di Apple: il giorno che arriverà in qualità HD superiore a quella del CD se ne potrà riparlare.

Da notare che in tutto questo non è stato necessario utilizzare nessun CD di installazione: tutto via rete su unaWiFi 802.11n con Time Capsule di vecchia generazione e al limite il capiente disco SSD da 2,5 pollici Samsung 840 da 250 GB con un adattatore S-ATA/USB3 di Icy Box che rende il look dell’unità “naked” (visto che gli SSD da 2,5 non hanno parti in movimento abbiamo evitato di prendere un guscio esterno, affidandomi a questa versione più “aggressiva”.

Pronti per la prova, abbiamo fissato le… regole del gioco. La domanda era: come fare il test di questo computer? Su internet è pieno di benchmark effettuati con i più disparati software oppure utilizzando giochi e altre applicazioni. Ottimo. Ripetere questo tipo di esperimenti non ha molto senso e, se uno volesse fare davvero la differenza, dovrebbe utilizzare un laboratorio di prova con degli strumenti di misura “seri”, non solo delle utility scaricate da Internet.

Se invece parliamo di una “prova su strada”, dovete accontentarvi dello stile di guida del sottoscritto e venire a fare un giro con me. Non abbiamo la pretesa certo di avere un gusto migliore del vostro (o di alcuni di voi) ma quantomeno uno mio stile di utilizzo dei prodotti Apple affinato negli ultimi venti anni che possiamo condividere. Non va bene per tutti, ovviamente, perché ognuno ha i suoi gusti e le sue necessità, che ovviamente non coincidono con quelle degli altri se non nei minimi comuni multipli. Fateci la tara e vediamo di capire quali cose che possono interessarvi.

 Il design e la forma dell’oggetto iMac 27
Chi scrive aveva visto l’iMac a San José durante e soprattutto subito dopo la sua presentazione alcuni mesi fa. Lo avevamo rivisto pochi giorni fa negli uffici di Apple a Milano per una sessione di aggiornamento sui nuovi prodotti riservata alla stampa italiana e dopo pochi giorni è riapparso a casa nostra, aprendo la confezione e tirandolo fuori da strati di carta velina e di plastica adesiva messa a protezione di tutte le sue componenti. Non credo che facciate fatica a credere che l’iMac 27 è bellissimo, quasi sensuale nelle sue forme. Sorprende la dimensione dello schermo e cornice nera, i lati sottilissimi, i profili a spigolo, il dietro fortemente sbombato. Se l’iMac fosse una signora, avrebbe un lato B importante, al limite un “sederone”, che termina con la nuova staffa ad elle di allumino massiccio che regge la struttura e che è stata raffinata e modificata ulteriormente.

Abbiamo utilizzato per periodi più o meno lunghi praticamente tutti gli iMac; in casa giace ancora il nonno dell’attuale: la prima versione Intel con chassis tutto in plastica bianca e schermo da 24 pollici. Un generoso gigante della famiglia, che per anni ha fatto anche da televisore e media center grazie a un paio di software adeguati (Boxee) e a un sintonizzatore esterno. Più che il nonno, sembra provenire dal paleolitico. A partire dalla parte bassa della struttura, quella che gli americani chiamano “mento” e che contiene la Mela della Apple. Nell’ultima generazione di 27 pollici è molto ridotta e filante, in alluminio con la mela nera e riflettente. Sono generosi i bordi, anzi i contorni dello schermo, che sul davanti sono uniformemente coperti di vetro che “chiude” in modo quasi magico con l’alluminio lungo i bordi da quattro millimetri. È una esperienza tattile notevole quella di sentire bordi così affilati. Se anche volessimo usare il CD tutti i giorni, lo diciamo personalmente, preferiremmo mille volte un iMac così e il CD esterno (ottimo quello di Apple o anche altri via USB) che non avere bordi “pesantoni” e larghi per mantenere il drive ottico.

Dal davanti, a parte la videocamera che si intravede nel nero della cornice, non ci sono altri elementi visibili. Il posteriore presenta la staffa ad elle che fa da appoggio della struttura e rende l’iMac un pezzo di design incredibiile, lo sportello tramite il quale si può raggiungere i quattro slot della memoria RAM e aggiornarla (la macchina in prova ha 8 GB in due stick da 4 GB e due slot vuoti), la griglia di areazione posteriore, educatamente celata dalla staffa, la presa elettrica che passa attraverso il centro della staffa, dove è ricavato un tondo di nuova foggia (sono dettagli da maniaci del design, mi rendo conto), subito sotto c’è la piccola feritoia per il gancio di sicurezza, sopra invece c’è la grande mela lucida e riflettente, posizionata  sulle “spalle”, cioè sulla parte alta al di sopra dell’attacco della staffa. Poi in basso a destra, guardando l’iMac da dietro, il pulsante di accensione praticamente a sfioramento e dall’altro lato la serie di porte . Le porte sono: uscita per cuffie e ottica integrata, lettore SD Card, 4 porte USB 3, due Thunderbolt, una Ethernet Gigabit.

Finito. L’iMac non ha in realtà bisogno di nient’altro. Manca però ancora un particolare, che sembra impossibile sia stato realizzato ma a quanto pare gli ingegneri di Cupertino e il dipartimento del design di Jonathan Ive hanno voluto superarsi. Ci sono riusciti se si va a vedere la parte bassa della cornice dell’iMac: qui c’è una serie di tredici feritorie che attraversano da parte a parte per tutta la sua lunghezza l’iMac. Sembrano prese d’aria (hanno anche questa funzione) ma sono in realtà i condotti dai quali l’iMac fa sentire la sua voce sonora. E si tratta di una voce particolarmente potente, come vedremo tra un attimo.

schermo

 Lo schermo
Apple ha utilizzato una tecnica molto sofisticata per realizzare lo schermo dei nuovi iMac 27. Il display è solo una parte della storia. Dietro c’è di più: accanto alla tecnologia IPS del pannello LCD retroilluminato LED c’è anche una lavorazione particolare che ha consentito di fondere il guscio di alluminio con il vetro e il pannello LCD anteriori. Si chiama processo di saldatura per frizione e rimescolamento, che permette di scaldare le molecole di alluminio e farle depositare in maniera diversa, più precisa e rigida. Il risultato è che lo spessore minimo diventa di 5 millimetri sui bordi e nel complesso l’apparecchio è fino al 40% più compatto.

Lo schermo LED riduce del 75% i riflessi grazie a ulteriori lavorazioni lato pannello e vetro, che eliminano tutti gli spessori inutili: tra il rivestimento antiriflesso e il LCD sono stati eliminati due millimetri di intercapedine, la lavorazione di quest’are è stata usata una forma molto avanzata di laminazione. Oltre alla quale è stato utilizzato un tipo di deposizione al plasma particolare proprio sul vetro esterno, il rivestimento antiriflesso, che ha ridotto ulteriormente il riflesso. È una tecnica che Apple dice essere utilizzata di solito sugli obiettivi fotografici e comunque su superfici molto più piccole. Ma anche sui 27 pollici  rende molto, ma molto bene.

La percezione soggettiva è molto positiva. Lo schermo è grande e, se non siete abituati, rischiate di sentirvi annegare in tutto lo spazio dei 27 pollici che corrispondono a 2560×1440 con una densità di punti per pollice di poco meno di 110 PPI. È comunque anche fisicamente uno schermo grande, che è adatto ai giochi, ai film e alle foto, al multitasking e ai lavoro di grafica o che comunque richiedano spazio. Usare GarageBand è stato un piacere anche dal punto di vista dello spazio a disposizione, oltre che della velocità di rendering e mixdown dei pezzi. Ma soprattutto la luminosità è tale che scoprirete di usare il livello di luce del pannello (che è particolarmente risparmioso, secondo Apple, grazie anche all’uso di LED di ultima generazione) molto basso: tre o quattro tacche sono più che sufficienti.

Non cambia la dimensione del 27 pollici quindi non ci sono novità dal punto di vista della usabilità: con un iMac 27 del 2011 si ha lo stesso livello di spazio per lavorare. Quel che cambia, cioè migliora, è la resa dei colori, la loro brillantezza, l’estensione dello spazio di colore percepibile (valutazione molto soggettiva, ce ne rendiamo conto) e la definizione dello schermo, grazie ai minori riflessi. Meno “filtro” del vetro vuol dire miglior contrasto e quindi maggior definizione di quello che viene mostrato dal computer. Al punto che cominciano ad emergere con preoccupante frequenza gli errori nelle fotografie o i bassi livelli di compressione nelle immagini anche ad alta risoluzione o nei filmati full HD. Un segreto sta nel fatto che tutti gli apparecchi vengono calibrati a mano per quanto riguarda il colore quando escono dalla catena di montaggio. Questo rende unica e molto più precisa la percezione delle tinte e la loro temperatura.

Uno schermo di queste dimensioni non è l’ideale se si vuole avere un rapporto intimistico con i contenuti: se scrivete haiku utilizzando solo il blocco giallo di Note, forse basta anche un 21,5 pollici. Che peraltro è un ottimo computer, anche se sembra un nano accanto a questo titanico modello da 27 pollici. Casomai vogliate acquistare il modello più piccolo e più economico, consigliamo vivamente di non avvicinarvi mai al 27 pollici perché potreste avere uno shock culturale oltre che visivo e magari farvi venire il desiderio di cambiare tutto…

L’audio
È la sorpresa maggiore e uno dei punti di forza di questa generazione di iMac. L’audio. La prova da questo punto di vista è stata fatta in ambiente casalingo, nel soggiorno dove da tempo c’è un impianto hi-fi stagionato ma di qualità medio-alta. Montati a scaffale i diffusori stereo dell’impianto: due vecchie e prestigiose casse ESB di buon livello, con toni molto morbidi e basso non aggressivo. Davanti, su un tavolo in legno perfettamente sgombro, l’iMac 27.

I diffusori come accennato sono nella parte bassa dello schermo e sorprendono perché sono praticamente invisibili. In meno di un centimetro di larghezza i tredici piccoli canali audio riescono a convogliare un quantitativo sorprendente di suono che proviene da due amplificatori mono da 20W l’uno in classe D. Il test si è svolto usando una mia collezione di musica, tutta acquisita direttamente da CD senza compressione, in formato ALAC, per sentire come suona l’iMac rispetto a come suonano le casse dello stereo. La sorgente è rimasta sempre quella, perché abbiamo passato la sorgente sonora dell’iMac tramite Airplay direttamente alla Apple TV che è a sua volta collegata all’amplificatore integrato Pioneer di discreta presenza potendo comparare così per tempi di ascolto congrui la musica.

Per torchiare l’audio dell’iMac abbiamo provato un po’ di tutto, dagli Alan Parsons Project a Diana Krall, dai Free al Kronos Quartet, dai Motorpsycho ad Arturo Benedetti Michelangeli (con ottime registrazioni di Schumann e Debussy per Deutsche Grammophon). Non è mancanto neppure un ascolto particolare, dopo parecchi anni, del Cimento dell’Armonia e dell’Inventione di Vivaldi registrato da Christopher Hogwood con la sua Academy of ancient music nel 1990. Un successo sotto tutti i punti di vista.

Certo, un impianto hi-fi con casse di buon livello, se debitamente posizionate, è irraggiungibile negli aspetti di qualità e finezza del suono. Ma a livelli di ascolto medi la presenza e il corpo di queste casse integrate nell’iMac sono veramente sorprendenti. L’iMac 27 suona alla grande ed è in grado di accendere un ambiente di piccole e medie dimensioni (una stanza non superiore ai trenta metri quadri) con un volume e potenza più che dignitosi. Questo vuol dire che si può usare l’iMac anche come centro multimediale, come impianto stereo di buona qualità (certamente superiore nella resa a molti scatolotti rumorosi e drogati di bassi) oppure come un televisore-home cinema di buona qualità. Abbinando tramite AirPlay anche un secondo paio di casse si ottiene un rudimentale effetto surround che può essere sorprendente.

In ogni caso, l’ascolto della musica con l’iMac in postazione di lavoro è davvero notevole. Quello che stupisce è il corpo e la presenza del suono, ma anche l’ampiezza e la definizione della scena musicale, la dinamica tutt’altro che banale e il colore sempre limpido anche a volumi più estremi. La scena musicale è più ampia e meglio definita, l’ascolto si può fare in maniera più distesa, gli spazi coperti senza distorsione sono notevoli. È una sorpresa non tanto sentire buona qualità di riproduzione (che comunque è sempre relativa e limitata dall’irraggiamento indiretto delle casse e dalla loro vicinanza, che impatta notevolmente sulla separazione dei canali) ma sentirne così tanta su un computer all-in-one.

Qui sotto alcuni dettagli e parte dell’unpackaging: il design ha molto in comune con il modello da 21.5″ se si esclude lo sportello per l’aggiornamento della RAM presente solo nel modello più grande. [Foto di Settimio Perlini]

La memoria di massa
Il test di Fusion, la memoria di massa dell’iMac 27, è stato piuttosto ambiguo. Apple ha precisato fin dal momento della sua presentazione che Fusion è una tecnologia pensata per rendere più semplice e al tempo stesso migliore la vita degli utenti: nessuna interazione diretta, nessuna specifica su come effettivamente funzioni questo sistema di bilanciamento dell’attività del disco rigido con un drive allo stato solido in appoggio per velocizzare il sistema operativo, i tempi di accensione e i tempi di accesso ai dati più usati. I recensori in tutto il mondo si sono sbizzarriti a cercare di spiegare come funziona e a utilizzare sistemi più o meno empirici per vedere l’effettiva attività dei dischi, cercando così di fare il reverse engineering della tecnologia e degli algoritmi di ottimizzazione utilizzati da Apple.

Niente da fare, la tecnologia è elusiva e è certo questo il luogo per dire cose nuove su come funziona. La logica è comunque semplice: tutto il sistema operativo è nella sezione SSD per rendere le azioni di base più veloci, tra cui i tempi di avvio e spegnimento. Poi, su SSD passano anche le app e i dati più frequentemente utilizzati (posta elettronica? fotografie? musica?). Sarebbe stato interessante avere una memoria di massa tutta SSD, ma i costi per un Terabyte sarebbero stati proibitivi, soprattutto su una macchina che ha già un costo di entrata così elevato: il modello entry level viene 1.899 euro, la macchina in prova invece ha una configurazione che costa 2.679 euro. E li vale tutti, secondo la nostra esperienza.

Avere a disposizione il disco Fusion, che comunque nel modello da 1 Terabyte costa 250 euro più di quello da 1 Terabyte “normale”, è un bel risparmio. Per avere il modello da 768 GB SSD è necessario aggiungere al prezzo di base ben 1.300 euro, cioè 1.050 euro rispetto alla mia configurazione. Praticamente metà del costo della macchina, per uno spazio di memoria comunque inferiore e non così più veloce di quanto non riesca a fare Fusion.

La risposta è sorprendente sia nei tempi di accensione che nella gestione day-by-day del computer. Siamo abituati a lavorare con tutto allo stato solido sul mio MacBook Air e sappiamo per esperienza di quanto sia migliore la resa rispetto a un MacBook Pro con più processore, bus più veloce, ram più veloce ma disco sostanzialmente più lento e soggetto a progressiva frammentazione. In questo caso, nell’iMac 27 le prestazioni sono più che ragionevoli: non è soltanto la potenza bruta del processore i7 con overboost fino a 3,9 GHz, quanto la capacità di fare I/O, input e output, molto più velocemente.  Probabilmente il trasferimento dei dati scatta dopo la seconda o terza volta che vengono utilizzati e rimangono sullo SSD fino a quando non è pieno e allora vengono trasferiti indietro sull’HDD. Questa è probabilmente la logica operativa, ma tutto avviene con la massima calma ed efficacia. Non capirete mai come fa, ma l’iMac è anche veloce praticamente come se avesse tutto SSD anche se in realtà ha un ibrido dai costi accettabili rispetto alla prestazione offerta.

Il processore e la scheda grafica
Questo, signori e signore, è un vero siluro. La versione in prova ha poi sia il processore che la scheda grafica “tosti”, e i risultati sono letteralmente impressionanti. Qui qualche benchmark aiuta: nonostante si stia parlando sempre di un all-in-one, coesistono prestazioni superiori a quelle dei Mac Pro di fascia media e una efficienza termica davvero ragguardevole. La ventola esiste (così come esiste la vibrazione del drive magnetico) ma funziona a livelli sonori di di vibrazione al limite del percepibile. Quanto basta per “sapere” che il computer è acceso, ma non abbastanza per rendersene conto.

Abbiamo letteralmente scagliato nel Mac tutti i programmi che ci sono capitati per mano provando a farli girare in contesti e con configurazioni le più differenti. Da X-Plane a Photoshop, da Final Cut Pro a GarageBand, da XLD (software per conversioni audio) impegnato in 16 conversioni in parallelo a un po’ di giochi di vari livelli e complessità. Spiace solo di non avere avuto più tempo e più software da provare, perché questo iMac 27 sembra Obelix: è caduto nel pentolone della pozione magica da bambino e non si ferma più. Pare che non abbia fondo, che non ci sia modo di saturarlo, di metterlo alle corde nonostante abbia “solo” otto GB di memoria in questa configurazione, mentre si sarebbero apprezzati molto di più 16 o meglio ancora 32, il massimo che secondo Apple si può installare.

La scheda video utilizza una speciale tecnologia di ultima generazione che permette di avere un incremento di prestazioni di quasi il 60% rispetto alle generazioni precedenti; la versione in prova con due gigabyte di memoria dedicata fa veramente la differenza. In tutti questi anni di uso di X-Plane non abbiamo mai visto questo simulatore girare con tale gioia e abbondanza di particolari.

Il processore come detto è un Core i7 quadcore di generazione Ivy Bridge. Un compromesso tra la potenza, favorita anche da una robusta capacità di fare overboost, e risparmio energetico/efficienza termica. Neanche nei momenti più critici si raggiungono i valori termini di allarme, e probabilmente è sostanzialmente impossibile mandare la macchina in blocco di sicurezza a meno di non avvolgerla completamente nella cellophane per impedire la circolazione dell’aria.

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La connettività
C’è poco da dire. Manca il CD Rom, mancano le porte FireWire 800 o 400, manca la porta HDMI. Non si sente la mancanza di nessuna di queste tecnologie (che peraltro possono essere recuperate con adattatori venduti a parte a prezzi non troppo economici da Apple stessa). Perché le due Thunderbolt e le quattro USB 3 fanno il loro gioco perfettamente e garantiscono i trasferimenti necessari. In ogni caso, a parte aver connesso l’iPhone 5, l’iPad mini e il SSD di Samsung via USB, non c’è stato mai bisogno neanche di avvicinarsi alle porte. L’uscita audio è sicuramente di buona qualità e bisognerebbe testarla con un buon paio di cuffie, ma già gli altoparlanti integrati suonano più che bene (come ho scritto poco sopra) che anche qui non si sente il bisogno.  

La magia in questo tipo di computer è tutta fatta dal WiFi e Apple in questo non si fa mancare niente: la velocità di trasferimento è probabilmente inadeguata se volessimo trasferire tutto il contenuto dell’hard disk in tempi ragionevoli, ma comunque più che sufficienti per realizzare tutte le operazioni chiave: installazioni, trasferimenti contenuti, backup.

Con il tempo appare sempre più chiaro che la scelta di Steve Jobs di abbandonare tutti i tipi di connessione tradizionale per semplificare e limitare il bisogno di cavi e collegamenti diretti è stata una scelta logica e visionaria. Pensare di aver bisogno del CD Rom è un po’ come pensare di aver bisogno di usare un floppy disk. E se proprio dovesse servire, si può sempre usare il SuperDrive USB di Apple o di terze parti, che non necessita di alimentazione separate e che ha un prezzo non economico ma comunque sempre sostenibile da chi acquista un computer da più di duemila euro.

Conclusioni
La prova di Macitynet di questa straordinaria macchina si conclude qui. Probabilmente non è eccessivo dire che il nuovo iMac 27 “late 2012” e la risposta alla domanda iniziale (sopravvive il rumore suscitato dal lancio alla prova sul campo?) è facile: si tratta della più grande innovazione nella linea dai tempi del Bondi Blue. C’è un nuovo design, più affilato, e che cancella il CD Rom e una serie di altre problematiche legate al modo in cui venivano realizzati prima i computer. Ha uno schermo di grande qualità, ottimamente ingegnerizzato e valorizzato sia dal design che dalle scelte tecnologiche. Non c’è niente da dire per quanto riguarda l’architettura complessiva basata sul chipset e il processore più moderni di Intel, che garantiscono prestazioni notevoli, grazie anche all’aiuto di una scheda video potentissima.

Il nuovo iMac può tranquillamente restare sulle scrivanie di chi lo acquisterà per parecchi anni, sia in “tempo informatico” che in più normale “tempo umano”. È un investimento che presenta una serie di vantaggi notevoli anche a fronte di un prezzo non contenuto, e che porta potenza, flessibilità di impiego e qualità di lavorazione/fattura difficilmente immaginabili già un paio di anni fa.

Cii ha colpito molto la possibilità di utilizzare questo iMac come computer principale per effettuare operazioni che sulla carta in passato erano riservate a workstation molto più potenti e costose, oppure utilizzarlo come macchina disimpegnata per gioco e tempo libero, oppure per creatività, produzione musicale, di immagini o video.

Nei giorni passati utilizzando questo iMac le sorprese sono sempre state positive e il piacere di scoprire che il limite della macchina era sempre “un po’ più in là” è stato impagabile. Certamente con un uso in prova limitato a pochi giorni non è possibile cominciare a vedere tutte le situazioni di potenziale uso. Ma un discorso è fare un test su strada e un altro è comprare un’automobile e guidarla per un anno.

La valutazione finale è comunque di grande e positiva sorpresa. Questo iMac 27 è un campione di potenza ed eleganza, capace anche di impressionare per alcune specifiche caratteristiche (scheda grafica, disco Fusion, qualità audio) e di avere un consumo energetico che dovrebbe essere molto contenuto.

Prezzo e disponibilità
iMac 27″è disponibile presso i rivenditori Apple e presso Apple Store Online a prezzi che partono da 1.899 Euro per la versione con Intel i5 quad-core a 2,9 GHz o 2079 Euro per la versione I5 quad-core a 3.2 Ghz configurabili anche nella versione della nostra recensione. La spedizione è prevista da Gennaio ma alcuni esemplari sono già arrivati ai clienti e ad alcuni rivenditori.

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