Il primo ad aprire le danze è stato Nicholas Negroponte. Il “vecchio guru” del Media Lab del Mit di Boston (che ha creato lui stesso) è furbo e intelligente. Ha capito che nel mondo, in quella enorme fetta di mondo che è in via di sviluppo e che ancora non è stato esposto alle tecnologie digitali che invadono le nostre vite di ricchi abitanti del “primo mondo”, c’era spazio per fare qualcosa di nuovo. Anzi, c’era un bisogno fortissimo.
à stato per questo che nella prima metà di questo decennio si è messo a lavorare al progetto OLPC, One Laptop Per Child, un computer portatile per bambino. Obiettivo: portare alle centinaia di milioni di bambini di quei paesi una piccola rivoluzione. L’accesso alla rete e all’informatica per “Imparare ad imparare”, dice lui. Ovvero, rivoluzionare non solo l’aspetto tecnologico ma anche quello educativo e sociale.
Perché Negroponte, è sempre stata la sua forza, non è un tecnologo ma un architetto di laurea (sempre al Mit di Boston) e soprattutto un eclettico. Che ha capito, forse come solo prima di lui pochi altri, che il potenziale dell’informatica e poi delle reti non è affatto tecnologico ma sociale. E che quindi richiede un approccio più ampio e creativo.
Il frutto del pensiero dietro alla fondazione OLPC, diretta da Negroponte, è l’XO versione 1, un piccolo computer che sembra disegnato dalla Chicco e che si basa sul codice libero di Linux, però mediato da una interfaccia “nuova” nella concezione. Da un punto di vista della progettazione è frutto del lavoro di due anni di una signora, che attualmente è diventata imprenditrice, cioè Mary Lou Jepsen. Anche l’interfaccia Sugar, che sta sopra una distribuzione super-ridotta di Linux Fedora è frutto del lavoro di vari programmatori, tra i quali Christopher Blizzard e l’italiano Marco Pesenti Gritti (autore di Galeon, una versione sotto Linux di Mozilla). In entrambi i casi l’approccio è stato radicale: l’XO è una macchina non convezionale e sicuramente sotto-potenziata rispetto alla maggioranza degli altri computer portatili su architettura x86. Ma c’è un ma.
Infatti, l’XO è un apparecchio per i bambini, uno strumento pedagogico, ispirato dallo costruttivismo cognitivo di Jean Piaget e portato avanti da Seymor Papert, 80 anni, educatore, oltre che matematico e informatico. Creatore del Logo (basato sul Lisp di John McCarthy) proprio per insegnare ai più giovani a utilizzare i calcolatori, Papert oltre che amico è anche collega al Mit e al Media Lab di Negroponte. L’XO ha una interfaccia che “rompe” con la maggior parte delle metafore consolidate in ambienti a finestre e icone, il punto centrale sono le attività basate sulle applicazioni e non, come accade nei sistemi attuali (Mac, Windows, Linux), centrate sui documenti. E poi il cuore è la capacità di fare connessioni wireless Mesh, con anche un futuro server basato su processore G4 e disco flash a bassa potenza (come quelli dell’XO), che si chiamerà XS.
L’obiettivo è mettere in rete quanti più bambini possibili, l’apparecchio deve essere personale e consentire ai piccoli di sperimentare, deve portare un nuovo modo di capire e scoprire la tecnologia. Per questo, nonostante l’interfaccia Sugar sia a dir poco “pallida”, è in realtà la disponibilità del software – piccoli laboratori con cui giocare a sperimentare, programmando in Logo e in Python – a fare secondo Negroponte la differenza.
Per realizzare il suo apparecchio, che quando venne presentato da Kofi Annan alla conferenza di Tunisi dell’Onu del 2005 doveva costare 100 dollari e non gli attuali 180 (viene assemblato a basso costo da Quanta in Cina, ma non basta), Negroponte si è fidato di un vecchio amico: Hector Ruiz, Ceo di Amd. Ruiz è un signore di mezza età , un ingegnere nato in Messico e laureato in Texas: mente brillante e uomo che si è fatto da solo e che non ha dimenticato cosa vuol dire saltare un confine per andare a cercare un futuro in un paese più ricco. Soprattutto, Ruiz ha l’ambizione che anche Negroponte sente (e anche Bill Gates, con la sua fondazione), cioè vuole cambiare il mondo. E vuole che sotto questo cambiamento ci sia anche la sua firma.
Leggendola da un altro punto di vista, infatti, la vicenda dell’OLPC e di XO è proprio questo, secondo alcuni critici: un atto di estremo personalismo di vecchi signori ricchi degli Stati Uniti, con tutta la spocchia di chi ha capito e vuole spiegare agli altri cos’è la tecnologia e come funziona il mondo. L’ambizione di Negroponte è quella di produrre uno o due milioni di XO al mese, arrivando a conquistare il venti per cento del mercato dei laptop, uno dei segmenti in più rapida crescita al mondo per quanto riguarda la tecnologia. E conquistare un mercato chiave, quello “educational”.
Si tratta di un mercato chiave – in cui l’XO sta cominciando ad entrare passando per il Perù, il Brasile, qualche stato africano – perché la prima tecnologia alla quale si viene esposti è anche quella che poi verrà adottata più avanti. Nel caso di XO, Negroponte vuole rompere le uova nel paniere soprattutto a Microsoft e ad Intel, che si è sentita vittima esclusa delle scelte tecnologiche fatte da OLPC a favore di Amd: i mercati in via di sviluppo fanno molta gola anche dal punto di vista economico di chi produrrà le decine di milioni di Cpu che nei prossimi anni andranno ad alimentarli.
Il ragionamento è semplice: se i ragazzi si innamoreranno del sistema “open”, per Microsoft non ci sarà futuro. O perlomeno, sarà un futuro molto più ridotto di quanto non si pensi oggi, il momento in cui gli analisti fantasticano di vendite con crescita in doppia o tripla cifra per il prossimo decennio.
Se prendiamo il problema da un altro punto di vista, infatti, si vede come l’adozione nel settore scolastico di determinate piattaforme (una per tutte, il Mac), abbia poi condizionato nel decennio successivo (quando i ragazzi escono da scuola) l’adozione di queste stesse tecnologie anche sul mercato convenzionale. Se lo usi a scuola poi è più facile che lo vuoi comprare anche quando entri nella vita adulta.
Però, il piano di Negroponte va più a rilento per vari motivi. La penetrazione in questi mercati non è così facile, soprattutto considerando che OLPC è una fondazione che non ha l’aggressività di un’azienda a fini di lucro.
Neanche il piano (un po’ disperato) “Comprane uno, regalane uno” sta avendo il risultato aspettato. Gli ordini sono intorno al mezzo milione di unità , fra terzo mondo, paesi africani, mediorientali e America latina compresi.
E la frase di Negroponte “à un progetto educativo, non il progetto di un computer portatile” vale solo fino a un certo punto. Inoltre, c’è la concorrenza di altri attori che si sono risvegliati proprio grazie alla comparsa nel radar del mercato di questo Ufo da 100 dollari o poco più. Infine, forse la radicalità delle scelte sia hardware che software di Negroponte è andata un po’ troppo in là . Lui cercava di non fare direttamente concorrenza a Microsoft, ma di creare qualcosa di alternativo. E forse il palato dei paesi in via di sviluppo cerca invece qualcosa di più simile a quello che si trova usualmente nel mercato dell’informatica.
Sia come sia, il piano di Negroponte non procede esattamente nella direzione che sembrava potesse seguire. E forse non è destinato a cambiare il mondo. Però, ha di sicuro avuto un merito. à servito da catalizzatore per una reazione che era già nell’ordine delle cose. Ha infatti mostrato che il Re è nudo.
Con il calo di prezzi delle componenti e la trasformazione del mercato da premium a commodity, l’ultima linea di confine per spuntare prezzi più elevati (e margini più elevati) nel mercato dei Pc è stato il segmento dei portatili. Quello in violenta crescita negli ultimi due anni, visto che con un portatile si riescono a fare praticamente tutte le cose che si fanno con un desktop e in più si ripiega quando è finito e si mette via, magari portandolo con sé.
Siamo diventati una società più nomadica, anche grazie alle tecnologie digitali (perlomeno, lo sostiene Jacques Attali tra gli altri) e quindi il portatile che sta nella nostra borsa è una manifestazione dello spirito dei tempi che forse verrà sostituita solo da un nuovo tipo di apparecchi “post Pc”. Questo però è un altro discorso, perché quello di cui parleremo nella prossima puntata di questo nostro viaggio nel futuro del PC è la massa di computer a basso costo che sono nati di conserva all’opera di Negroponte: dall’EEEPC di Asus ai mille computer “per i poveri” (soprattutto cinesi) e al groviglio di strategie e interessi compositi e contrapposti che vi si celano dietro.
Perché, ed è proprio questo il risultato principale a cui è arrivato Negroponte, adesso il mercato (consumatori e produttori) ha capito che si possono fare portatili da 300, 200, forse addirittura cento dollari. Altro che i più di mille, talvolta duemila dei computer di super-lusso ai quali siamo abituati. Certo, i computer da 300 dollari non sono veri desktop che si portano via. E spesso non sono neanche belli. Però, ha spiegato Negroponte, sono possibili e il mercato li vuole. Altri ci stanno lavorando sopra.
Vedremo chi sono e che cosa sta succedendo nella prossima puntata.