La sequenza di presentazione delle AirPods Pro durante l’ultimo keynote dello scorso 7 settembre sembra un film. L’intero evento Apple è paragonabile a uno show trasmesso da Apple Tv+ o da un altro dei grandi servizi di streaming.
Qual è il segreto di queste produzioni? Come fa Apple a presentare i suoi prodotti con filmati di altissima qualità che la maggior parte della concorrenza si può solo sognare e che gli imitatori non riescono a raggiungere come livello complessivo né come punta di eccellenza? La spiegazione richiede un attimo di tempo ma è affascinante.
La passione per il video
Apple ha sempre amato creare degli spot efficaci. Anzi, possiamo dire senza timore di smentita che la storia della comunicazione dell’azienda, sin dai tempi remotissimi dell’Apple II, è stata caratterizzata da un rapporto con il mondo della pubblicità particolarmente vivace e fecondo.
Steve Jobs era estremamente attento alla produzione della parte audio video oltre che cartacea e in esterna della pubblicità e del marketing aziendale. Nei primi venticinque anni di vita dell’azienda, in un periodo che va dal 1976 al duemila, ci sono state due pubblicità che hanno segnato la storia di Apple e del mondo dell’advertising tradizionale e che vengono ancora oggi studiate nelle università.
Uno è il famoso spot “1984” girato da Ridley Scott che è stato trasmesso originariamente una sola volta durante il Super Bowl nel gennaio di quell’anno e che annunciava, giocando sul libro omonimo di George Orwell, l’arrivo di qualcosa che avrebbe cambiato la storia e impedito l’omologazione completa alla quale il mondo di Ibm e compagnia stava condannando gli utenti dei primi personal computer. Quel qualcosa era il Macintosh, che non veniva né nominato né tantomeno mostrato. Lo spot è considerato uno dei migliori al mondo se non il migliore. Comunque, un classico insuperato.
Il successivo è la campagna “Think Different” del 1997 che segna il ritorno di Steve Jobs alla guida di Apple e che ha lo scopo di ribadire a tutti, clienti e dipendenti dell’azienda, quali sono i valori e il posizionamento della rediviva Apple. Uno spot “per i geni e i ribelli”, accompagnato da una campagna di affissione con poster straordinari, che ha reso un servizio enorme ad Apple, aiutandola a ricostruire una immagine molto chiara e definita. In Italia doppiato dal futuro premio Nobel Dario Fo, ha lasciato una traccia indelebile nell’immaginario di due generazioni.
L’ibridazione del mondo della musica
C’è però una fase, iniziata a ottobre del 2001 e cresciuta esponenzialmente negli anni successivi, che rende molto più interessante la storia di Apple da questo punto di vista e permette di capire meglio cosa sia successo con le produzioni audiovideo dei keynote.
Ci stiamo riferendo all’arrivo di iPod prima e di iTunes Music dopo. Quando Apple apre lo store e comincia a vendere musica apre anche una fase diversa della sua comunicazione. Non soltanto per le iconiche pubblicità delle silhouette colorate che ballano, sia negli spot che nelle affissioni, ma anche nel design dei suoi Apple Store fisici, dove il tema della musica è prevalente. E dove inizia una lunga e importante collaborazione con il mondo della musica che porta Apple a incontrare i protagonisti di quel settore.
Questo rende l’azienda non solo la produttrice di strumenti software fondamentali per la creatività digitale di livello professionale (raccontare la storia degli studi di registrazione e del loro rapporto con il Mac è materiale per altri articoli) ma anche un partner con i produttori e gli artisti stessi.
Succedono due cose: le produzioni degli spot e dei video che vengono mostrati durante i keynote per promuovere i nuovi prodotti si arricchiscono di competenze audio prima limitate dalla capacità delle singole agenzie pubblicitarie, e poi alla fine dei keynote arrivano le presenze fisse di grandi della musica: John Mayer, Alicia Keys e decine di altri artisti, spesso amici personali di Steve Jobs, comunque entrati nell’orbita di Apple che nel frattempo con la parte musicale produce anche playlist, programmi radio in streaming, eventi (i festival di iTunes, negli Usa e in Europa).
Apple diventa una piccola Mtv, per capirsi, e molte delle professionalità di quel mondo colgono l’occasione, certamente ottimamente remunerata, per collaborare con l’azienda. Questo modello è fondamentale, perché evolve rapidamente a partire più o meno dall’epoca della morte di Steve Jobs.
Le grandi produzioni e Apple Tv+
Quando infatti scompare Steve Jobs è anche il momento che l’azienda ha acquistato una solidità e una “potenza di fuoco” inimmaginabili nel decennio precedente. Il lancio di iPhone, gli iPad e poi il piano per creare una televisione in streaming che vada a fare concorrenza a Netflix e Prime Video (e poi anche a Disney+ e Paramount+, si potrebbe aggiungere) hanno dato gambe incredibilmente forti alla casa di Cupertino per le produzioni audio e video che popolano i suoi keynote e vengono pubblicate sul sito.
C’è anche certamente il know how e la vicinanza con Pixar, acquistata per cinque miliardi di dollari da Disney ma fondata da Steve Jobs, a sottolineare il rapporto “creativo” che Apple intende avere con il mondo dei contenuti. Non solo prodotti e qualche servizio, dunque.
Ma questo si arricchisce e diventa ancora più importante quando l’azienda decide ci creare un proprio canale in streaming e parallelamente quando decide di dare sempre più spazio ai creativi che si occupano di produrre contenuti con gli strumenti forniti da Apple. Man mano ad esempio che gli iPhone diventano capaci di fare da videocamera professionale e registi più o meno importanti li usano nel mondo della pubblicità e del cinema, si generano anche le opportunità di collaborazioni.
Tirando le somme
Uomini del primo cerchio attorno a Steve Jobs, come Eddie Cue, hanno avuto un ruolo fondamentale in questo progressivo fenomeno di arricchimento della capacità produttiva e di creazione di contenuti dell’azienda.
Apple ha aperto la porta a collaborazioni molto importanti con registi e fotografi innovativi, che sono anche simbolo di quello che di nuovo si può fare con i suoi strumenti. E oltre al lavoro con fornitori esterni per molte produzioni e agenzie pubblicità di altissimo livello (da Chat&Day in avanti), Apple ha iniziato ad assumere un numero crescente di esperti “operativi” nel settore della comunicazione web, grafica, audio e video. Apple stessa è diventata insomma un centro di competenza e capace di produrre i contenuti al livello che serve per promuovere il suo brand.
Sono produzioni in cui ad esempio tutti i nuovi gadget creati dall’azienda, ancora nell’epoca di Jony Ive, nella versione in inglese vengono illustrati dallo stesso Ive (che non ama comparire in video ma adora far sentire il suo accento britannico e la sua voce profonda) con un doppiaggio o voice-over molto particolare e ben riconoscibile.
I film di tre minuti trasmessi durante i keynote per mostrare, riassumere e far apprezzare i nuovi prodotti disegnati dalla matita di Ive e del suo team diventano un vero e proprio format che viene copiato a man bassa: sia nell’estetica generale che nelle preziosità come l’uso di sofisticatissime animazioni e cambiamenti repentini ma delicati di prospettiva con immagini macro sintetiche ad altissima risoluzione. Una festa per gli occhi.
I keynote di ieri
Arriviamo alla pandemia, il vero momento di svolta. Apple, come tutte le altre aziende non solo del settore tech, partecipa a un movimento collettivo di eventi-festa in cui vengono coinvolti centinaia di giornalisti, vip e sempre più spesso influencer e appassionati che amplificano i messaggi commerciali mostrati sul palco. I grandi convegni e ritrovi aziendali diventano degli show a tutti gli effetti nei quali Apple, con una sapiente alternanza di persone sul palco e video pre-registrati, è maestra e che d’abitudine trasmette in streaming in tutto il mondo con spettacolari risultati (e due miliardi di visualizzazioni).
A tutto questo, dicevamo, la pandemia mette uno stop. Cancellati gli eventi in presenza, Apple lavora sul format dei suo keynote e li ripensa, concentrando tutto nello show principale che diventa completamente registrato. Uno show che può sfruttare due caratteristiche molto importanti delle produzioni Apple: la scenografia naturale della nuova sede di Apple Park, terminata giusto in tempo prima della pandemia, e la capacità produttiva dell’azienda. Oltre a una serie di manager con spiccate capacità di intrattenimento, tra i quali Craig Federighi ha avuto sicuramente un ruolo chiave.
L’era degli eventi, i keynote registrati
Inizia così una nuova fase in cui le produzioni di Apple diventano rapidamente un format a sé. L’allineamento casuale di numerose differenti competenze, a partire da quelle sviluppate grazie alle produzioni di Apple Tv+, con i registi e fotografi più famosi e quotati, con società di produzione e agenzie pubblicitarie, società di creazione di computer grafica e immagini digitali, oltre a uno staff interno sovradimensionato rispetto a qualsiasi altra azienda non solo del settore tech, creano una opportunità di innovazione anche nel modo con il quale si tengono le presentazioni. Che Apple coglie e poi continua a sfruttare con costanti miglioramenti incrementali.
Questa fase si è vista chiaramente nell’evento Far Out in cui sono stati presentati i nuovi Apple Watch Serie 8, SE e Ultra, AirPods Pro 2 e iPhone 14 e 14 Pro. Apple ha prodotto interamente e ha fatto realizzare esternamente filmati su filmati di arricchimento e contrappunto al keynote, durante il quale si sono alternati sul palco decine di manager di livelli e con funzioni diverse.
Quella festa della complessità, che ha visto apparire le persone che veramente lavorano per Apple e non degli attori figuranti, ha permesso non solo di portare l’immagine della diversity e integrazione di Apple verso gli obiettivi di inclusività che Tim Cook ha posto fin dal principio del suo mandato. Ma ha anche permesso di mostrare e sottolineare la potenza produttiva dell’azienda.
Il futuro dei keynote di Apple
La riapertura parziale dopo la pandemia, prima per la WWDC di questo giugno e adesso per l’evento Far Out di settembre, ha mostrato che Apple intende portare avanti senza troppi rischi una nuova strada in cui all’evento cinematografico, un vero e proprio show prodotto per lo streaming, si somma l’accesso alla sede dell’azienda, lo Steve Jobs Theater, la zona delle demo con i nuovi prodotti.
Questo approccio ibrido, teatro+cinema, è sicuramente pensato anche in una chiave di sicurezza: una improvvisa recrudescenza della pandemia potrebbe bloccare anche pochissimi giorni prima lo show live di tipo teatrale e sarebbe impossibile rimediare con uno show registrato e prodotto come quello a cui Apple ci ha abituato.
Tuttavia questo approccio sta dando anche le maggiori soddisfazioni all’azienda. Infatti, il livello delle produzioni è salito al punto da rendere gli eventi degli show a tutti gli effetti, anche se poi i contenuti hanno semplicemente uno storytelling di illustrazione dei prodotti, non certo delle velleità narrative e autoriali di tipo televisivo o cinematografico.
In conclusione
Questi video sono veramente ben fatti. Sia i singoli video di presentazione dei prodotti che il film complessivo sono notevoli. Il film, la cui regia è complessa e la parte di effetti speciali si mescola a quella “normale” con grande facilità e dove ci sono sequenze con regia oggettivamente notevole e soluzioni di alto livello, con investimenti nei set e nello storytelling di alto livello, è francamente inimitabile dalla concorrenza.
Apple sta facendo un lavoro notevole che rappresenta a tutti gli effetti la sua era d’oro per quanto riguarda la presenza comunicativa. Nessuna altra azienda ci era riuscita prima e nessuno ha saputo cogliere le opportunità anziché farsi schiacciare dalle difficoltà portate dalla pandemia.
Un’epoca memorabile e della quale si parlerà a lungo, in futuro.