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Il sapore della privacy al tempo di Apple

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Quando Apple presenta le nuove generazioni dei suoi processori, che adesso muovono praticamente tutti i prodotti di Apple, viene sempre evidenziato il ruolo dei “core”, i nuclei di calcolo. Prendiamo ad esempio il SOC A16 Bionic usato sui nuovi iPhone 14 Pro e Pro Max. Costruito da TSMC con il processo di produzione N4 (cioè a 5 nanometri), lo A16 Bionic è un SOC con un processore a 64 bit e sei nuclei di calcolo basato su Armv8.6-A. Due nuclei di calcolo “Everest” a 3.46 GHZ per la maggiore performance e quattro “Sawtooth” a 2.02 GHz per l’efficienza. Ha una GPU integrata con cinque nuclei che portano il tutto a un totale di 16 miliardi di transistor. Ma ha anche integrato un Neural Engine con sedici nuclei di calcolo capace di 17mila miliardi di operazioni al secondo (17 Tops).

L’evoluzione del Neural Engine, che nel Soc A11 di iPhone 8 e X del 2017 aveva due nuclei e 0,5 Tops, è stata fenomenale e permette ad Apple da tempo di fare qualcosa di unico, che l’architettura Arm usata dai telefoni Android per lungo tempo non è stata in grado di fare. Cioè svolgere attività di intelligenza artificiale in locale, senza ricorrere al cloud e quindi senza spostare i dati dal telefono.

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La privacy come pensiero

Quando Apple ha cominciato a spiegare che la sua strategia era centrata sul rispetto della privacy delle persone, cioè dei suoi utenti, alla stregua di un diritto fondamentale, si è comportata di conseguenza. E ha lavorato per implementare tutto quel che faceva o avrebbe fatto nell’immediato futuro seguendo questa linea guida. Questo ha voluto dire che, ad esempio, Google e Amazon fin da subito hanno avuto assistenti personali e servizi ben più avanzati di quelli offerti da Apple. Alexa è più intelligente di Siri, nel senso che Alexa sfrutta una architettura e una serie di soluzioni completamente diverse. Però c’è meno privacy: i dati degli utenti vengono usati per creare questi servizi. Apple ha preso una strada più difficile, come abbiamo ripetuto più volte.

Anziché mandare le informazioni nel cloud per elaborarle nei computer super potenti e recuperare le risposte giuste o per addestrare le reti neurali in remoto, Apple ha deciso di usare il Neural Engine per fare tutto in locale. Per fare questo Apple come abbiamo detto usa il Neural Engine, cioè un componente hardware presente nei suoi apparecchi. Il Neural Engine è progettato per accelerare i calcoli delle reti neurali, cioè le funzionalità che richiedono il riconoscimento delle immagini e delle parole, come la fotocamera e la funzione di ricerca vocale “Siri”. Inoltre, il Neural Engine può essere utilizzato per accelerare il training di modelli di machine learning sull’apparecchio stesso.

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Il riconoscimento delle foto

Nei giorni scorsi in rete si è diffusa con un certo clamore la notizia, peraltro non nuova, che Adobe carica le foto degli utenti per addestrare le sue reti neurali (l’abbiamo raccontato qui). Le funzioni di riconoscimento devono essere aggiunte e addestrate continuamente per poter essere calibrate e produrre risultati soddisfacenti.

Invece Apple, con il suo Foto, usa da sempre un approccio completamente diverso per il Machine Learning. Sembra una cosa semplice, ma se si legge la spiegazione di Apple, che è una spiegazione teorica e abbastanza divulgativa nonostante l’uso di formule matematiche e di un linguaggio decisamente scientifico, si vede che la cosa non è per niente semplice. È un altro piccolo “miracolo” della tecnologia, che è capace di rendere quotidiane e apparentemente banali cose in realtà molto complesse.

Tuttavia, quel che emerge chiaramente, è che per la creazione dei cluster, l’elaborazione dei volti e delle figure, la realizzazione dell’addestramento del modello della rete neurale e via dicendo Apple fa tutto sull’apparecchio e lo fa in momenti di relativa minore attività (ad esempio la notte, quando il telefono è in carica) con lo scopo di arrivare ad avere dei risultati rilevanti direttamente sul telefono. È la strada più difficile ma c’è uno scopo: Apple non vuole caricare i dati degli utenti sui suoi server per elaborarli. Cioè, non vuole usare le immagini altrui: non solo usa la rete neurale per il riconoscimento delle immagini ma la addestra anche in locale, cioè sul telefono.

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Il diritto fondamentale

Perché accade tutto questo? Perché Apple non segue la strada più facile? Perché gli altri invece sì?

Apple ha dichiarato più volte che si impegna a proteggere la privacy dei suoi utenti e ha mostrato di aver adottato diverse misure per garantire che le informazioni personali dei suoi utenti rimangano private. Ad esempio, l’azienda ha implementato diverse tecnologie per crittografare i dati dei suoi utenti e ha adottato stringenti politiche di accesso ai dati per garantire che solo gli utenti autorizzati possano accedere alle informazioni personali degli utenti. Inoltre, Apple offre agli utenti una serie di opzioni per controllare le impostazioni della privacy sui propri dispositivi e fornisce informazioni chiare su come vengono utilizzati i dati dell’utente.

L’azienda ritiene che la privacy sia un diritto fondamentale e sostiene che la protezione della privacy degli utenti è fondamentale per mantenere la loro fiducia. Questo si basa su un ragionamento che è completamente antitetico rispetto a quello della maggior parte delle aziende del settore tech. Queste ultime infatti ritengono che costruire servizi sempre più funzionali e prodotti sempre più all’avanguardia passi attraverso l’uso di tutte le informazioni disponibili, senza grandi problemi. Apple invece la pensa diversamente, e ritiene che la privacy sia appunto un diritto fondamentale.

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La privacy è importante per diverse ragioni. In primo luogo, la privacy ci permette di mantenere il controllo sulle informazioni personali che condividiamo con gli altri. Ciò ci dà la libertà di scegliere con chi vogliamo condividere le nostre informazioni e come vogliamo che siano utilizzate. In secondo luogo, la privacy ci protegge dall’essere esposti a comportamenti invadenti o discriminatori. Ad esempio, se non siamo in grado di controllare le informazioni personali che condividiamo, potremmo essere trattati in modo ingiusto o discriminatorio sulla base di fattori quali età, sesso, razza o orientamento sessuale. Infine, la privacy ci permette di esercitare la nostra libertà di espressione e di scelta in modo più sicuro, poiché ci consente di prendere decisioni senza essere influenzati o monitorati da altri.

I dati che oggi vengono usati per creare un servizio cloud più efficace domani potrebbero essere usati per altri scopi. E il profilare quel tipo di informazioni potrebbe avere effetti deleteri per alcune persone, se non per tutte. Apple, dice, queste cose non le vuole, sono contrarie ai suoi valori. Ed è anche per questo che ha voluto creare i suoi processori e un modo completamente diverso per fare analisi e addestramento delle reti neurali in locale, quando sarebbe stato comodo farlo sui server cloud.

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