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Il “Pro”blema dei problemi

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L’attuale listino di Apple, con l’aggiunta del Mac Pro appena presentato alla WWDC 2019 assieme al monitor Pro Display XDR e al suo stand venduto separatamente, ha raggiunto il punto di rottura. Non da un punto di vista meccanico, ma da un punto di vista del senso. Perché la scala, l’estensione, possiamo pure dire “la gamma dinamica” visto che i singoli computer e apparecchi post-pc possono essere dinamicamente configurati in modi differenti e quindi con prezzi relativamente differenti, è diventata semplicemente ingestibile.

Il cartellino del prezzo di qualsiasi prodotto, sia se l’azienda ne ha uno solo sia de ne ha molti, ha uno scopo. Segmenta. Ritaglia il pubblico. E quello che sta facendo Apple adesso è segmentare e ritagliare il pubblico dei suoi utenti Pro in maniera tale che quelli che avevamo in mente finora non li abbiamo più. Cambia il senso di Pro in maniera radicale. Anzi, per dire meglio: noi utenti Apple che usiamo gli strumenti di quell’azienda per lavorare ogni giorno non siamo più, secondo quelle metriche e quel ritaglio, degli utenti Pro.
Mac Pro 2019, tutti i dettagli su processore, schede video e schede specialiIl cartellino del prezzo è il modo con il quale le aziende si candidano e il pagamento è il modo con il quale i clienti votano. Dopodiché, le aziende candidandosi scelgono anche chi le deve votare: ci sono pezzi di mercato che servono utenze particolari, nicchie altopaganti, prodotti di massa. Chef stellati e McDonalds. E nel mezzo c’è di tutto, ovviamente.

Apple da tempo ha scelto una via sempre più legata al lifestyle, al marchio di moda e poi di lusso, per distinguersi tra gli indistinguibili PC e poi tra gli indistinguibili smartphone Android. Ma non ha mai abdicato alla sua funzione, cioè produrre hardware, software e servizi. Non è che vende scarpe e borse di pelle, oppure gioielleria, insomma. Eppure, la ridefinizione degli utenti Pro vuol dire proprio questo, forse.

Il “Pro”blema dei problemi

Una valutazione soggettiva

Chi scrive fa il giornalista da molti anni: dalla prima metà degli anni Novanta per la precisione. E prima ancora era studente di Scienze Politiche a Firenze, in via Laura. Dove c’era una saletta con tre vecchi Macintosh Plus, a disposizione degli studenti per scrivere relazioni o altro: alla fine degli anni Ottanta avere un PC a casa non era la regola. Nel caso del vostro cronista, è iniziato tutto là, con un computer che era sostanzialmente quello del 1984, con in più un hard disk esterno da 20 MB.

Su quei computer in condivisione, a parte le relazioni per gli esami e qualche gioco, si potevano impaginare anche dei giornali studenteschi, le tesi di laurea, i primi lavoretti editoriali da fare a tarda sera e molto altro ancora. Erano, quei Macintosh, dei piccoli computer professionali, visto che all’epoca la “matrice 2×2” inventata da Steve Jobs nel 1997 (due pro e due consumer, due portatili, due fissi) ancora non esisteva.

C’erano però i “grossi” Macintosh utilizzati in ambito editoriale (IIfx) oppure macchine dall’apparenza limitata ma in realtà molto potenti: all’epoca si trattava del Macintosh SE/30, che aveva la stessa scocca di un Mac classico, ma molta più birra, date retta a chi l’ha vissuto e desiderato. Non perché fosse irraggiungibile (costava caro ma non come un appartamento), ma semplicemente perché si posizionava in modo troppo alto per uno studente.

Non c’erano gli Apple Store e Internet, e si poteva leggere dei prodotti Apple sulle all’epoca abbondanti riviste presenti in edicola (su tutte, l’italiana Applicando), oppure andarli a vedere nello studio di qualche amico più grande già “professionista” o in qualcuno dei (pochi) negozi che trattava cose Apple: in Toscana c’era soprattutto DataPort di Dario Conti, purtroppo scomparso pochi anni fa.

Il “Pro”blema dei problemi

La matrice 2×2

Andiamo avanti veloce, con le generazioni che si sono succedute e il ruolo “Pro” dei computer di Apple si è pian piano sedimentato. Dopo la fase complessa e confusa sia per progetti che per nomenclatura degli anni Novanta, con il ritorno di Steve Jobs si è fatta chiarezza. Apple produceva bei computer, con un forte desiderio di offrire strumenti di punta per proffessionisti ma anche democratizzare l’accesso a internet per tutti. Nascono gli iMac, insomma, e gli iBook inventano la mobilità.

Nel 2001 chi scrive ha comprato un iBook G3 a 500Ghz. Attenzione, non perché fosse economicamente impossibile comprare un Titanium (all’epoca il portatile “Pro” dopo Pismo e Wall Street), ma perché non era quella la scelta corretta per le esigenze della mobilità di chi sta scrivendo. Certo, costava molto meno, ma tipo la metà meno, non trenta volte meno.

In una riunione con Steve Jobs è nato il Wi-Fi come lo conosciamo oggiIl paragone che si può fare in questi casi è quello delle automobili. Tra una Panda e una Tipo Station Wagon il moltiplicatore è 2: si può comprare una Panda a 10mila euro o una Tipo Station Wagon a 20mila euro. Con la Giulia dell’Alfa Romeo il moltiplicatore è 3 e qualcosa: costa circa 35mila euro.

C’è insomma una gamma di prodotti e, una persona con uno stipendio medio, può decidere quanto investire nella sua automobile a seconda dell’importanza, della necessità e dell’uso che intende fare. Si può fare un piccolo o un grande sacrificio economico e scegliere cosa comprare.

Poi, se uno vuole si prende una Ferrari o una Lamborghini e spende 30 o più volte il prezzo di una Panda. Però qui la scelta non è più ragionevole perché la disponibilità economica va fuori scala. Non vai neanche nello stesso concessionario se devi scegliere una Panda oppure una 812 Superfast.

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Il Pro che non c’è più

Il listino di Apple era un listino che consentiva di scegliere se investire su un prodotto pensato per un uso meno “intenso”, cioè relativamente meno potente ma sempre affidabile e flessibile, oppure se investire su un computer più grande e potente, magari che deve durare anche molto.

C’è chi ha preso un iMac con lo schermo grande (il modello bianco 24 pollici) e l’ha tenuto per otto anni, chi un MacBook Pro 15 nel 2012 e ancora lo usa come se fosse una novità di stamattina. Un Mac Pro del 2010 e da poco gli ha messo il secondo SSD da 1 TB e non ci pensa nemmeno a cambiarlo.

Ed erano computer che costavano cari, ma non costavano come il mutuo di una casa. La ridefinizione dell’utente Pro passa attraverso una sua riduzione quanti-qualitativa fortissima, come se Apple stesse applicando lo stesso criterio selettivo che ha applicato nel mondo della telefonia e dei tablet ultimamente, alzando i prezzi in maniera sostanziale.

Il “Pro”blema dei problemi

Lo stand della discordia

L’ultimo Mac Pro con monitor il cui stand costa il venti per cento del prodotto e viene venduto a parte, è un problema fortissimo. Ma non solo perché i prezzi di Apple sono esplosi – le considerazioni sull’estetica sono semplicemente fuori luogo: può piacere o meno – ma perché crea una ridefinizione dell’identità dell’intera comunità dal lato Pro. Che è -era- molto più ampia che non solo i fotografi di punta che devono elaborare le foto sull’elilcottero, dai montatori della BBC che fanno tutto in 8K sennò gli viene l’orticaria, o gli sviluppatori che compilano come invasati su venti formati diversi.

La comunità dei Pro è per la maggior parte composta da persone che portano avanti una attività professionale con un MacBook Air vecchio stile, oppure che con il loro iMac vanno avanti anni, o un decennio nel caso di un Mac Pro aggiornabile. Che considerano un MacBook Pro una specie di unione civile che si spera forse non che duri per sempre ma che non sia neanche una costosissima one night stand.

Insomma, c’è un mondo enorme di utenti che sono parte della comunità Apple, utenti che usano in modo professionale il Mac e che adesso possono a malapena permettersi un iPad Pro 12,9 con penna e tastiera Apple (1600 euro per il modello solo WiFi con 256GB di memoria). Questo è un problema.

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