Le isole Bahamas per tre cose sono famose: le spiagge assolate con le belle ragazze, le acque cristalline piene di coralli e pesci colorati, e il sistema legale alquanto accondiscendente tanto da aver contribuito originariamente alla nascita dell’espressione “paradiso fiscale”, grazie al mix tra ambiente naturale meraviglioso e totale mancanza di regolamenti. Le isole Bahamas sono anche il posto preferito dalle aziende che si occupano di criptovalute, come FTX, l’exchange che ha sede a New Providence, una delle isole, e che a novembre ha impartito una seria lezione a tutto il pianeta: le cripto non sono solo opportunità ma anche (decisamente) rischio.
Quello che molti si chiedono è quale tipo di rischio siano, perché dopotutto viviamo da tempo in un mondo in cui l’economia è uscita da tempo dalla fase industriale per entrare in quella finanziaria, cioè i mercati. Si diventa ricchi non tanto aprendo un’azienda quanto giocando in Borsa. E le startup sono solo un’evoluzione di questo concetto, perché a fronte di pochissimi imprenditori che riescono a fare qualcosa, dietro c’è un gigantesco gioco finanziario fatto di venture capitalist che raccolgono soldi e li investono per poi “uscire” quando l’azienda viene venduta o quotata con l’investimento moltiplicato per cinque o per dieci.
Punti di vista e “gamification”
La Borsa (sempre con la “B” maiuscola, avvertivano i vecchi capocronisti del Sole 24 Ore ai giovani che iniziavano come chierichetti la professione sul sagrato del tempio laico dedicato al Dio della dell’Economia e della Finanza) si è trasformata. Prima era un posto in cui gli imprenditori raccoglievano soldi presso il grande pubblico per finanziare nuove imprese e offrono in cambio dei dividendi sull’andamento dell’azienda (l’idea di società con azionariato diffuso e anonimo). Poi è diventato un regime controllato e legato a pochi grandi gruppi di potere finanziario, tra l’altro in Italia da sempre definito “capitalismo familistico”, ma nel resto del mondo con i grandi fondi pensionistici e di investimento non va molto meglio, manca solo il legame parentale ma in compenso ci sono grandi affinità elettive. E infine in una specie di casinò in cui i risparmiatori sono spinti dall’avidità e dal miraggio di grandi ricavi a entrare per scommettere e fare soldi. Forse la prima, grande forma di gamification della società moderna.
All’interno di tutto questo, le cripto sono una specie di virus che è stato studiato per mandare in cortocircuito le leve fondamentali che fanno circolare la ricchezza nei sistemi regolamentati. Dei virus contro i quali l’organismo della finanza tradizionale ha reagito e sta reagendo in tutti i modo possibili. Probabilmente scacciando i soggetti “buoni” dal mondo cripto e facendo venir fuori quelli meno buoni o dei veri e propri truffatori. Il tutto perché le grandi Banche Centrali e i governi nazionali stanno applicando una tecnica che massimizza le opportunità per chi, nel mondo delle cripto, è un truffatore bello e buono. Facciamo un passo indietro.
Ur-Cripto: storia dei Bitcoin
In principio ci fu il Bitcoin. Creato dal genio sovversivo e anonimo di Satoshi, assolutamente open source e peer-to-peer, è stato pensato per distruggere il sistema finanziario mondiale. I Bitcoin come moneta di scambio unica per tutto il pianeta, con un valore sganciato da qualsiasi autorità centrale e senza bisogno di alcuna autorità centrale per essere emessa, validata, scambiata, messa a fruttare. In pratica, l’anarchia finanziaria allo stato puro.
A questo le Banche centrali prima e i governi dopo hanno risposto più o meno volontariamente con la stessa politica: zero regolamentazioni. Il virus esterno è stato ignorato nel senso che è stato tenuto lontano dal corpo del sistema finanziario. Questa mancanza di riconoscimento è servita allo scopo delle organizzazioni di non legittimare e quindi di non incorporare uno strumento incontrollabile all’interno del sistema e quindi anti-sistema.
Invece, si è proceduto a suddividere la tecnologia in altri pezzetti e creare ad esempio le criptovalute di Stato, gli stablecoin (cripotvalute agganciate a un rapporto di cambio fisso) e cose del genere.
Questa mancanza di regolamentazione è quella che ha reso le cripto (Bitcoin e i suoi fratelli) un Far West. La programmatica mancanza di interventi normativi e regolamentatori, se non il fatto che ad esempio dall’anno scorso in Italia i profitti fatti con le cripto vengono tassati come una forma di Capital Gain (rendita azionaria) e per un anno chi porta allo scoperto i suoi coins ottiene il dimezzamento della tassazione, hanno reso possibile la creazione di una nuova classe di investitori che sono praticamente degli avidi allocchi.
Non si può definire in altro modo chi mette i soldi in un contesto non regolamentato, senza alcun tipo di controllo e nel quale puoi fare soldi ma anche prenderti delle solenni fregature. Il caso delle Bahamas, dove aveva sede FTX, è forse l’esempio più lampante di cosa vuol dire investire i soldi di una vita andando a giocare a carte di notte a un angolo di strada malfamato con dei brutti ceffi. Certo, magari voi lo fate, ma diciamo che questo non risponde alla definizione di diligenza del buon padre di famiglia.
Il problema è che adesso questa spinta sovversiva iniziale, questa mancanza di regolamentazione, questa opportunità per truffare e questa classe di avidi allocchi stanno rispondendo a una delle più antiche leggi dell’economia e creando i presupposti per un gigantesco problema. La legge è quella che dice che una cattiva moneta scaccia una buona moneta. Cioè, significa che se una moneta di scarsa qualità (ad esempio, una moneta contraffatta) viene introdotta in circolazione, le persone potrebbero iniziare a preferirla rispetto ad una moneta di alta qualità (ad esempio, una moneta d’oro), perché la prima è più facile da ottenere o più conveniente da utilizzare.
Questo può portare alla diminuzione della domanda per la moneta di alta qualità e alla sua sostituzione con quella di bassa qualità. In un contesto economico, questo può causare una diminuzione della fiducia nel valore della moneta e nella sua stabilità, e può anche portare a problemi di inflazione.
In termini di criptovalute, questo significa che una valuta digitale di scarsa qualità o di dubbia provenienza, può avere un impatto negativo su quelle più affidabili, causando una diminuzione del loro valore e della loro accettazione.
Il mondo degli ECDL
In Italia ci siamo inventati prima di altri molte cose: il fascismo, il conflitto di interessi, il populismo per citare tre esempi in politica. Ma ci siamo fatti mancare l’Ecdl, cioè quel test surreale creato in Irlanda nel 1997 e poi diventato europeo e infine mondiale, che insegna a comportarsi da scimmia per “imparare l’informatica”, ma che in realtà non insegna niente. Infatti, a fronte di un Paese di minions che smanetta sui telefonini e sa cliccare sui pulsanti più o meno giusti di Word, non mancano le eccellenze ma manca una cultura social diffusa di cosa sia l’informatica.
Una cultura sociale dell’informatica si riferisce alle norme, ai valori e alle pratiche condivise all’interno di una comunità di informatica. Questo può comprendere l’etica dell’informazione, l’inclusione e la diversità, la sicurezza dei dati e l’uso responsabile della tecnologia.
È importante perché influenza come le tecnologie vengono create, utilizzate e governate. Una cultura sociale dell’informatica positiva può promuovere l’innovazione e l’inclusione, mentre una negativa può portare a problemi di privacy, discriminazione e sfruttamento. Inoltre, essendo l’informatica una disciplina che sta diventando sempre più importante nella vita quotidiana e nell’economia globale, è fondamentale che venga promossa una cultura sociale che consenta di utilizzare queste tecnologie in modo responsabile e sostenibile.
Tutte cose che non facciamo e che l’avvento ad esempio delle intelligenze artificiali, che la gente crede “facciano tutto loro”, porta a un deteriorare ulteriore della situazione.
Il triplete del futuro
Qui entra in gioco quella che sta diventando la tempesta perfetta. La mancanza di regolamentazione delle criptovalute da un lato e l’opportunità per malintenzionati di truffare avidi allocchi travolge anche altre cose che invece sono legate allo sviluppo di queste tecnologie. Vediamo come
Criptovalute, blockchain, NFT, web3 e metaverso sono tutti collegati, ma si riferiscono a cose diverse. La criptovalute, come Bitcoin ed Ethereum, come abbiamo visto sono delle valute digitale che utilizzano la crittografia per la sicurezza e il decentramento. Funzionano indipendentemente da una banca centrale.
La blockchain è un registro digitale delle transazioni che è distribuito su una rete di computer. Viene utilizzato per registrare in modo sicuro e trasparente le transazioni per una vasta gamma di applicazioni, tra cui le criptovalute. Sono la tecnologia sottostante che le abilita.
Gli NFT (token non fungibili) sono un tipo specifico di titolo digitale che fa una cosa ritenuta impensabile nel mondo digitale: è unico e non può essere replicato. Sono uno strumento che introduce la scarsità in un ambiente per definizione privo di questo concetto. Per questo gli NFT vengono utilizzati per rappresentare la proprietà di opere d’arte digitale o di altri oggetti unici.
Ancora, il Web3 si riferisce alla potenziale prossima generazione di internet, che è decentralizzata e basata sulla tecnologia blockchain, anziché basata su grandi piattaforme proprietarie (Google, Facebook, Amazon, Microsoft) che sono i contenitori e quindi di fatto proprietari delle identità digitali delle persone. Il Web3 propone di dare agli utenti maggiore controllo sui loro dati e sulla loro identità online.
Infine, il metaverso, anzi i metaversi sono mondi virtuali che esistono su internet e che possono essere accessibili attraverso dispositivi e browser abilitati per Web3. Possono essere centralizzati su una piattaforma (come vorrebbe Facebook) oppure completamente open source e distribuiti, come una rete peer to peer in cui i contenuti non vengono erogati da un server centrale ma esistono in quanto sono condivisi tra tutti gli utenti. Pensate a BitTorrent, per intendersi.
E quindi, in conclusione?
Il punto finale di questo ragionamento è abbastanza semplice: avidità e mancanza di regolamentazione stanno minando alla base un livello di uso delle tecnologie che è cruciale: le criptovalute. La conseguenza di primo livello della guerra tra Satoshi e le Banche Centrali è quella di creare il febbrone dell’incertezza di mercato e lo spazio per altre infezioni come truffatori e truffe.
Ma la conseguenza di secondo livello è quella di sabotare tutti gli altri livelli e tecnologie interconnesse che potrebbero essere molto utili come possibili evoluzione futura del monto tecnologico. Grazie anche a una pressoché totale mancanza di cultura sociale informatica diffusa, che non permette alla maggior parte delle persone neanche di capire bene cosa sta succedendo, il risultato è che finiremo di nuovo tra le braccia di gigantesche piattaforme monopolistiche stile Facebook, Google e Microsoft, in una logica in cui il vincitore, cioè chi si classifica primo, vince tutto.
Il che incidentalmente spiega anche perché Mark Zuckerberg, che nella Silicon Valley è decisamente il più lucido tra i leader del settore tecnologico anche se quello con meno scrupoli, ha deciso di giocare in maniera così aggressiva la battaglia del metaverso, che poi è un po’ la ciliegina sulla torta di tutto questa serie di tecnologie basate sul concetto di crittografia e relazioni peer-to-peer.
In conclusione? Non c’è molto per cui essere ottimisti. Proprio no.