Certo, a guardare bene sembrerebbe che le cose non vadano benissimo per gli utenti pro di Apple: un Mac Studio al massimo della configurazione e con un nuovo monitor in versione full optional costa più di una Fiat Panda Hybrid. Sono tanti soldi.
Ma la realtà è che dietro c’è anche veramente tanta potenza. E una soluzione molto convincente. Talmente convincente da far pensare che forse abbiamo scavalcato una delle barriere mentali più forti di Apple, distesa sulle macchine professionali dai tempi immediatamente successivi all’ultimo grande, vero Mac Pro, cioè la versione multiprocessore G5 del 2005.
Pagare moneta, vedere cammello
La maggior parte dei Mac Pro sono stati rilasciati molto dopo il momento in cui se ne è parlato. In parte per colpa dei rumors e delle indiscrezioni, ma spesso e volentieri anche per colpa di Apple e di annunci troppo “lontani”. Anzi, annunci a vera e propria distanza siderale dal momento dell’effettivo rilascio.
Un esempio? Il Mac Pro “cilindro nero”, che ha avuto una serie piuttosto lunga di prese in giro per la forma che ricorda alternativamente il cattivo di Guerre Stellari, un’urna cineraria o un cestino per la spazzatura. Beh, quel computer venne annunciato in maniera anticipata da Phil Schiller alla WWDC del 2013, all’epoca gran capo del marketing internazionale di Apple, con un anticipo enorme sulla disponibilità reale: sei mesi.
C’era bisogno di fermare l’attenzione degli analisti e del pubblico di professionisti sull’idea che Apple avrebbe rilasciato un computer fenomenale altrimenti mancante, ma la realtà è stata che bastava l’iMac Pro per fare tutto o quasi, e che il lunghissimo tempo di attesa, unito a un prezzo fuori scala e a una pessima possibilità di fare aggiornamento oltre che espansione delle componenti sono stati tutti fattori che hanno giocato contro il Mac Pro Darth Vader.
La stessa sorte, anzi peggiore è toccata al MacPro attuale. Phil Schiller ne parlò per la prima volta nel 2017 in una intervista a TechCrunch ad un pubblico, quello Pro appunto, spazientito dal fatto che da 4 anni non c’erano aggiornamenti nell’ambito delle macchine professionali. Non c’erano dettagli, solo la conferma che il “cestino della spazzatura” (come chiamava poco amichevolmente il Mac Pro nero un largo pubblico), avrebbe avuto un successore.
L’annuncio vero e proprio arrivò alla WWDC del 2019 e anche qui passarono sei mesi prima della vera disponibilità. Tempistiche di questo tipo fanno pensare a problemi di ingegnerizzazione, cambi di design, erraticità nel campo delle forniture delle componenti. Sta di fatto che due solo macchine Pro in 7 anni non sono una cadenza compatibile con la necessità di tenere competitivo un computer sul mercato.
Il diavolo sta nei particolari
Un altro aspetto critico nella relazione tra gli utenti e i Mac Pro da un po’ di tempo a questa parte si nasconde nei dettagli, anzi negli accessori. Parliamo di rotelle, manici, maniglie, staffe, snodi. Piccoli particolari, minuterie che si dovrebbero poter comprare tranquillamente anche dal ferramenta sotto casa perché alla fine servono per appendere, fermare, fissare e regolare il Mac Pro. Certo, quelli di serie sono meglio, si potrebbe pensare. Ma poi salta fuori che il set costa 849 euro, in pratica come dei cerchi in lega per un’autovettura e più di un set di pneumatici per un SUV e allora passa qualsiasi fantasia e qualsiasi velleità. Troppo.
In effetti i particolari di Apple sono i più costosi. Tutto quello che non è di serie sappiamo già in anticipo che costerà carissimo: dall’adattatore USB-C Lightning per le cuffie audio alla staffa Vesa per attaccare l’iMac al muro, i prezzi sono decisamente fuori mercato; è così anche per la componentistica interna, come gli aumenti di SSD che costano sempre sui 300 euro e dopo tre “salti” costano più del computer nel suo complesso. Tuttavia, non bisogna anche dimenticare che in realtà sono stati i Mac Pro a definire un’intera nuova categoria di prezzi fuori scala ma questo non può essere una giustificazione quando si pesa che un Mac Pro Full option arriva a costare più di 50mila eurol, o se vogliamo restare nel paragone automobilistico delle ruote, come una Tesla Model 3
Troppi sbagli
Per qualche motivo insondabile, che probabilmente ha a che fare con il tipo di organizzazione e con la “cultura” del gruppo in carica per quanto riguarda la realizzazione di certi prodotti, la realizzazione dei Mac Pro ha portato costantemente a una serie di imprecisione, errori di valutazioni, spese eccessive, prese di posizione totalmente incoerenti.
Il mercato del business-to-business di Apple è stato tempestato da errori che comprendono anche la progettazione di computer “fraintesi”. Apple ha sbagliato dotazioni, potenza, posizionamento: il Mac Cube del 2000-2001 è un ottimo esempio. Non serve citare il clamoroso (e inutile) Mac Twentieth Anniversary, computer meraviglioso sino a che non lo avevi pagato con il prezzo pieno il giorno della sua uscita. Oppure la lunga teoria di computer costosissimi che vengono in realtà comprati da poche realtà che hanno bisogno non di una ma di un sacco di computer molto potenti per fare lavori di grande nicchia e che spesso rimangono profondamente deluse.
La redenzione di Apple Silicon
Forse occorreva, oltre a tornare ad essere i capitani della propria vita, anche un bagno di sano realismo da parte di Apple per capire come progettare di nuovo dei computer per i professionisti. Forse occorreva avere un proprio processore, che richiede uno sforzo industriale molto grande e costringe tutta l’azienda a orientarsi intorno a delle priorità che, per fortuna, vengono dettate da un team di colleghi e non da un fornitore esterno come Intel, che è anche fornitore della concorrenza.
Sapere quando usciranno i nuovi processori non vuol dire solo sapere quando si potranno rilasciare i prossimi Mac, ma anche fare un ragionamento su cosa serve, quali fasce di mercato si vogliono indirizzare, quale tipologia di computer è necessario realizzare. Molte volte in passato è sembrato che alcuni computer Pro, o forse praticamente tutti i desktop di questa fascia, fossero costruiti attorno a uno di queste due direttrici: o la disponibilità di nuovi chip a prescindere dalle reali esigenze del pubblico, o la capacità del marketing di inventarsi nuovi posizionamenti in un mercato nel quale Apple non aveva il controllo ma era costretta a seguire usando tecnologie altrui.
In entrambi i casi la vittoria arriva come al solito quando Apple integra tutto in una colonna verticale potentissima e capace di reggere il peso ben distribuito di una strategia pensata centralmente in cui nessun particolare viene lasciato al caso. Anziché fare il computer che la tecnologia e le forniture del momento consentono, è possibile immaginare un computer veramente innovativo e una strategia di posizionamento non banale e forse più genuina o sincera di quanto non si possa solitamente credere.
La vittoria dell’integrazione
Con l’arrivo di Apple Silicon (da M1 a M1 Ultra con tutto quel che c’è nel mezzo) in buona sostanza lo sviluppo di nuovi prodotti Pro è tornato ad essere un argomento discusso ai massimi livelli e con il coinvolgimento di gruppi di lavoro multidisciplinari, incluso il marketing, che hanno potuto pensare per la prima volta e sino in fondo quello che sarebbe stato il futuro degli apparecchi professionali. Come accadeva una volta, cioè come è accaduto sino alla conclusione dell’epoca dei G5, e come sta di nuovo succedendo con gli M1x.