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Il mistero degli HomePod originali e altri casi curiosi

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Incredibile ma il primo HomePod, quello grosso e mai commercializzato in italia, adesso sta prendendo valore sul mercato dell’usato. Su eBay e in altri canali e liste soprattutto americane (ma anche europee e italiane) dove si vendono queste cose la tecnologia giudicata da tanti “fallimentare”, “mal riuscita” e “inadatta ai tempi moderni” sta cominciando a costare caro.

Un speaker smart (fino a un certo punto, dicevano i critici) che negli Usa si vendeva a 299 dollari più tasse adesso non si trova per meno di 500, soprattutto se in ottime condizioni. Altrimenti, se la scatola è stata aperta, viene via per 350 dollari. Cioè comunque sempre più di quanto costava originariamente. E il prezzo sta tendendo a salire, lentamente.

Non è l’unico prodotto tecnologico che prende valore, e a differenza di quelli vintage dei quali abbiamo parlato qualche giorno fa, questo non possiamo assolutamente definirlo “antico”. Non è un iPod con hard disk da 2,5 pollici. Non è un iPhone 2G, mai commercializzato in Italia. Non è un prodotto vintage come il primo Walkman, o altre prelibatezze dei tempi che furino come le radio e i televisori Brionvega e altre forme di quello che un tempo si chiamava “modernariato” ma che adesso sta vivendo un periodo di rinascimento inedito e molto hipster. Di cosa si tratta allora?

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Retromania

Dietro all’apprezzamento, sia economico che di gusto per il vecchio HomePod (un apparecchio iconico, dal design molto più “forte” dell’attuale HomePod mini e soprattutto con prestazioni veramente maiuscole che cambiano completamente l’ascolto della musica, nonostante l’alto prezzo), c’è un movimento piuttosto ampio che sembra cercare la sobrietà e l’economia circolare attraverso un modo diverso di porre l’accento sul valore.

Quel che va guardato qui è la teoria delle aste, del prezzo, del modo con il quale le cose circolano. Internet ha reso molto più “liquidi” gli ambiti che una volta avevano fortissime barriere all’ingresso. Si possono vendere cose dall’altro capo del mondo e in teoria tutti potrebbero trovare tutto quel che cercano e che serve loro semplicemente navigando in rete. Ma, ancora di più, non esistono più gli attriti nell’assegnazione del valore.

Il racconto di un famoso collezionista di orologi, che girava il mondo per trovare pezzi rarissimi e comprarli a prezzi estremamente bassi vale la pena: recatosi una volta a Cuba dove, nella povera casa della vedova di un importante generale del regime di Fidel Castro gli avevano detto trovarsi il suo vecchio orologio da polso, un orologio di alta gamma che l’anziana bisognosa vendeva a pochi pesos cubani, il famoso collezionista fiorentino era stato in grado di segnare un “colpaccio”. In una intervista decenni dopo osservava intristito che quel tipo di situazione non si poteva più generare perché tutte le persone su Internet oggi sono in grado di trovare il valore reale delle cose. E questo genera un incentivo a venderle.

Genera anche in incentivo all’inflazione dei prezzi. Certi beni percepiti come scarsi e cercati un po’ di più vengono “spinti” non solo dall’hype delle persone ma anche da quella automatica degli algoritmi che danno una visibilità e proiettano delle crescite nelle vendite che genera scarsità. E come sanno tutti quelli che vendono e che comprano, la scarsità di un bene è sinonimo di prezzi alti.

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L’economia della scarsità

Si diceva un tempo che internet e il mondo digitale avrebbe creato una economia dell’abbondanza perché i bit, a differenza degli atomi, sono infinitamente riproducibili. Ma, al di là che queste siano effettivamente le dinamiche in atto (e invece sono quelle della spinta degli atomi) c’è anche da dire che la percezione del valore delle cose è sempre meno legata alla loro utilità e sempre più alla loro scarsità.

Perché la scarsità, oltre che far salire i prezzi, permette di dare un segno di esclusività che a sua volta non solo apre a una scontata originalità, ma anche a un altro concetto che nel mondo del consumo fast e di una mezza abortita e mal digerita transizione digitale è una qualità sempre più rara: la “fedeltà”.

Infatti, oggi esclusivo non è il nuovo gadget elettronico (riproducibile sulla carta per centinaia di milioni di copie identiche, come gli iPhone ogni anno) ma quello in qualche modo artificiale (serie limitate) o temporale (fuori produzione) scarso. Cioè difficile o impossibile da trovare ma, e questo è il sogno segreto, perfettamente funzionante.

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La fedeltà al passato

Perché? La risposta è legata forse anche alle generazioni che si stanno succedendo, la Generazione X che prende il posto dei baby boomer ma che non ha una sua esperienza digitale completa e comincia, nonostante l’entusiasmo iniziale, a rimpiangere le tecnologie passate, analogiche e più affidabili.

Da qui dischi, orologi, fotocamere a pellicola, automobili d’epoca e tutto il resto. Il bisogno di tornare al passato cercando anche di mentire raccontando che non ci si è mai staccati da quell’epoca. O che, se l’epoca non ci appartiene cronologicamente perché siamo troppo giovani, facendo finta che sia nostra magari con barba e baffi abbondanti: consigli di moda per vestirsi e pettinarsi forniti da tizi immortalati nei dagherrotipi.

Questo culto del passato, questa retronostalgia, questa retromania serve ad affermare soprattutto verso se stessi un malinteso senso di fedeltà. Essere rimasti fedeli alle buone vecchie tecnologie di una volta, cibi di una volta, abitudini di vita di una volta. Non aver ceduto alle lusinghe (alle quali invece immancabilmente tutti quanti hanno ceduto) e tornare ad essere puri e illibati tecnologicamente parlando.

Un HomePod è questo, forse: l’idea che ci si distingue con uno strumento tecnologico perfettamente funzionante, di grande qualità e prestigio, che la gente a suo tempo ha snobbato e che invece oggi possedere dimostra di avere un senso estetico e di averci visto lungo, aver capito tutto e possedere qualcosa che gli altri non hanno, di esclusivo. Essere fedeli a un’idea di sé, insomma, che ovviamente non esiste.

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