Il cofondatore di Sonos, John MacFarlane non ce l’ha fatta più ed è sbottato: «È davvero un’ironia» che proprio lui dica questa cosa, ha commentato di fronte all’uscita del CEO e miliardario fondatore di Spotify, Daniel Ek, secondo il quale quello di Apple è un ecosistema chiuso di cui dovrebbe occuparsi l’antitrust, tanto da aver depositato un esposto davanti all’antitrust europeo contro Apple.
Inoltre, in una intervista a Bloomberg, Elk aveva detto che Apple “ne ha di strada da fare” prima di diventare “una piattaforma aperta ed equilibrata” rispetto all’ecosistema di aziende che collaborano o competono.
L’intervento di Sonos non è da poco. L’azienda produce speaker e soundbar di alto livello che devono poter funzionare in maniera puntuale con tutti i servizi come quello di Spotify. Ed è chiaro che le cose non sono mai andate lisce. Da qui il desiderio di togliersi il sassolino dalla scarpa di MacFarlane.
«Rispetto e apprezzo entrambe le aziende – ha detto MacFarlane – ma Spotify non è certamente aperta». Spotify è la più grande società per lo streaming di musica al mondo per numero di utenti. Ed è inseguita soprattutto dal servizio streaming Musica di Apple. Nello scontro commerciale tra le due aziende Spotify ha deciso di introdurre anche un aspetto legale: secondo Ek Apple «ha introdotto regole nell’app store il cui scopo è limitare intenzionalmente la scelta e bloccare l’innovazione a spese dell’esperienza degli utenti».
La critica di Spotify ora in parte ridotta deriva soprattutto dalla regola dell’App Store di Apple che prevede, sin dal suo lancio nel 2008, che il 30% del cartellino del prezzo delle app, degli acquisti in app o dei servizi acquistati attraverso l’app vada ad Apple. Quindi costringendo Spotify, secondo Ek, ad alzare il prezzo dei propri servizi “molto al di sopra” di quelli di Apple.
MacFarlane è un tipo di imprenditore tecnologico piuttosto anomalo. Ha fatto fortuna con Sonos e non solo, ma si è anche preso due anni per andare a insegnare informatica ai ragazzi di 17 e 18 anni (le matricole dei college americani) ed è un imprenditore genuinamente portato per la libertà del mercato. Non partecipa alla “commedia della Silicon Valley”, in cui tutti quanto fanno finta di difendere privacy, competitività, rigore del mercato, bisogno della collettività, ma poi mettono in piedi i comportamenti più rapaci possibili.
Non a caso in un tweet McFarlane critica anche Facebook chiarendo che il motivo per cui non usa prodotti di quella azienda è perché sostanzialmente una società che viola la legge con la protezione di parte dell’amministrazione americana. MacFarlane riprende una frase di una sentenza federale, infatti, che è piuttosto netta: il modo senza scrupoli con cui Facebook ha violato la legge americana sulla raccolta e il controllo dei dati personali (sentenza passata quasi in sordina a causa dell’emergenza coronavirus).
Per quanto riguarda il mercato in cui è presente Sonos, è chiaro che si tratta di uno di quegli ambiti in cui le piattaforme di streaming conquistano milioni di utenti e poi fanno il brutto e il bel tempo. Sonos per lavorare ha fatto accordi con dozzine di aziende che offrono servizi di musica, inclusi Apple Music, Pandora, iHeartRadio, Spotify, MOG, QQ Music e Amazon Music.
I prodotti di Sonos inoltre funzionano con la maggior parte degli assistenti vocali: Amazon Alexa e Google Assistant. Siri invece è attualmente supportata solo attraverso la app Home di Apple. Però è tale il modo con il quale le aziende chiudono o cancellano le API (le interfacce di programmazione che consentono di collegare software e apparecchi ai servizi di altri) che l’azienda di Santa Barbara non garantisce per il futuro che “nessuna di queste partnership sarà supportata anche in futuro”. Il rischio è che le API siano cancellate o che il prezzo delle royalties diventi all’improvviso alto per fare cassa.