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Il dramma di Firefox (e l’indifferenza di Mozilla)

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Cominciamo con i dati, così non ci sono dubbi o polemiche almeno su questo: nel 2019 gli utenti attivi per i sistemi desktop di Firefox, il browser della fondazione Mozilla, erano 253 milioni. Oggi sono 212 milioni. Sono “evaporati”, secondo le statistiche della stessa fondazione Mozilla, ben 41 milioni di utenti in tre anni. Cos’è successo? Perché? E soprattutto: perché questo è estremamente rilevante per tutti noi che navighiamo in rete?

La spiegazione è semplice: è una terribile notizia per il web aperto. È una terribile notizia per la varietà degli strumenti, la competizione e la possibilità di sviluppare qualcosa di meglio a ogni iterazione. Le uniche alternative aperte adesso sono Chromium, che è la base open source di Chrome di Google, e dall’altro lato Safari di Apple, basato anch’esso su WebKit ma con una logica e una velocità diverse. Il resto è precipitato tutto dentro la pancia di Google (incluso Edge di Microsoft) oppure è tramutato miracolosamente in app. Ed è proprio dalle app che arriva il maggior problema.

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Il web è una app o le app sono il web?

Quando ci si mette di fronte ai paradigmi della tecnologia informatica spesso i piani si mescolano. Vediamo le interfacce, l’aspetto presentato agli utenti, e lo viviamo come la determinante. In realtà la battaglia è più ampia. Lo scontro, per la precisione, è tra il mondo delle app e quello dei browser. Al centro, c’è il controllo di una forma nuova che sta assumendo il software, che è quella del cloud.

Sono le strutture di codice “cloud native”, native del cloud, che vengono realizzate e gestite in maniera completamente differente e che si appoggiano a sistemi modulari e scalabili molto rapidamente. Questo codice espone servizi che vengono consumati da client (o end point) molto intelligenti e complessi, per essere delle pagine web, ma molto semplici e leggeri per essere delle app vere e proprie.

È l’epoca degli ibridi, in cui il vantaggio fondamentale nell’utilizzo della app sta nel controllo della esperienza, nella possibilità di eliminare le incompatibilità (l’app è un contenitore che impedisce i rischi contestuali che si trovano ad aprire un determinato sito web in un browser magari vecchio o parzialmente incompatibile). Per questo motivo

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L’importanza di chiamarsi Firefox

Il browser di Fondazione Mozilla ha una lunga storia. È stato creato come progetto “parallelo” a Mozilla di Netscape, il browser originario dell’azienda, voluto da Dave Hyatt, Joe Hewitt e Blake Ross. All’epoca (stiamo parlando degli anni Novanta inizio Duemila) Mozilla era pieno di pubblicità e funzionava con un modello di monetizzazione oggi inimmaginabile. Nel 2002 venne alla luce la prima versione di Firefox che aveva l’obiettivo di essere un browser “tosto”, pulito, essenziale, avveniristico per caratteristiche.

E infatti Firefox usa come rendering engine delle pagine web un motore chiamato Gecko che ha sempre implementato o addirittura anticipato gli standard web. Firefox dal 2017 per esempio ha iniziato a utilizzare Quantum, delle nuove tecnologie di parallelizzazione della resa delle pagine, che oggi non è più semplicemente la resa del codice HTML o al limite del CSS ma anche e soprattutto del Javascript, che è l’elemento preponderante nella complessità delle pagine web, vere e proprie applicazioni web client-side, dal lato dell’utente finale.

In questo contesto e per un lungo periodo Firefox è stato il punto di riferimento degli utenti che volevano un browser multipiattaforma, libero e non compromesso come Chrome con la pubblicità, limitato alla piattaforma di Apple come tradizionalmente Safari e non pericoloso come quelli di Microsoft. Poi c’è stata la fortissima evoluzione di Google, con la sua ambizione di conquistare gli spazi tecnologici del cloud che la ha portata di fatto a trasformare un browser in un intero sistema operativo (ChromeOS) e soprattutto la crescente attenzione di Google per gli sviluppatori, che ha portato l’azienda a rendere Chrome una macchina completa non solo per la fruizione ma anche per la creazione di contenuti.

In questo contesto Firefox ha assunto un ruolo da eterno secondo. Mentre Safari diventata il re incontrastato del mobile grazie al controllo della piattaforma iOS: per adesso infatti i browser di terze parti presenti su iOS compreso Chrome e Firefox sono riscritti per utilizzare il framework, cioè il motore di rendering di Safari, perché Apple vieta a qualsiasi app di eseguire autonomamente del codice all’interno di una app, incluso un browser, sui suoi dispositivi.

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Come fa a campare Firefox?

La cosa che forse molti non sanno ma della quale abbiamo già parlato qui su Macity è il modello di business della fondazione Mozilla e soprattutto di Firefox. Che è basato sui soldi che vengono forniti da Google: cifre esatte non se ne conoscono, anche Apple prende molti soldi (alcuni miliardi) e il motivo sta tutto nel riconoscimento del privilegio di avere il proprio motore di ricerca (quello di Google) preinstallato come default nel browser. Il 99% delle persone purtroppo non cambia questa opzione e altri motori di ricerca alternativi, come ad esempio l’ottimo DuckDuckGo, fanno più fatica ad affermarsi. E questo a ben vedere è un bene perché vuol dire che per riuscire devono sforzarsi veramente tantissimo pre dare il meglio.

Tornando a Firefox, i soldi arrivano da Google e l’azienda californiana paga in sostanza anche per avere un concorrente che le eviti l’accusa di essere monopolista dell’esperienza web. I legislatori ancora guardano all’esistenza dei browser con attenzione perché consente loro di applicare i criteri stabiliti a suo tempo con le cause intentante contro Microsoft per abuso di posizione dominante e che invece sono diventati sempre meno rilevanti nel tempo moderno delle web app e della trasformazione del modo con il quale viene costruito ed erogato il software, come detto sopra.

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E i social che partita giocano?

I grandi “utenti” della rete sono i big del tech esclusa Apple (che mantiene il suo browser per gestire il proprio walled garden iOS/iPadOS) e cioè Facebook, Amazon, anche Twitter oltre a Google, meno Microsoft con Linkedin e Xbox. Con tutti vari social e punti di acquisto che sono alla base della chiusura del web aperto.

L’idea per tutti questi soggetti è quella di trasformare il web in una piccola isoletta circondata da enormi castelli di app. E queste ultime trasformarle in giganteschi e super interattivi siti web. Riuscendo in questo modo a far quadrare un cerchio difficilissimo da mettere al centro: tenere gli utenti dentro le app e sfruttare le tecnologie consolidate del web (Ajax, Html4, le stesse progressive web app) per poter controllare al massimo le attività degli utenti senza rischi di browser che disabilitano questa o quella funzione di tracciamento.

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E quindi Firefox?

Apple non ha interesse a trasformare Safari in un motore per il web aperto a valore universale. Serve a controllare iOS e poco più. Microsoft ha abbandonato la partita da tempo (Edge è basato su Chrome, in pratica è una variante di Chrome con il logo di Microsoft) perché non monetizza e non ha interesse a competere. I social media hanno tutto l’interesse a restare fuori dal web, stabilendo una presenza di facciata ma cercando di veicolare l’esperienza degli utenti verso le loro app. Firefox dipende dal denaro di Google per sopravvivere ed è la stessa Google che sta monopolizzando le tecnologie alla base della navigazione web. In conclusione? Se la fondazione Mozilla non fa qualcosa, l’attuale dirigenza passerà alla storia come i musicanti del Titanic, che suonavano sulla tolda mentre la nave stava affondando.

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