Nel cuore pulsante di Akihabara, il quartiere dell’elettronica di Tokyo, gli scaffali dedicati ai dizionari elettronici si restringono anno dopo anno come neve al sole primaverile. Fino a qualche tempo fa, era impossibile trovare uno studente universitario o un impiegato in trasferta senza il suo fidato “denshi jisho”, un piccolo gioiello tecnologico a metà strada tra una calcolatrice scientifica e un laptop in miniatura. Oggi, invece, tutti hanno gli occhi puntati sugli smartphone, mentre quei piccoli dispositivi dedicati esclusivamente alla consultazione linguistica stanno silenziosamente scivolando nell’oblio. È la fine di un’era tecnologica che racconta molto più di una semplice sostituzione di dispositivi.
Grazie al nuovo volo di Ana, la compagnia aerea giapponese che da poche settimane ha avviato il collegamento diretto tra Milano e Tokyo, siamo stati in Giappone a vedere di prima mano, e il cambiamento è percepibile anche da uno straniero. I numeri parlano chiaro e raccontano una parabola discendente inarrestabile. Nel 2007, l’industria giapponese sfornava 2,8 milioni di dizionari elettronici portatili, oggetti status symbol per studenti e professionisti che si destreggiavano tra giapponese, inglese e altre lingue. Alcuni molto costosi, altri prodotti da aziende di prestigio, in generale “il gadget definitivo” per tutti i giapponesi appassionati di tecnologia e non solo. Invece, nel 2023 le vendite sono precipitate a 385mila unità, appena un settimo rispetto al periodo d’oro. Un crollo inarrestabile che ha spinto persino i giganti del settore a gettare la spugna davanti all’inarrestabile avanzata degli smartphone e delle loro app linguistiche gratuite o a basso costo.

Una storia giapponese
Il primo modello domestico di denshi jisho creato in Giappone fece il suo debutto nel 1979, inaugurando una rivoluzione nel modo di consultare le parole sconosciute. Casio entrò nel mercato nel 1981 e raggiunse il suo apice commerciale nel 1996 con il lancio dell’Ex-word, un dispositivo ad alte prestazioni che diventò rapidamente il punto di riferimento del settore. Per quasi tre decenni, questi dispositivi hanno rappresentato la quintessenza dell’approccio giapponese alla tecnologia: dispositivi ultraspecializzati, compatti, estremamente efficienti e pensati per uno scopo specifico.
È stato bello finché è durato, però. Il declino si è manifestato con l’abbandono graduale ma inesorabile dei principali produttori. Sony ha abbandonato la partita già nel 2006, anticipando una tendenza che avrebbe preso piede un decennio dopo. Citizen e Seiko Instruments (cioè una delle società del gruppo Seiko), altri attori storici del mercato specializzati in questo prodotto e molto apprezzati, hanno chiuso i battenti nel 2015, incapaci di contrastare la marea dell’integrazione digitale. I pochi superstiti includono Sharp, pioniere del settore, e soprattutto Casio, che nonostante detenga ancora il 59% del mercato (in contrazione), ha annunciato il mese scorso che non svilupperà più nuovi prodotti. Insomma, la fine è vicina.
Seiji Tamura, dirigente di Casio, ha dichiarato al Japan Times: “Dietro questa decisione c’è l’aumento dell’uso dei personal computer nelle scuole, insieme all’adozione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione”. Un’ammissione che suona come una resa davanti all’inevitabile cambiamento tecnologico. Casio continuerà a produrre e vendere i modelli esistenti, ma il messaggio è chiaro: il futuro è altrove, e precisamente nelle app e nei servizi cloud.
Mentre i reparti di ricerca e sviluppo chiudono, i programmatori si concentrano su software per PC e smartphone. Casio ha lanciato “ClassPad-net”, un’app completa di supporto allo studio che offre non solo funzioni di dizionario ma anche un quaderno digitale per inserire appunti a mano. Sharp punta tutto su “Brain+”, con funzionalità di supporto all’apprendimento dell’inglese che permettono agli utenti di cercare definizioni di parole in articoli web semplicemente copiando quelle parole.

Una passione tutta giapponese
C’è una cosa che colpisce il viaggiatore occidentale. Anzi, due: la prima è che praticamente non esistano questi apparecchi fuori dal Giappone. E la seconda è che in Giappone siano rivolti esclusivamente ai locali e non per gli stranieri. Infatti, i “denshi jisho” non erano semplici strumenti, ma veri e propri simboli culturali profondamente radicati nella società nipponica. In Giappone, il dizionario elettronico ha rappresentato per decenni il regalo perfetto per gli studenti che iniziavano la scuola o per i neoassunti che entravano nel mondo del lavoro. Più che semplici strumenti di consultazione, incarnavano un approccio metodico e disciplinato allo studio delle lingue straniere, in particolare dell’inglese.
La peculiarità del giapponese, con i suoi tre sistemi di scrittura e la complessità degli ideogrammi kanji, rendeva questi dispositivi particolarmente preziosi. I migliori modelli offrivano animazioni dell’ordine dei tratti, output vocale, riconoscimento della calligrafia, programmi di apprendimento linguistico, calcolatrice, funzioni da organizer simili a un PDA, convertitori di fusi orari e valute, e persino risolutori di parole crociate. I modelli per studenti includevano anche versioni digitali di libri di testo e altri materiali di studio.
Il declino del dizionario elettronico racconta anche un’altra storia: quella di una società in profonda trasformazione demografica. Con un tasso di natalità in costante diminuzione, il numero di studenti – i principali acquirenti di questi dispositivi – si riduce anno dopo anno. Un tempo indirizzati principalmente agli utenti business, questi piccoli dizionari computerizzati avevano trovato negli studenti la loro ultima ancora di salvezza, ma persino questa si sta lentamente dissolvendo.

Il tramonto di un’epoca
Il destino dei dizionari elettronici giapponesi riflette una tendenza più ampia nel mondo della tecnologia: la progressiva scomparsa dei dispositivi dedicati a un’unica funzione. Ne abbiamo parlato varie volte, ad esempio per oggetti come il Kindle di Amazon. E infatti, come è successo con i lettori MP3 sostituiti dagli smartphone, i navigatori GPS integrati nelle app di navigazione, e le fotocamere compatte cannibalizate dalle fotocamere dei telefoni, anche i dizionari elettronici stanno cedendo il passo all’integrazione.
Eppure, il passaggio dal dispositivo dedicato all’app multifunzione comporta anche delle perdite. La concentrazione che derivava dall’utilizzo di uno strumento progettato specificamente per lo studio linguistico, senza notifiche, social media o altre distrazioni, rappresentava un valore aggiunto per l’apprendimento profondo. La facilità d’uso, con tastiere fisiche complete e schermi LCD ottimizzati per la lettura, offriva un’esperienza utente che molte app faticano ancora a replicare.
Nel passaggio dall’hardware al software, si trasforma anche l’approccio all’apprendimento delle lingue. Le nuove app non si limitano a riprodurre l’esperienza del dizionario tradizionale, ma integrano funzioni di riconoscimento vocale, esercizi interattivi, sistemi di ripetizione spaziata e persino elementi di gamification. È un cambiamento che va ben oltre il semplice formato e tocca il cuore stesso del processo di apprendimento.

Oltre la tecnologia
In questo tramonto tecnologico si legge in controluce l’evoluzione di una società. Quello che abbiamo visto e che risulta da molti esempi concomitanti, come questo de dizionari elettronici, è che il Giappone, patria dell’elettronica di consumo e dell’innovazione hardware, sta gradualmente spostando il suo baricentro verso il software e i servizi, in linea con le tendenze globali. La transizione dai dispositivi dedicati alle piattaforme integrate riflette una progressiva apertura all’interconnessione globale e un allontanamento dall’approccio isolazionista che ha caratterizzato per decenni il settore tecnologico giapponese.
Il dizionario elettronico, con la sua storia di ascesa e declino, diventa così metafora di un paese in bilico tra tradizione e innovazione. Come l’elegante semplicità di un haiku che si confronta con il caos creativo dei social media, il Giappone cerca la sua strada in un mondo in cui le barriere linguistiche e culturali si fanno sempre più sfumate. La storia dei “denshi jisho” è anche la storia di questo adattamento.
Così, mentre le vetrine di Akihabara continuano a ridurre lo spazio dedicato ai dizionari elettronici, una generazione di giapponesi si volta a guardare questi dispositivi con la stessa nostalgia con cui noi occidentali osserviamo i walkman o le macchine da scrivere. Non semplici oggetti, ma portali verso un’epoca in cui la tecnologia, per quanto avanzata, manteneva una rassicurante semplicità d’intenti. Forse è proprio questa la lezione più preziosa del tramonto dei dizionari elettronici: nell’era della complessità digitale, c’è ancora spazio per rimpiangere la chiarezza di scopo di un dispositivo che sapeva fare una cosa sola, ma la faceva davvero bene.