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Il CEO di Google al Congresso Usa: “Nessun pregiudizio politico nei risultati delle ricerche”

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Sundar Pichai, CEO di Google, si è presentato al Congresso USA dove è stato chiamato per rispondere su varie questioni che riguardano la gestione dei dati, il presunto sbilanciamento nei risultati delle ricerche a favore di una parte politica ma anche i piani dell’azienda di lanciare un motore di ricerca in Cina sottoposto a censura.

I risultati delle ricerche di Google, ha riferito il 46enne a capo dell’azienda dal 2015, tengono conto di oltre 200 indicazioni, “elementi quali rilevanza, novità, popolarità, quante altre persone  li usano”. I risultati sono poi valutati da meccanismi di rating esterni che, ha spiegato Pichai, tengono conto di una serie di linee guida oggettive.

“Tutto questo funziona su larga scala e non interveniamo manualmente sui risultati delle ricerche” ha spiegato ancora Pichai a un membro della commissione, la deputata Zoe Lofgren, membro della Camera dei Rappresentanti per lo stato della California.

Alcuni Repubblicani, incluso il Presidente Donald Trump, hanno accusato Google di “truccare” i risultati per dare maggiore rilevanza ad articoli e notizie contrarie alle scelte della sua amministrazione. Ad agosto di quest’anno Google aveva risposto spiegando di non seguire alcun tipo di agenda politica.

Pichai, spiega AppleInsider, ha ammesso che avendo sede in California, molti dipendenti potrebbero patteggiare per i liberali ma che l’azienda è impegnata a essere politicamente equa e nessun dipendente è in grado di distorcere i risultati delle ricerche. Quest’affermazione è stata contestata da alcuni membri del comitato di Capitol Hill, sostenendo che algoritmi neutrali possono ancora produrre risultati distorti, esercitando un’influenza determinante su un’ampia fetta della popolazione.

Altro argomento di cui si è parlato è l’interesse di Google nel tornare in Cina, nazione nella quale non opera dal 2010 per le censure imposte dal governo di Pechino nelle ricerche dei contenuti online. A settembre è circolata voce di un ritorno di Google in Cina e si dice che Sergei Brin (co-fondatore di Goolge) fosse disposto a scendere a compromessi creando una versione cinese del servizio “addomesticata” al volere del governo, indiscrezione che è stata fonte di preoccupazione anche per qualche dipendente di Big G.

Pichai ha affermato che l’azienda da lui guidata “non ha alcun piano” per lanciare il servizio in Cina, anche se ha “sviluppato e analizzato quali potevano essere i risultati” con un team di più di 100 persone. Ha insistito sul fatto che non vi sono discussioni in merito con il governo cinese e che Google sarà “assolutamente trasparente” con i funzionari di governo USA se dovesse esserci un ritorno del servizio di ricerca nel Paese del Dragone.

Terzo argomento di discussione nella testimonianza di Pichai è stato il trattamento dei dati personali. Il dirigente ha spiegato come e perché Google raccoglie dati, insistendo sul fatto che l’azienda offre alle persone controlli su ciò che raccoglie e che regolarmente spinge le persone a verificare le impostazioni sulla privacy. L’azienda è stata accusata di raccogliere enormi quantità di informazioni sulle persone per l’interesse degli inserzionisti e di non avere rivelato una vulnerabilità in Google+ che potrebbe avere messo a rischio i dati di centinaia di milioni di utenti di questo social la cui chiusura è stata ora anticipata.

Alcuni membri del Congresso Usa non hanno fatto bella figura mostrando i loro smartphone durante la testimonianza, per chiedere se e in che modo Google intercettasse i loro movimenti, sembrando non in grado di capire la differenza tra iPhone e smartphone Android. A uno di loro che chiedeva informazioni mostrando un iPhone, Pichai ha anche risposto: “Guardi che è costruito da un’altra azienda”. L’impressione di tanti osservatori è che i membri della delegazione parlamentare erano disinteressati alla testimonianza nel complesso e che molti di questi non avevano dimestichezza sull’oggetto della discussione, al punto che in tanti si sono presentati in tempo solo per la presentare l’interrogazione e sparire subito dopo.

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