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I segreti del design Apple

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Le forme arrotondate, lo chassis colorato e un computer tutto integrato dentro il monitor: se confrontiamo i primi rivoluzionari iMac con i PC assemblati tanto in voga in quegli anni risulta semplice notare le differenze e, allo stesso tempo, complesso stabilire con precisione perché un sistema risulta meglio costruito, bello da vedere e in definitiva affascinante rispetto a qualsiasi PC standard.

La stessa Apple contribuisce all’alone di mistero che circonda i prodotti che ancora devono raggiungere il mercato, nulla trapela dalla cortina di silenzio e segretezza che da sempre (ma soprattutto nella seconda era Jobs) ricopre tutti i processi interni. Dalla fase di ideazione, allo studio del design, passando per la definizione delle funzioni da integrare fino alla loro implementazione, infine i processi costruttivi impiegati negli stabilimenti di produzione.

Spesso nel mondo della tecnologia le grandi società  invitano stampa e giornalisti per visitare gli stabilimenti, per rendere noti risultati di ricerche interne e addirittura in alcuni casi per spiegare come e perché è nato un nuovo prodotto, tutte informazioni che diventano parte del gioco delle public relation e delle strategie di autopromozione. Apple invece si comporta in maniere diametralmente opposta. Invece di pubblicizzare e invitare giornalisti ha adottato politiche di sicurezza degne della guerra fredda, con prodotti camuffati e specifiche hardware e software incomprensibili persino per i propri partner e tutto questo fino a pochi giorni prima della presentazione di un nuovo prodotto.

Un articolo apparso sul sito di Technology Review illustra alcuni segreti di casa Apple. L’autore Daniel Turner per realizzare il pezzo si è ovviamente subito scontrato con la cortina di ferro di Cupertino così, per superare l’ostacolo e raggiungere comunque il suo obiettivo, spiegare come nasce la magia del design Apple, ha avuto la brillante idea di intervistare società  di consulenza che hanno lavorato in collaborazione con Apple in passato, ex dirigenti della Mela un tempo impegnati nel design e nella ricerca e sviluppo. I risultati sono interessanti e anche se quasi tutti riferiti al passato più o meno recente, permettono di comprendere scelte e strategie senza dubbio ancora utilizzate oggi.

Tra i primi intervistati troviamo Mark Rolston, senior vice president of creative per Frog Design, società  che si occupa di design di prodotto e strategia di d’immagine (brand) e che ha lavorato a stretto contatto con Apple dal 1982 al 1988. Rolston precisa subito: “Jobs desiderava elevare Apple utilizzando il design. Non solo Jobs era interessato personalmente al design, ma comprese che era un modo per differenziare i prodotti della sua compagnia dai PC dell’epoca, che spesso sembravano poco più evoluti rispetto alle scatole degli hobbisti.

Il ruolo di Jobs per quanto riguarda il design emerge da più fonti. Nel libro AppleDesign (Kunkel) è riportata una frase di Ken Campbel, co-designer di Apple Lisa, racconta che Jobs desiderava che Apple diventasse quello che Olivetti fu negli anni ’70: “un leader indiscusso del design industriale”.

Per buona parte del 1982 fino all’inizio del 1983 Jobs diede la caccia a un partner per curare il design di Apple. Trovò l’uomo adatto in Hartmut Esslinger di Frog Design: insieme le due società  svilupparono il linguaggio visuale indicato internamente con il nome in codice “Snow White” (letteralmente biancaneve) con l’obiettivo di conferire ai prodotti Apple un vocabolario visivo e di design coerente, per fare in modo che tutti i prodotti della Mela sembrassero collegati, appartenenti alla stessa famiglia.

Qui di seguito riportiamo alcune indicazioni contenute nel codice Snow White, utili per comprendere l’attenzione maniacale per i dettagli di casa Apple. Il vocabolario prevedeva linee con larghezza e profondità  uguali, pari a due millimetri, distanziate di 10 millimetri per suggerire e trasmettere l’idea di precisione, ovviamente alcune di queste righe erano poi anche funzionali, fungendo da sfoghi per l’areazione. Gli spigoli del case erano arrotondati, ma a gradi differenti. Se la curva negli angoli posteriori aveva un raggio di tre millimetri, quella degli angoli frontali era solo di due millimetri, riducendo così le dimensioni percepite della macchina. Ancora, gli spigoli arrotondati e le linee inserite nei case richiamavano dettagli ben riconoscibili dell’interfaccia utente Mac di quell’epoca: finestre con angoli smussati e righe orizzontali che indicavano l’area per il trascinamento.

Nessun processo di costruzione dell’epoca, soprattutto in ambito case per computer, era in grado di sfornare componenti con la precisione e la cura dei dettagli specificati dal codice “Biancaneve” di Apple. Ma Steve Jobs e Frog Design ottennero quello che volevano. Il look distintivo dei sistemi Apple era dovuto anche a questo: plastiche e case realizzati con tecniche sofisticate, più costose, ma in grado di assicurare ad Apple l’immagine di qualità  che Jobs si era prefissato. Infatti impiegando plastiche più precise, per gli ingegneri Apple fu possibile realizzare computer più compatti, in cui i componenti e le schede interne erano posizionati alla perfezione all’interno delle plastiche, risparmiando di conseguenza materiale per l’imballo e infine sui costi di spedizione. Non male.

Un altro “segreto” di Apple è quello di ricercare costantemente nuove possibilità  e soluzioni in fatto di manifattura e costruzione. L’esempio riportato è quello della tecnica “double-shot” utilizzata per combinare strati di materiali differenti oppure strati di materiale identico ma di colore diverso. Rolston entra nei dettagli e racconta: “Apple vide che un costruttore aveva un impianto per questo processo ma su scala ridotta. (Apple) lo spinse a lavorare su scala molto più ampia. Aiutò il costruttore nel padroneggiare il processo e il prodotto.” Qualsiasi appassionato di Mac può riconoscere il finale della storia che Rolston ha appena raccontato: la tecnica double-shot fu utilizzata per incorporare materiali colorati sotto alla plastica trasparente per dei primi iMac. La stessa tecnica fu impiegata per la costruzione dei primi iPod per ricoprire di plastica trasparente lo strato di plastica bianco più interno.

Brunner, direttore del design industriale in Apple dal 1989 al 1996, svela un altro segreto di Apple: si tratta di un controllo maniacale direttamente nei siti di produzione. Apple invia membri dei team di design direttamente nelle fabbriche e per diverse settimane ogni volta, per studiare quello che può essere fatto e per spingere il costruttore a cercare nuove soluzioni. Se i designer scoprono una vera innovazione, la possono subito integrare nei loro progetti, inoltre verificare la qualità  di realizzazione direttamente sul sito di produzione. “Ecco perché è perfetto” conclude Brunner e precisa: “…e la ragione per cui tutto questo viene fatto è perché Steve Jobs dice: Fatelo.”

Nel lungo articolo che getta più di una luce sul processo creativo di casa Apple viene intervistato anche Don Norman, vicepresidente advanced technology in Cupertino negli anni 1993-1998. Si tratta degli anni caratterizzati per lo più dall’assenza di Steve Jobs.
Sia Norman sia Brunner descrivono una procedura interna per l’ideazione e la realizzazione dei nuovi prodotti del tutto simile a quella esistente in numerose altre aziende del mondo IT.
Entrambi dichiarano che la differenza tra l’era BJ e AJ (Before Jobs e After Jobs) non risiede in una diversa organizzazione dei processi all’interno di Apple: la variabile più rilevante è la persona.

Così lo stesso Norman conclude “il fattore critico nel successo di Apple in campo di design è il modo in cui Jobs focalizza e disciplina i team di prodotto. (Jobs) ha una singola, coerente immagine del prodotto finale e non concederebbe alcuna deviazione, non importa quanto promettente la nuova funzione possa apparire, non importa quanto il team protesti. Altre aziende sono più democratiche, ascoltano le opinioni di tutti, e il risultato è un’accozzaglia e la mancanza di coesione.”

Tra i fattori che differenziano Apple dalla concorrenza viene inclusa anche la capacità  di realizzare prodotti facili da utilizzare. Può apparire controintuitiva l’idea di costruire dispositivi di alta tecnologia e allo stesso tempo rendendoli semplici, ma anche questo alla fine si trasforma in un fattore di differenziazione.

L’esperienza e il ragionamento di Brunner lo portano alla conclusione: “Apple ha sempre mantenuto piccoli i propri team di sviluppo, all’incirca tra le 12 e le 20 persone. Questa idea è condivisa anche da Rolston il quale ritiene che si tratta di team piccoli con un approccio molto diretto e pratico al prodotto. Ma ancora una volta il ruolo di Steve Jobs emerge come fondamentale per il successo di Apple. Norman dichiara infatti: “Jobs è un dittatore ma con buon gusto. àˆ bravo e punta all’esperienza perfetta. Non vuole un bel design, pretende un design perfetto.” Ancora lo stesso Rolston offre una definizione ad effetto: “àˆ una coincidenza felice in Apple in cui il designer in capo è il CEO. Possiede un senso fantastico per ciò che le persone vogliono. Dopo tutto questo è design.”

[A cura di L. M. Grandi]

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